Un po’ di speranza per la biodiversità dei vertebrati
La protezione della natura funziona: sono le perdite estreme in alcune popolazioni a guidare l'apparente declino globale dei vertebrati
[26 Novembre 2020]
Secondo lo studio “Clustered versus catastrphic global vertebrate declines”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori canadesii, statuinitensi e britannici guidato dal biologo Brian Leung della McGill University, nonostante quanto si sia pensato e detto finora, «Le popolazioni di vertebrati – dagli uccelli e pesci alle antilopi – non sono, in generale, in declino».
Il team internazionale di biologi ha scoperto che «Il quadro del drastico declino delle popolazioni di vertebrati di tutti i tipi è guidato da un piccolo numero di popolazioni anomale il cui numero sta diminuendo a tassi estremi. Una volta che questi valori anomali vengono separati dal mix, emerge un quadro molto diverso e molto più promettente della biodiversità globale (Le popolazioni sono gruppi di individui della stessa specie che vivono in una particolare area, e quindi la diminuzione delle dimensioni della popolazione precederà la perdita di specie). Tutto si riduce a matematica, modellazione e diversi approcci al calcolo delle medie».
Sulla base dei dati storici del monitoraggio della fauna selvatica, si stima che, dal 1970, le popolazioni di vertebrati siano diminuite in media di oltre il 50%. Leung, biologo della McGill, dell’UNESCO Chair in Dialogues for Sustainability, Research e dello Smithsonian Tropical Research Institute, fa notare v<che «Tuttavia, dati i precedenti metodi matematici utilizzati per modellare le popolazioni di vertebrati, questa stima potrebbe derivare da due scenari molto diversi: cali sistematici diffusi o alcuni cali estremi. In questo studio i ricercatori hanno affrontato la questione in modo diverso».
I ricercatori scrivono che «Sebbene la concentrazione di tendenze demografiche disparate in un unico indice globale possa focalizzare l’attenzione sulle tendenze della biodiversità, metriche semplici possono distorcere il quadro completo». E’ più o meno quel che succede con il salario medio, che generalmente risulta notevolmente più alto di quello che la maggior parte delle persone guadagna perché la media è distorta dai redditi estremamente alti una ridotta élite.
Per approfondire la questione, il team di ricercatori ha utilizzato i dati di oltre 14.000 popolazioni di vertebrati di tutto il mondo raccolti nel Living Planet Database e hanno identificato circa l’1% delle popolazioni di vertebrati che hanno subito cali estremi della popolazione dal 1970. Quando hanno tenuto conto di questo 1% “estremo”, i ricercatori hanno scoperto che, nel loro insieme, «Le restanti popolazioni di vertebrati non erano né in aumento né in diminuzione».
Leung evidenzia che «Anche la variazione in questo aggregato globale è importante. Alcune popolazioni sono davvero in difficoltà e regioni come l’Indo-Pacifico stanno mostrando cali sistematici diffusi. Tuttavia, l’immagine di un “deserto della biodiversità” globale non è supportata dalle prove..Vogliamo essere chiari: ci sono problemi per la biodiversità, ma non è tutta in declino in tutto il mondo, né senza speranza. Questo è positivo, in quanto sarebbe molto scoraggiante se tutti i nostri sforzi per la conservazione negli ultimi cinque decenni avessero avuto scarso effetto Questo suggerisce che possiamo migliorare l’ambiente e che i nostri sforzi negli ultimi decenni non sono andati sprecati. In realtà Molti sistemi stanno migliorando, soprattutto nelle regioni settentrionali e temperate».
Lo studio punta a individuare le aree che possono essere prioritarie per la conservazione: quelle che subiscono una perdita sistematica si trovano in gran parte nella regione indo-pacifica, inclusi uccelli e mammiferi d’acqua dolce. Anche i rettili del Nord, Centro e Sud America hanno mostrato perdite estreme. La metà dei gruppi di animali che hanno subito cali estremi della popolazione sono i mammiferi marini artici. «Ma nel complesso, i sistemi dei mammiferi hanno avuto cali meno estremi rispetto ad altri gruppi – dicono i ricercatori – I sistemi di uccelli e pesci hanno mostrato le diminuzioni più drammatiche della popolazione, seguiti da rettili e anfibi».
Un altro fattore che influisce sono le dimensioni corporee: le specie più grandi se la cavano peggio delle specie più piccole, «Ciò supporta le nozioni di declassamento trofico – scrivono gli autori dello studio – che si riferisce all’impatto a valle della perdita di predatori apicali sugli ecosistemi».
I ricercatori pensano che i trend divergenti sulla biodiversità che hanno scoperto «Probabilmente riflettono diverse vulnerabilità agli impatti ambientali umani, che devono essere presi in considerazione per produrre cambiamenti significativi. Svelare questa variazione è fondamentale per capire in quali regioni la biodiversità è maggiormente minacciata e quali azioni di conservazione promuovono la sua stabilità o il suo recupero. Una dibattito globale produttivo sulla conservazione richiede che sia gli scienziati che i media prestino maggiore attenzione alla variazione e resistano alla tentazione di semplici indici riassuntivi».
Un’altra autrice dello studio, Anna Hargreaves, che insegna al Dipartimento di biologia della McGill University, conclude: «Siamo rimasti sorpresi da quanto sia stato forte l’effetto di queste popolazioni estreme nel guidare la precedente stima del declino globale medio. I nostri risultati identificano le regioni che necessitano di un’azione urgente per migliorare la diffusa diminuzione della biodiversità, ma danno anche motivo per sperare che le nostre azioni possano fare la differenza».