Etiopia: le guerre etniche del Premio Nobel per la pace
Migliaia di persone fuggono dal Tigray in Sudan e gli scontri etnici diventano sempre più sanguinosi
[11 Novembre 2020]
I 55 Stati membri dell’Unione Africana (UA) hanno chiesto all’Etiopia – dove è la sede della stessa UA – la fine immediata dello spargimento di sangue e delle ostilità nel kililoch (Stato regionale) del Tigray. Un appello che arriva dopo che i soldati del governo etiope hanno conquistato l’aeroporto Humera, al confine con Sudan ed Eritrea, dove le truppe federali hanno lanciato un’offensiva contro il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), che governa il Tigray dove vivono più di 9 milioni di persone, che viene accusato di aver attaccato una base militare etiope la scorsa settimana.
Secondo l’emittente etiope Fana, diverse milizie tigrine si sarebbero arrese, mentre i militari etiopi hanno anche occupato una strada che porta da Humera al confine sudanese. L’agenzia di stampa etiope ha pubblicato foto che mostrano soldati federali insieme a milizie Amhara, l’etnia più numerosa dell’Eritrea che sembfra si stia prendendo una rivincita dopo decenni di predominio tigrino dopo la fine della dittatura comunista del DERG.
Intanto, sono già morte centinaia di persone in un conflito che sembrava un regolamento di conti politico e che si è già trasformato in una potenziale guerra civile tra i tigrini e il governo centrale del pfremier di Abiy Ahmed Ali, premio Nobel per la pace 2019, che proviene dal più grande gruppo etnico dell’Etiopia, gli Oromo, ora alleati degli Amhara dopo decenni di scontri.
Ahmed ha risposto all’UA che i suoi militari metteranno rapidamente fine ai combattimenti non appena avranno rimosso la leadership del Tigray, che il governo del TPLF che considera illegali. Ma l’agenzia di stampa sudanese Suna ha scritto che almeno 30 soldati etiopi e «un gran numero di rifugiati», compresi uomini armati, stanno fuggendo dai combattimenti nel Tigray e hanno attraversato il confine con il Sudan, suscitando timori di un peggioramento della crisi dei rifugiati. Non è chiaro se il Northern Command – che il TPLF sostiene di controllare – abbia effettivamente disertato passando con le milizie tigrine.
Alsir Khaled, a capo di un’agenzia Onu per rifugiati (Unhcr) nella città di sudanese di Kassala conferma che «I rifugiati si stanno riversando qui, e la situazione è in cambiamento di ora in ora. In due giorni si contano almeno 2’500 rifugiati negli ultimi due giorni, ma sono centinaia i civili che stanno arrivando e devono essere ancora registrati dalle autorità, dichiara il responsabile dell’agenzia. Circa 30 militari etiopi sfollati si sono consegnati al posto di blocco militare sudanese». Il governo etiope ha ammesso che dei soldati hanno oltrepassato il confine, ma ha detto che stavano già rientrando nel Tigray.
Il portavoce dell’Unhcr, Babar Baloch, ha detto che «Ci sono diverse centinaia di richiedenti asilo nei due punti di ingresso di confine nello Stato sudanese di Gadaref. L’Unhcr sta mobilitando risorse per provvedere all’assistenza salvavita».
IL TPLF ha ripreso le armi per combattere i suoi ex allerati contro «Il leader nazionale del tradimento e della disgrazia Abiy Ahmed e i suoi soci che hanno dichiarato una guerra ufficiale per distruggere l’identità del popolo del Tigray. La vergogna e il tradimento di questo Paese sono ogni giorno di più pi ubbliche». Il TPLF ammonisce i suoi ex alleati a non scordarsi la storia di ieri e li acusa di essere i nuovi «fascisti che hanno il potere di distruggere il popolo del Tigray, ma si pentiranno di tutto». IL TPLF accusa il governo etiope di aver bombardato 10 volte alcune città e promette resistenza senza quartiere contro gli invasori.
L?unhcr fa notare che tutto questo avviene nel bel mezzo di un o stato di emergenza umanitaria di 6 mesi dichiarato nel Tigray e che «Questo si aggiun ge a una situazione già difficile pfrecipitata coin la pandemia di Covid-19» e che avrà un forte impatto sui rifugiati eritrei nel tigray (moltissimmi dei quali di etnia tigrina), mentre aumenta il rischio di sfollati interni. Stéphane Dujarric, il portavoce del segretario generale dell’Onu, ha sottolineato che «Più di 6.000 persone sono colpite dal coronavirus nella regione del Tigray che è anchew una delle regioni più ciolpite dall’invasione di locuste del deserto».
Nel Tigray in preda alla guerra c’erano già circa 600.000 persone che per la loro sopravvivenza dipendevano dall’aiuto alimentare: 400.000 in situazione di insicurezza alimentare, 100.000 profughi interni e 100.000 rifugiati eritrei e sudanesi, mentre 9 milioni di persone sono a rischio per la guerra aperta tra esercito etiope e milizie tigrine.
Il segretario generale dell’Onu António Guterres il 7 novembre ha telefonato al premier etiope Abiy Ahmed offrendosi di fare da mediatore, ma la guerra è continuata più feroce di prima e il giorno dopo Abiy Ahmed ha licenziato il suo capo dei servizi segreti, il ministro degli affari esteri e il capo dell’esercito che ha sostituito con il generale Berhanu Jula.
Intanto, mentre il governo etiope ha ingterrotto tutte le comunicaziopni del TIgray, nominato un governo ad interim dello Stato regioale e secretato le notizie sui morti in combattimento, dagli ospedali arrivano notizie di centinaia di soldati feriti.
E’ in atto una vera e propria guerra tra Mekele ed Addis Abeba che potrebbe terremotare il fragilissimno equilibrio etnico di un Paese di 100 milioni di abitanti diviso in 10 Stati regionali e con diverse etnie che rivendicano un proprio statoo addirittura l’indipendenza. Lo stesso Jula ha detto che «Il nostro Paese è entrato in una guerra che non aveva previsto. Una guerra vergognosa e insensata. Ci impegnamo a fare in modo che la guerra non arrivi al centrio del Paese, terminerà là, nel Tigray».
Ma la sfida lanciata dai tigrini al premier Premio Nobel per la òpace non è l’unica e nemmeno l’ultima.
Il 9 novembre presidente del Tigray, Debretsion Gebremichael, ha detto che «Quella che è stata dichiarata contro di noi è chiaramengte una guerra di invasione. E’ una guerra che conduciamo per preservare la nostra esistenza. Dei combattimenti proseguono nell’ovest della regione e l’esercito etiope ammassa truppe alle frontiere delle regioni Amhara e Afar, rispettivamente as sud e ad est del Tigray».
Il 6 novembre, Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani aveva ricordato che già a inizio novembre c’erano state violenze nella regione dell’Oromia e nel Tigray, con decine di persone uccise e ferite durante brutali attacchi nella regione dell’Oromia dalle milizie dell’Oromo Liberation Army (OLA) un gruppo separatosi dall’Oromo Liberation Front (OLF), un partito di opposizione tornato nel 2018 dall’esilio dopo l’elezione Abiy Ahmed, che è di etnia Oromo.
I miliziani dell’OLA hanno attaccato tre villaggi Amhara nella zona di Wollega uccidendo almeno 54 persone, ma il numero di vittime potrebbe essere molto più alto, molte delle quali sono state assassinate dopo essere state radunate dai miliziani dell’OLA che hanno dato alle fiamme le case e rubato il bestiame. Si è trattata di una vera e propria puylizia etnica di bambini, donne e anziani Amhara, colpevoli di vivere in una Stato regionale che non era etnicamente il loro. A giugno erano già scoppiati sanguinosi disordini – con centinaia di morti e di arresti – dopo l’assassinio di un famoso cantante oromo, Hachalu Hundessa, ad Addis Abeba. Anche allora il bersaglio erano stati i civili di Amhara nella regione dell’Oromia.
Oromo e Amhara costituiscono quasi i due terzi della popolazione dell’Etiopia e sono la base su cui si poggia il potere di Abiy Ahmed che ha liberato prigionieri politici, legalizzato alcuni gruppi di opposizione precedentemente vietati e portato avanti la pace con la vicina Eritrea. Tutte cose che gli hanno fatto avere il Premio Nobel per la Pace ma che hanno anche aumentato le tensioni etniche e politiche in un Paese dove vivono più di 80 nazionalità e gruppi etnici e il panorama politico è dominato da alleanze tribali .
Quelli che arrivano sulle news internazionali sono solo gli scontri più sanguinasi ed eclatanti, ma gli incidenti violenti segnalati in tutta l’Etiopia negli ultimi mesi sono aumentati e se, sono in gran parte etnici, sullo sfondo ci sono motivazioni politiche e per il controllo delle risorse.
Tornando alla guerra nel Tigray, William Davison, analista senior ed esperto di Etiopia dell’International Crisis Group, ha dettio a Deutsche Welle «Ora vediamo il tanto temuto scontro tra le forze del Tigray e dell’Amhara. Queste, contese agli occhi degli Amhara, sono aree di confine, rivendicano queste parti del Tigray». Una disputa di confineche ha causato numerosi conflitti etnici e violenza per procura: nel 2018 sono stati uccisi dalle milizie Amhara centinaia di Qimant, una minoranza etnica che chiede una maggiore autonomia, perché il TPLF stava finanziando la campagna per l’autogoverno del Qimant.
Di recente, le comunità afar e somale si sono scontrate vicino al confine dei loro kililoch e vengono regolarmente segnalati scontri tra Somali e Oromo.
Nel dicembre 2018 è stata istituita una commissione federale per i confini per risolvere le controversie territoriali, ma molti rifiutano la legittimità costituzionale della commissione, che quindi non ha fatto nulla.
Conflitti latenti da decenni, rimasti a covare sotto la cenere dell’impero, del regime comunista e della “democrazia” autoritaria guidata dai tigrini e che sono esplosi con la liberalizzazione dello spazio politico e sociale.
Alcuni mesi fa, intorno a Sodo, nel sud dell’Etiopia, sono scoppiati scontri tra polizia e manifestanti che chiedevano l’istituzione dello Statio di Wolayta e il rilascio dei politici del Wolayta arrestati. Pochi mesi prima i Sidama avevano ottenuto la tanto attesa autonomia, diventando il decimo kililoch etiope, una vittoria che a portato molti gruppi etnici a chiedere l’pindizione di referendum per l’autonomia regionale, un diritto sancito dalla Costituzione.
E nell’Oromia il primo ministro deve affrontare una forte opposizione da parte degli stessi gruppi che lo hanno portato al potere Abiy Ahmed e che ora lo accusano di guardare più agli interessi unitari etiopi che a quelli della sua etnia. Le forze di siocurezza etiopi sono accuisate gravi violazioni dei diritti umani contro Amhara e Oromo, comprese esecuzioni extragiudiziali e detenzioni arbitrarie, in risposta agli attacchi che subiscono da parte di gruppi armati e negli interventi per sedare gli scontri intercomunitari.
Abiy Ahmed accusa i tigrini del TPLF di finanziare alcuni di questi disordini e di aver pagato i killer di Hachalu Hundessa. Codsa che secondo diversi analisti potrebbe essere plausibile.
Anderson fa notare che «Attualmente esiste un nemico condiviso tra il TPLF e l’OLA. Riteniamo che sia probabile che il TPLF stia incoraggiando gli attacchi dell’OLA […] e di altri gruppi armati in tutta l’Etiopia come modo per distrarre il governo federale e per attirare l’attenzione delle forze federali [durante] lo scontro in corso nel Tigray. Ma non credo che l’OLA non abbia bisogno dell’incoraggiamento del TPLF per impegnarsi in attacchi alle forze federali. In diverse regioni, gli Amhara potrebbero essere particolarmente a rischio. Tenere le elezioni il prima possibile potrebbe essere un primo passo per calmare questi conflitti. Il rinvio delle elezioni dell’agosto 2020 ha alimentato il fuoco per i gruppi che pensano di impegnarsi in politica essenzialmente attraverso la violenza».
Le elezioni potrebbero anche risolvere alcune delle controversie tra il governo federale e il Tigray, che ha organizzato le elezioni regionali a settembre, ritenute illegali dal governo federale. Il TPLF si è opposto al rinvio delle elezion voluto da Abiy Ahmed e considera il mandato del suo governo scaduto da ottobre. Le elezioni federali dovrebbero tenersi a maggio o giugno 2021, ma non è stata fissata alcuna data.
Ma la situazione nel Tigray non è per niente buona. Come spiega l’analista etiope Kjetil Tronvoll, professore di studi sulla pace e sui conflitti al Bjorknes University College, «Abbiamo due eserciti molto ben equipaggiati e con un ottimo personale che entrano in una guerra convenzionale. Questa ha il potenziale per essere la più grande guerra sul suolo africano dalla guerra tra l’Eritrea e l’Etiopia del 1998-2000».
E i leader tigrini accusano il governo federale di puntare a »far morire di fame la popolazione del Tigray perché ha tagliato tutte le rotte di approvvigionamento verso il Tigray».
Una guerra che deve essere risolta al tavolo delle trattative perché non è risolvibile sul campo di battaglia e la presidente etiope Sahle Work Zewde potrebbe svolgere un ruolo essenziale per riaprire il dialogo Anderson spiega ancora: «Sia il governo del Tigray che quello di Addis Abeba la riconoscono come una figura legittima perché è stata eletta in un ciclo diverso rispetto al resto del governo».
La situazione nel Tigray riporta alla mente quella dello smembramento della Jugoslavia dopo la morte di Josip Tito e la successiva guerra balcanica, visto che anche qui etnie, questioni territoriali e milizie sono l’innesco per la guerra civile.
L’Etiopia non è sul punto di disintegrarsi, ma senza una rapida attuazione del dialogo, un cessate il fuoco e di elezioni libere ed eque l’ex colonia italiana dell’Abissinia rischia di precipitare sempre più nel caos.