Microplastiche, il Po (a sorpresa) sta meglio del previsto
Nel più grande fiume italiano ci sono meno microplastiche di quelle rinvenute nella Senna o nel Tamigi
[12 Novembre 2020]
Il Po è vivo è lotta insieme a noi contro le microplastiche. Grazie ai depuratori soprattutto. Sono le conclusioni del Manta River Project (così ribattezzato dalla forma dello strumento utilizzato per svolgere il campionamento in acqua), che dopo mesi di analisi consegna i risultati dell’avanzata ricerca pianificata e coordinata dall’Autorità distrettuale del fiume Po-Ministero dell’Ambiente in collaborazione con i laboratori dell’Università La Sapienza di Roma, la struttura operativa Arpae Daphne della Regione Emilia Romagna (da anni svolge le analisi anche in mare) e Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po), che ha fornito supporto logistico e mezzi.
Il progetto – viene spiegato dall’Anbi, l’associazione nazionale dei Consorzi di bonifica – alla luce dei risultati emersi stupisce consegnando al distretto del Grande Fiume e alle sue comunità un quadro complessivo più rassicurante di quanto sarebbe lecito attendersi. Per molti, infatti, il Po è il grande malato, il fiume più lungo e ritenuto tra i più inquinati d’Italia. Ma ad esempio – come documenta l’Anbi – si può affermare che “la presenza diffusa di microplastiche e la loro quantità ad oggi non rientrano in un livello di criticità e, pur partendo dal presupposto che la loro presenza rappresenta comunque un problema da risolvere al meglio con azioni concrete, lo scenario conferma chiaramente che anche sotto questo profilo lo stato della risorsa idrica del Po non è allarmante”.
Non solo, l’analisi condotta “dimostra, in sostanza, che l’incremento del numero di depuratori ha prodotto, con il trascorrere del tempo, esiti positivi e che l’introduzione della pratica della “raccolta differenziata” in vaste aree del Nord del Paese sta dando progressivamente buoni frutti anche da questa prospettiva”. Più che la raccolta differenziata, in questo caso è lecito supporre che possa aver avuto un impatto maggiore la semplice ma determinante azione di quei cittadini che anziché gettare i propri rifiuti nell’ambiente li abbiano conferiti dentro un cestino. Che sia quello della raccolta differenziata è determinante per il successivo avvio a riciclo, ma anche la vecchia raccolta indifferenziata – se fatta correttamente – impedisce che i nostri rifiuti finiscano nel fiume e da lì in mare.
La cosa interessante è che lo studio attesta che le acque del Po stanno anche molto meglio di quelle di altri grandi fiumi del pianeta: ha un numero su unità di volume di microplastiche, oscillante tra 2.06 e 8.22, mentre la Senna in Francia è tra 9.6 e 63.9 (ricerca 2019 Alligant), il Oujiang, Minjiang Cina 100-4100 (ricerca Zhao 2019), il Tamigi Gran Bretagna 14.2-24.8 (ricerca Rowley 2020), mentre il Clyde, Bega e Hunter estuary in Australia 98-1032 (ricerca Hitchcock &Mitrovic 2019).
Ma “tutto questo – sottolineano dall’Anbi – non deve assolutamente far abbassare la guardia nella lotta all’abbattimento di tutte le possibili presenze di materiali plastici (macro e micro) nelle acque dei nostri fiumi, ma rafforzare il convincimento che la strada imboccata è quella dei comportamenti virtuosi e delle azioni corrette”.
Entrando nel merito dello studio, i punti di prelievo all’interno delle aree individuate come rappresentative dai ricercatori sono stati: Isola Serafini (Piacenza), Boretto (Reggio Emilia), Pontelagoscuro (Ferrara), Po di Goro-Delta (Rovigo).
Sul totale dei materiali raccolti, su cui è stato possibile determinare la provenienza, emerge un 22% di materiali industriali da imballaggio, un 10% provenienti da sorgenti civili e un 56% di provenienza da scarichi di depuratori, pesca, rifiuti di origine civile e sanitaria o agricola. L’obiettivo dello studio ha identificato, oltre alla tipologia dei materiali campionati, il riconoscimento del tipo di polimero per ogni particella analizzata, la caratterizzazione morfologica e morfometrica delle microplastiche, la correlazione tra il polimero e attributi morfologici e morfometrici delle microplastiche rinvenute. Nel dettaglio la correlazione tra la tipologia di polimero e la categoria di microplastica ci testimonia la presenza di: frammenti (costituiti principalmente da polietilene (circa il 90%: i due polimeri più richiesti dal mercato per la produzione di imballaggi); i filamenti costituiti da poliammide, seguiti da polipropilene e polietilene, categoria di origine secondaria e derivata dalla degradazione di corde, tessuti e fili per la pesca; granuli (polipropilene, polietilene e polistirene espanso) anch’essi di origine secondaria come progressivo processo di degradazione dei rifiuti plastici di maggiori dimensioni; infine i pellet, considerati in base alla loro forma di origine primaria (polietilene, polipropilene per il 95%): anch’essi polimeri utilizzati per lo più per le lavorazioni industriali.
“Questo risultato – sottolinea il segretario generale dell’Autorità distrettuale del fiume Po, Meuccio Berselli – fornisce importanti indicazioni sulle possibili strategie d’intervento, legate alla riqualificazione e valorizzazione delle zone laterali dei corsi d’acqua e delle importanti reti di canali artificiali di bonifica come possibili fitodepuratori dei carichi di inquinanti, che sono veicolati nei corsi d’acqua principali affluenti del Po.”
“La lotta alle plastiche e microplastiche nei bacini idrografici – evidenzia infine il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Roberto Morassut – è essenziale per definire le strategie di aggressione e lotta per l’abbattimento di questi materiali inquinanti anche nei nostri mari e nel Mediterraneo; oggi questa è una emergenza. La nostra legislazione si sta muovendo in modo molto concreto e alle misure legislative del decreto Salvamare faremo seguire, a breve, le azioni operative per raggiungere l’obiettivo. Lodevole questa iniziativa dell’Autorità del Po, che aiuta il percorso nazionale, volto a restituire ai nostri fiumi, laghi e mari la loro dimensione naturale e la piena fruibilità per la fauna ittica e per la popolazione”.