Onu: cambiamento climatico e Covid-19 sono i nostri nemici comuni. Cessate il fuoco globale subito
Sono le donne e i poveri a pagare il prezzo più alto della pandemia e della violenza
[4 Novembre 2020]
Intervenendo al meeting in videoconferenza sui fattori che portano alla guerra civile nel mondo, la c vice segretaria generale dell’Onu, Amina Mohammed, ha detto che il Consiglio di sicurezza e tutti i governi devono «fare di più per incoraggiare i combattenti di tutto il mondo a posare le armi e concentrarsi invece sulla lotta contro il nostro nemico comune: il coronavirus. Conto sul vostro impegno per questo appello. E conto sui vostri rinnovati investimenti politici e finanziari nella prevenzione e nelle soluzioni, per la sicurezza e per scongiurare i rischi di conflitto, in un momento in cui il mondo ha più che mai bisogno di pace e calma».
La Mohammed ha sottolineato che «La pandemia continua ad esacerbare i rischi e le cause del conflitto, dall’insicurezza transfrontaliera e alle minacce legate al clima, ai disordini sociali e ai deficit di democrazia. Le proteste e le disuguaglianze si stanno approfondendo, minando la fiducia nelle autorità e nelle istituzioni di ogni tipo e aumentando le vulnerabilità».
La vice capo dell’Onu ha citato i diversi impatti della pandemia sulle disuguaglianze economiche e sociali, nonché sulla promozione e protezione dei diritti umani, in particolare per le donne: «Le parti in conflitto stanno approfittando della pandemia per creare o aggravare l’insicurezza e impedire cure mediche e altri servizi e assistenza salvavita. Allo stesso tempo, le donne sono impiegate in modo sproporzionato nei settori più colpiti dai lockdowns – durante i quali c’è un picco allarmante nella violenza di genere e domestica – e hanno maggiori probabilità degli uomini di non avere risparmi, sicurezza sociale e copertura sanitaria. Come possiamo parlare di pace e sicurezza quando milioni di donne sono maggiormente a rischio nelle proprie case? E sappiamo che esiste una linea retta tra violenza contro donne e ragazze, oppressione civile e conflitto».
Riguardo ai collegamenti tra cambiamento climatico e impatti sulla sicurezza, la Mohammed ha definito l’emergenza climatica «Uno dei principali fattori di disuguaglianza, insicurezza e conflitto». Dopo aver illustrato le sue missioni conoscitive nel Sahel, nella regione del Lago Ciad e in Medio Oriente, ha sottolineato «le connessioni tra lo sfollamento su vasta scala di persone e gli eventi meteorologici estremi come siccità e inondazioni che distruggono case, mezzi di sussistenza e comunità. In alcuni casi, la crisi climatica minaccia l’esistenza stessa delle nazioni».
L’alta esponente dell’Onu ha anche a evidenziato che il blocco del progresso dello sviluppo viene affrontato dalla comunità internazionale in modo frammentato e, pur sottolineando che «i driver dei conflitti non sono statici: cambiano ed evolvono» ha sottolineato che lo stesso vale per le opportunità, »inclusi nuovi mezzi per imparare e crescere. La pandemia ha già dimostrato che un rapido cambiamento è possibile, poiché milioni di persone adottano nuovi modi di lavorare, apprendere e socializzare: Esorto tutti a costruire progredendo meglio. La ripresa dal Covid ha rafforzato la necessità dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il nostro strumento di prevenzione definitivo, anche per l’uguaglianza di genere e per il rispetto dello stato di diritto e del buon governo. C’è bisogno di approccio globale dell’Onu alle sfide contemporanee e ai fattori di conflitto, che deve includere tutti gli Stati membri».
Munir Akram, presidente dell’Economic and Social Council (Ecosoc), ha attribuito a un ordine mondiale ineguale, l’insuccesso dell’Onu nel tener fede a i suoi ideali di sicurezza collettiva e cooperativa e ha sottolineato che «Le cause profonde dei conflitti vanno dalle lotte interne per le risorse scarse; competizioni esterne per le preziose risorse naturali e interventi volti a sopprimere la lotta dei popoli per rivendicare i loro destini politici ed economici».
Il capo dell’Ecosoc prevede che, «A causa della pandemia di Covid-19, l’economia mondiale si contrarrà del 5 – 10%, a seconda di quando il virus potrà essere tenuto sotto controllo. Più di 100 milioni di persone saranno probabilmente gettate di nuovo nella povertà, come al solito, i Paesi e le persone più poveri soffriranno di più. A meno che non ricevano assistenza finanziaria, molte economie in via di sviluppo – con entrate perse e cariche di debiti inutilizzabili – rischiano di dover affrontare un collasso economico che diffonderebbe il caos e infiammerebbe ulteriormente i conflitti regionali e le tensioni globali».
Ibrahim Mayaki, a capo della New Partnership for Africa’s Development (Nepad), ha tracciato il preoccupante quadro delle popolazioni africane che migrano verso le città, anche in paesi prevalentemente rurali, avvertendo che «I conflitti non fanno che aumentare le difficoltà che gli Stati devono affrontare nel fornire servizi agli abitanti delle aree rurali. Alcune zone di confine africane sono magneti virtuali per la violenza perpetrata da gruppi armati e il riscaldamento globale nel Sahel sta provocando eventi climatici estremi».
Il premier del minuscolo Stato insulare caraibico di Saint Vincent e Grenadine, il laburista Ralph Gonsalves, presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha concluso ricordato che la maggior parte dei problemi della sua regione «non ha soluzioni militari» e ha rifiutato «qualsiasi soluzione che aggiri i bisogni e le aspirazioni delle popolazioni locali. I governi hanno la responsabilità di porre fine alla sofferenza, soprattutto in contesti di conflitto. Gli attuali abissi non possono essere superati con piccoli passi».