Bolivia, la quiete dopo la tempesta?
Le risorse del territorio saranno un elemento di peso nella scacchiera boliviana, dove nel bene e ben male gas, litio e piantagioni di coca rappresentano le principali commodity e beni di esportazione
[11 Novembre 2020]
“Todossomos Bolivia” (Tutti siamo Bolivia), questo uno dei messaggi forti e simbolici del discorso di Luis Arce, che domenica 8 novembre si è insediato come nuovo presidente della Bolivia. Vederlo prendere possesso della fascia presidenziale insieme al vicepresidente Choquehuanca era però tutto meno che scontato, nonostante il chiaro successo elettorale del suo partito (il MAS) nelle elezioni celebrate nello Stato Plurinazionale della Bolivia il 18 ottobre 2020.
Lo stesso Arce è stato infatti oggetto di un attentato il 6 di novembre, come denunciato dai mezzi di informazione boliviani e successivamente anche dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani – CDIH nell’account Twitter ufficiale di questa istituzione. Ignoti hanno fatto esplodere un ordigno nelle vicinanze della casa dove si trovava il presidente che non ha però riportato nessuna lesione. La tensione è dunque ancora molto alta e per capire e approfondire un contesto che può apparire lontano visto dall’Italia, il Centro Studi AMIStaDeS ha ospitato pochi giorni dopo le elezioni, un webinar di libero accesso, con ospiti d’eccezione. Alfredo Luis Somoza, Valerio Mancini, Isabella Bourlot e Tirso Puig de la Bellacasa hanno animato un dialogo che ho avuto il piacere di moderare e che ci ha permesso in poco meno di due ore di chiarire molti aspetti di questo ultimo anno di governo interino presieduto da JeanineAñez e nato dopo gli scontri di ottobre 2019.
Isabella Bourlot, analista del centro studi ci ha permesso di scoprire i principali attori della disputa politica che ha visto il suo punto algido con il voto del 18 ottobre. Da Luis Arce, Ministro dell’Economia del governo dell’ex presidente Evo Morales e fautore di quello che viene considerato “Il miracolo economico boliviano”, passando per Carlos Mesa, leader di ComunidadCiudadanaeprincipale oppositore del MAS (Movimento al Socialismo), per arrivare a Luis Camacho, esponente della destra radicale (partito Creemos) asserragliata a Santa Cruz de la Sierra e “mina vagante” del post elezioni. JeanineAñez (presidente interino dal 12 novembre 2019) non si è candidata, decidendo così di non frammentare il centro destra che presentandosi comunque diviso (Mesa e Camacho risultano da sempre incompatibili anche perché espressione di ideali e immaginari molto diversi) non ha convinto l’elettorato che ha premiato con il 55% dei voti il binomio del MAS, Arce – Choquehaunca. Sparito in questa contesa elettorale che doveva essere celebrata ad aprile ma che è stata posticipata a causa del COVID-19, l’outsider Chi Hyun Chung (poco più dell’1% dei voti): imprenditore evangelista di origine coreana che nelle elezioni di ottobre 2019 era arrivato al terzo posto con quasi il 9% delle preferenze.
Un quadro che diventa ancora più articolato analizzando la figura di Evo Morales, che come ricorda il giornalista, antropologo e analista politico Alfredo Luis Somoza è, nel bene e nel male, il protagonista della vicenda boliviana. Morales è l’espressione di una stagione riformista che ha caratterizzato la regione latinoamericana all’inizio del terzo millennio. Un “marea rosa” come l’hanno definita alcuni analisti politici, che sotto la bandiera del Socialismo del XXI secolo ha cambiato la geometria sociale e nazionale di molti paesi della regione. Di questo momento storico sono figlie le nuove carte costituzionali dell’Ecuador e della Bolivia, le prime a riconoscere il diritto alla natura e sancire la sua protezione a livello costituzionale. Successivamente però, sottolinea Somoza, i protagonismi personali hanno preso il sopravvento in molti di questi contesti e si è cercato di “rimettere mano” alle nuove costituzioni per accedere alla possibilità di essere rieletto come presidente per più mandati di quelli previsti o addirittura in modo indefinito. Questi tentativi, insieme alle ingerenze nel poter giudiziale, sono stati i primi segnali di frattura politica e scollamento sociale (in Bolivia un referendum promosso da Evo Morales per cambiare in quel senso la costituzione era stato da lui perso nel 2016) e hanno aperto una ferita non più rimarginata.
La decisione di Evo di ripresentarsi per un terzo mandato presidenziale nelle elezioni del 2019, forte di una sentenza ad hoc che stabiliva il suo diritto a farlo nonostante l’esito del referendum del 2016, ha dato spazio ai tumulti dell’anno scorso e ha aperto una breccia cavalcata da golpisti, detrattori di Evo e oppositori delle rivendicazioni indigene. Rivendicazioni, quelle indigene, molto eterogenee e che si erano anche scontrate in passato con le politica del MAS, come ricorda l’esperto in cooperazione Tirso Puig de la Bellacasa citando i fatti del TIPNIS nel 2011 e i più recenti incendi controllati del 2019, promossi dal governo per favorire l’ampliamento della frontiera agricola.
Oggi però, la Bolivia indigena che esce dalle elezioni sembra essersi ricompattata sotto la bandiera del MAS, facendo fronte comune contro l’irruenza violenta e sovversiva dei sostenitori di Camacho, espressione delle Mezza Luna “bianca e ricca” che si contrappone storicamente all’ovest “indigeno e impoverito”.
Le risorse del territorio saranno un altro elemento di peso nella scacchiera boliviana, dove gas, litio e piantagioni di coca rappresentano le principali commodities e beni di esportazione. Valerio Mancini, politologo ed esperto in relazioni internazionali con alle spalle 10 anni spesi in America Latina, hasottolineato infatti le relazioni tra le coltivazioni delle piante di coca in Bolivia ed i flussi di cocaina (ottenuto da un processo di raffinazione che parte dalle foglie di coca) gestiti dai grandi cartelli del narcotraffico latinoamericani. Uno contesto complesso dunque, pieno di colpi di scena e dove la strategia della tensione (vedi attentato a Luis Arce) mantiene in allerta gli osservatori internazionali: nel frattempo, Evo Morales è appena tornato dall’esilio.
di Diego Battistessa per greenreport.it*
*Diego Battistessa è docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com
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