Gli Stati Uniti sono usciti ufficialmente dall’Accordo di Parigi
Dopo tre anni dall’annuncio di Trump, gli Usa sono diventati il primo e unico Paese a farlo
[4 Novembre 2020]
Oggi, 4 novembre, mentre gli Stati Uniti d’America aspettano di sapere se l’assurdo meccanismo elettorale confermerà Donald Trump presidente nonostante la maggioranza degli americani non lo voglia e non lo volesse 4 anni fa, gli Usa sono ufficialmente fuori dall’Accordo di Parigi che Barack Obama aveva firmato nel 2015.
Trump aveva annunciato l’abbandono nel giugno 2017, ma i regolamenti dell’Unfccc hanno fatto slittare l’uscita solo a oggi, il giorno dopo le elezioni statunitensi. Anche se l’accordo di Parigi è stato firmato nel dicembre 2015, il trattato è entrato in vigore solo il 4 novembre 2016, 30 giorni dopo che è stato ratificato da almeno 55 Paesi che rappresentano il 55% delle emissioni global. Nessun paese può dare preavviso di lasciare l’accordo prima che siano trascorsi tre anni dalla data di ratifica e anche allora uno Stato membro doveva ancora scontare un periodo di preavviso di 12 mesi all’Onu.
Se vincerà Biden gli Usa potrebbero rientrare subito nell’Accordo di Parigi e nell’Unfccc, se vincerà Trump è probabile che l’esempio Usa sarà seguito da qualche tentennante governo sovranista e dai negazionisti climatici e dalle petromonarchie che per ora se ne stanno prudentemente in disparte aspettando di vedere come va a finire ma boicottando le decisioni dei summit dell’Unfccc. Senza scordare che i precedenti tentativi di approvare un patto globale sul cambiamento climatico erano falliti a causa delle amministrazioni repubblicane di George W. Bush, mentre la precedente amministrazione democratica di Bill Clinton non era stata in grado di garantire il sostegno del Senato al protocollo di Kyoto del 1997.
Gli Stati Uniti sono insieme alla Cina il principale inquinatore del mondo con circa il 15% delle emissioni globali di gas serra e restano ‘economia più grande e potente del mondo, quindi, anche se sono l’unico Paese a ritirarsi da un accordo globale, questo diventa un problema globale e durante l’amministrazione Trump i negoziatori statunitensi hanno partecipato ai colloqui sul clima dell’Onu cercando di boicottarli in ogni modo e approfittando dei d summit Unfccc per promuovere i combustibili fossili e il nucleare.
Andrew Light, un ex alto rappresentate del cambiamento climatico per l’amministrazione Obama ha detto che «Essere fuori formalmente ovviamente danneggia la reputazione degli Stati Uniti. Questa sarà la seconda volta che gli Stati Uniti sono stati la forza principale dietro la negoziazione di un nuovo accordo sul clima: il protocollo di Kyoto non lo abbiamo mai ratificato, nel caso dell’accordo di Parigi, l’abbiamo lasciato. Quindi, ovviamente penso che sia un problema».
Intervistata da BBC News, Helen Mountford del World Resources Institute, ha ricordato che «La decisione di lasciare l’accordo di Parigi era sbagliata quando è stata annunciata ed è sbagliata ancora oggi. In poche parole, gli Stati Uniti dovrebbero restare con le altre 189 parti dell’accordo, non uscirne da soli».
Carlos Fuller del Belize, il principale negoziatore climatico per l’Alleanza dei Piccoli Stati insulari, evidenzia che «E’ sicuramente un duro colpo per l’accordo di Parigi. In realtà abbiamo lavorato molto duramente per garantire che tutti i Paesi del mondo potessero aderire a questo nuovo accordo. E così, perdendone uno, riteniamo di aver sostanzialmente fallito».
L’ex segretario esecutivo dell’Unfccc, Yvo De Boer, dice che in parte il ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi è dovuto al fatto che Obama non ce l’ha fatta a far ratificare l’accordo di Parigi dal Senato Usa: «Quello che Obama ha fatto alla fine del suo secondo mandato è stato fondamentalmente antidemocratico, firmare un accordo di Parigi senza andare al Senato e al Congresso e farlo invece tramite ordine esecutivo. E poi, in un certo senso, ha preparato quello che è successo ora». Va anche detto che i democratici sono oggi molto più green di 4 anni fa e che l’ala ecoscettica dei tempi di Bill Clinton si è praticamente estinta.
Ma Peter Betts, della Chatham House ed ex negoziatore climatico del Regno Unito e dell’Unione europe, è convinto che gli altri Paesi non seguiranno Trump: «Nessuno l’ha fatto negli ultimi quattro anni e non credo che lo faranno in futuro».
Ma Paesi come l’Arabia Saudita, il Kuwait e la Russia hanno dato manforte agli Usa di Trump per cercare di respingere soluzioni globali basate sulla scienza climatica e Fuller sottolinea che «Stanno prendendo tempo, stanno dicendo che se gli Stati Uniti non ci sono più, ora non abbiamo bisogno di affrettarci a fare nulla. Penso che stiano facendo una scommessa al buio per vedere che tipo di accordo migliore per loro possono ottenere da tutto questo, e che alla fine non si ritireranno»
Tra l’altro l’uscita dall’Accordo di Parigi non è condivisa dalla maggioranza degli statunitensi e anche da gran parte dei repubblicani che hanno rivotato Trump. Come evidenzia Michael Bloomberg, «L’opinione pubblica comprende che la lotta al cambiamento climatico va di pari passo con la protezione della nostra salute e la crescita della nostra economia. Quindi, nonostante tutti gli sforzi della Casa Bianca per riportare il nostro Paese indietro, negli ultimi quattro anni non ha fermato il nostro progresso climatico negli ultimi quattro anni». Mentre Trump frenava, Stati, contee città – non solo amministrati dai democratici – e imprese acceleravano verso un’economia low-carbon.
Uno degli artefici dell’Accordo di Parigi, Laurence Tubiana, vincitore dell’Accademy Prize 2020 e amministratore delegato dell’European Climate Foundation, conclude: «Il Green Deal dell’Ue e gli impegni per la carbon neutrality di Cina, Giappone e Corea del Sud indicano l’inevitabilità della nostra transizione collettiva dai combustibili fossili. Ci saranno sempre i rallentamenti man mano che l’economia globale si allontanava da petrolio, gas e carbone, ma la direzione generale del viaggio è chiara. Mentre i governi preparano pacchetti di stimolo per salvare le loro economie dal covid-19, è fondamentale che investano nelle tecnologie del futuro, non del passato».