Cannabis: il CBD non è stupefacente. Sentenza della Corte di giustizia europea
Coldiretti: «Bene Corte Ue, in Italia 4mila ettari». Forum Droghe: «il Ministro Speranza ne prenda atto, annulli il decreto sul CBD ed apra un dialogo con la Società Civile»
[20 Novembre 2020]
Secondo una sentenza emessa ieri dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea: «Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi».
Nel caso esaminato, il CBD era prodotto nella Repubblica ceca a partire da piante di canapa coltivate legalmente e utilizzate nella loro interezza, foglie e fiori compresi e poi veniva importato in Francia per produrre cartucce per sigarette elettroniche. La Corte conclude che «Il giudice nazionale deve valutare i dati scientifici disponibili al fine di assicurarsi che l’asserito rischio reale per la salute non risulti fondato su considerazioni puramente ipotetiche. Infatti, un divieto di commercializzazione del CBD, che costituisce, del resto, l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottato soltanto qualora tale rischio risulti sufficientemente dimostrato».
Per Leonardo Fiorentini, segretario nazionale di Forum Droghe « La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso C-663/18 è una decisione importante, perché oltre a ribadire la libertà di circolazione delle merci prodotte in Europa, bocciando la pretestuosa normativa francese che impediva l’importazione e la commercializzazione di estratti dell’intera pianta (infiorescenze comprese), fissa un importante principio rispetto allo status normativo del CBD, peraltro a pochi giorni dalla decisione dell’UE di aumentare nella PAC il limite di THC ammesso nelle colture di cannabis industriale. Per la Corte di Giustizia allo stato attuale delle conoscenze scientifiche il CBD non sembra avere alcun effetto psicotropo né pare provocare alcun danno alla salute. Per questo il CBD non può essere ricondotto alle sostanze stupefacenti oggetto di controllo da parte delle Convenzioni internazionali del 1961 e 1971, nelle quali peraltro non è nominato».
Fiorentini evidenzia che «Il giudizio dei magistrati dell’Unione tiene conto dell’opinione della massima autorità medica mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ormai due anni fa ha raccomandato all’ONU di modificare lo status della cannabis e dei suoi derivati nelle convenzioni, riconoscendone il valore terapeutico. In particolare, l’OMS ‘ha raccomandato di aggiungere una nota in calce all’Allegato I della Convenzione Unica sugli stupefacenti del 1961 che reciti: I preparati contenenti prevalentemente cannabidiolo (CBD) e non più dello 0,2 percento di THC non sono soggetti ai controlli internazionali».
Il segretario di Forum Droghe conclude: «A questo punto, il ministro Speranza ed il Governo devono prendere atto non solo delle indicazioni scientifiche dell’OMS, ma anche dell’orientamento giurisprudenziale dell’Unione Europea. Va ritirato il decreto che inseriva i preparati con CBD nelle tabelle dei medicinali stupefacenti, ed avviato un confronto con la Società Civile che da mesi, anche con un digiuno a staffetta che ha raggiunto i 300 aderenti, ha chiesto di non fare passi indietro sulla cannabis terapeutica, ed anzi di riprendere un percorso riformatore come sta avvenendo nelle Americhe, in Israele o nel più vicino Lussemburgo».
Esulta anche Coldiretti: «La sentenza della Corte Ue apre nuove opportunità per centinaia di aziende agricole che in Italia hanno investito nella coltivazione della cannabis con i terreni coltivati che nel giro di cinque anni sono aumentati di 10 volte superando i 4000 ettari. La coltivazione si estende da Nord a Sud della penisola, dal Piemonte alla Puglia, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Si tratta in realtà di un ritorno per una coltivazione che fino agli anni ‘40 era più che familiare in Italia, tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). Il declino è arrivato per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, ma anche dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un ombra su questa pianta».
La più grande organizzazione agricola italiana ricorda che «La controversia, che ha origine dal divieto contenuto nella legislazione francese di commercializzare il CBD, apre alla possibilità di un utilizzo in quanto sostanza diversa da uno stupefacente non risultando avere effetti psicotropi e nocivi per la salute umana. Viene meno, dunque, la scelta di classificare le composizioni per la somministrazione ad uso orale di cannabidiolo come medicinali insieme a interpretazioni restrittive che le autorità di controllo hanno ancora di recente adottato ai fini del rilascio del mantenimento e del rinnovo delle autorizzazioni alla vendita di prodotti tipici da inalazione. Si aprono, dunque prospettive commerciali del tutto inesplorate perché, sempre che i dati scientifici disponibili consentono di escludere l’assenza di rischi reali sulla salute in base a indici oggettivi e non ipotetici, è possibile costruire una filiera che dal campo arrivi alla immissione al consumo di prodotti da impiegare per sigarette elettroniche».
Coldiretti sta lavorando da tempo con la Federazione nazionale dei tabaccai per «costruire una filiera di produzione certificata che possa offrire tutte le garanzie necessarie alla tutela della salute e naturalmente conforme alla disciplina previsa per le rivendite di generi di monopolio, essendo i prodotti da fumo assimilati al tabacco».