Utilitalia: gli investimenti delle utility cresciuti in dieci anni da 0,5 a 3 miliardi di euro, possono salire a 30
Perdiamo in rete oltre il 36% dell’acqua potabile: la ripresa post-Covid passa anche da qui
Da Legambiente 5 punti per un servizio idrico integrato sostenibile, da finanziare grazie al Recovery fund europeo
[28 Ottobre 2020]
Rete colabrodo, depuratori, risparmio idrico. Sono sempre questi i temi caldi per la nostra risorsa più importante, l’acqua, per la quale da troppi anni – dopo peraltro una lunghissima discussione sulla sua gestione pubblico vs privata e un referendum, che purtroppo poco hanno portato in termini di benefici ai suddetti problemi – non si vedono miglioramenti significativi. Con una aggiunta: col tempo è nettamente peggiorata l’annosa questione dei fanghi da depurazione, che ormai da tempo non si sa praticamente più dove smaltire per tutto lo Stivale a causa di una strutturale carenza di impianti dove poterli gestire.
Per far fronte a molti di questi problemi Legambiente, in occasione del suo II Forum sul servizio idrico integrato sostenibile ha rilanciato oggi cinque proposte da mettere al centro del confronto sul Servizio idrico integrato, in modo tale che “la risorsa idrica diventi uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
Il primo punto è ovviamente ammodernare la rete di distribuzione dell’acqua potabile, che secondo gli ultimi dati diffusi dall’associazione (relativi ai capoluoghi di provincia al 2018), vede in Italia oltre il 36% dell’acqua potabile non arrivare ai rubinetti, mentre in 18 città viene dispera addirittura la metà dell’acqua immessa nelle condutture.
Secondo punto, occorre “porre fine alla cronica emergenza depurativa nel nostro Paese, per la quale l’Italia è già stata condannata dall’Unione europea a pagare 25 milioni di euro, cui se ne aggiungono altri 30 ogni semestre di ritardo nella messa a norma degli impianti, a causa delle procedure d’infrazione aperte nei nostri confronti dall’Ue”. Fondamentale per il Cigno Verde è anche “separare le reti fognarie, tra acque di scarico e meteoriche, favorendo anche interventi di adattamento al clima nelle aree urbane” e “prevedere investimenti sulla ricerca e lo sviluppo di sistemi e impianti innovativi a partire dai digestori anaerobici per il trattamento dei fanghi e la produzione di biometano”. Infine “introdurre delle misure per la “riqualificazione idrica” degli edifici e degli spazi urbani nei meccanismi di incentivazione e defiscalizzazione” sulla falsa riga degli interventi di efficientamento energetico e “rafforzarela rete dei controlli ambientali con l’approvazione dei decreti attuativi previsti dalla legge 132 del 2016”.
“Nella discussione sul Recovery plan si continua a parlare italiano – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – di progetti lontani dai bisogni dell’Italia, come il tunnel sotto lo stretto di Messina o il confinamento geologico della CO2 nei fondali marini in alto Adriatico, di fronte la costa ravennate, ma non si mettono in programma gli interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie. Un Servizio idrico integrato sostenibile è centrale per andare nella direzione prevista dalle direttive comunitarie, in termini di disponibilità dell’acqua per le persone, di tutela della risorsa idrica e per un’efficace politica di adattamento al cambiamento climatico a partire dalle città. Ma occorre intraprendere un percorso concreto di discussione tra tutti i soggetti coinvolti per avviare un processo virtuoso che coniughi investimenti, progettazione di qualità e innovazione”.
In tal senso è stato il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo, a spiegare che “gli investimenti delle utilities che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni. Restano aree del Paese in forte ritardo soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità fra diverse parti del Paese. Per colmare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati. In questo quadro, il Recovery fund può rappresentare una grande occasione: Utilitalia ha raccolto le proposte delle utilities, progetti concreti ripartiti fra transizione verde e digitalizzazione. Per quanto riguarda nello specifico il settore idrico, i progetti presentati si concentrano sui temi della depurazione (da nuovi impianti al trattamento dei fanghi), sulla riduzione delle perdite attraverso nuove tecnologie, sull’ottimizzazione degli approvvigionamenti e sul contrasto al dissesto idrogeologico. Con il sostegno del Recovery fund, il contributo delle utility alla ripresa del Paese in chiave sostenibile può avere l’accelerata decisiva”.
Quella per migliorare il Servizio idrico integrato è una battaglia da troppi anni inascoltata, mentre rappresenta uno strumento fondamentale non solo per tutelare una fondamentale risorsa (scarsa) come l’acqua, ma anche per fare della sua tutela una leva di sviluppo sostenibile per il territorio: con la risorse che adesso l’Europa è pronta a mettere a disposizione non si tratta più di un problema economico – se mai lo è stato – ma di volontà in primis politica.