In Italia i migranti guadagnano in media il 30% in meno dei lavoratori nazionali
Rapporto Ilo: in molti Paesi ad alto reddito aumenta il gap retributivo dei migranti, in alcuni arriva al 42%
[15 Dicembre 2020]
Secondo il nuovo rapporto “The migrant pay gap: Understanding wage differences between migrants and nationals” dell’International labour organization (Ilo) «I migranti guadagnano in media il 13% in meno dei lavoratori nazionali nei Paesi ad alto reddito. In alcuni Paesi come Cipro, Italia e Austria il divario retributivo orario è, rispettivamente del 42, 30 e 25%. In Finlandia, il divario è del 9%, al disotto della media dell’Unione Europea che si attesta all’11%».
E l’Ilo, precisa che «Negli ultimi cinque anni, il divario retributivo dei migranti è aumentato in alcuni paesi ad alto reddito. In Italia, ad esempio, secondo gli ultimi dati, i lavoratori migranti guadagnano il 30% in meno (nel 2015 il divario era del 27%o) rispetto ai lavoratori nazionali. In Portogallo il divario è del 29% – rispetto al 25% del 2015 – e in Irlanda del 21% (19%nel 2015)».
Insomma, gli immigrati non ci rubano il lavoro, sono i nostri datori di lavoro a pagarli molto meno dei lavoratori nazionali, fino ad arrivare a veri e propri casi di semi-schiavitù e lavori forzati che purtroppo esistano anche in Italia. Ed è su questo basso costo del lavoro che si basano i bassi prezzi dei prodotti che compriamo nei supermercati.
L’analisi dell’Ilo dimostra infatti che «I migranti sono soggetti a problemi di discriminazione ed esclusione in tutti i Paesi. Questi problemi sono stati ulteriormente aggravati dalla pandemia di Covid-19».
E il rapporto conferma che i migranti fanno lavori sottopagati e precari che i cittadini dei Paesi ricchi difficilmente farebbero: «I migranti hanno maggiori probabilità di avere un lavoro precario, con il 27% di essi con contratti a tempo determinato e il 15% con contratto di lavoro part-time. I migranti sono sovra-rappresentati in nel settore primario — agricoltura, pesca e silvicoltura — e occupano più posti di lavoro rispetto ai lavoratori nazionali nel settore secondario — attività estrattive; industria manifatturiera; elettricità, gas e acqua e edilizia».
Michelle Leighton, a capo della Divisione sulle migrazioni per lavoro dell’Ilo, sottolinea che «I lavoratori migranti si trovano spesso di fronte a disuguaglianze di trattamento nel mercato del lavoro, anche rispetto ai trattamenti salariali, l’accesso all’occupazione e alla formazione, le condizioni di lavoro, la sicurezza sociale e i diritti sindacali. Essi svolgono un ruolo fondamentale in molte economie. Non possono essere considerati come cittadini di seconda classe».
Inoltre, I lavoratori migranti guadagnano meno di quelli nazionali con qualifiche simili nella stessa categoria professionale e hanno maggiore probabilità di svolgere lavori meno qualificati e scarsamente retribuiti che non corrispondono alla loro istruzione e formazione e alle loro competenze. »Questo – dicono all’Ilo – potrebbe essere dovuto a discriminazione durante il reclutamento. Nei Paesi ad alto reddito, i lavoratori migranti con un livello di istruzione più elevato hanno meno probabilità di ottenere un lavoro in professioni più qualificate».
Il rapporto fa l’esempio di Usa e Finlandia, dove, mentre la quota dei lavoratori migranti con un’istruzione secondaria è rispettivamente del 78 e del 98%, la quota dei lavoratori migranti in lavori ad alta qualifica o in quelli semi-specializzati è rispettivamente del 35% e del 50%. Questo riflette il fatto che «I lavoratori migranti hanno difficoltà a trasferire le loro competenze ed esperienza da un Paese all’altro, in gran parte a causa della mancanza di sistemi di riconoscimento delle competenze e delle qualifiche dei lavoratori migranti».
Nei Paesi a basso e medio reddito, la situazione è inversa: «I lavoratori sono di solito migranti temporanei con alta qualifica. Essi tendono ad avere una retribuzione oraria superiore del 17,3% rispetto ai lavoratori non migranti».
E le lavoratrici migranti sono doppiamente discriminate, Il rapporto denuncia che «Le lavoratrici migranti devono affrontare una doppia penalizzazione salariale, sia come migranti che come donne. Nei paesi ad alto reddito, il divario retributivo orario tra lavoratori nazionali di sesso maschile e lavoratrici migranti è stimato a quasi il 21%. Si tratta di un valore superiore al divario di retribuzione di genere (16%) in questi Paesi. Ciò è in parte dovuto al fatto che le lavoratrici migranti sono una quota cospicua del totale del lavoro domestico svolto da migranti (il 73% o 8,45 milioni del totale). Nei Paesi ad alto reddito, il divario retributivo tra lavoratori migranti e non migranti è di circa il 19%».
In questa situazione di già tragica ingiustizia è arrivata la pandemia di Covid-19 che ha avuto un impatto più importante sulla salute e sui redditi dei lavoratori migranti rispetto al resto degli occupati. Il rapporto conclude facendo notare che «All’inizio della crisi del Covid-19, decine di milioni di lavoratori migranti sono stati costretti a tornare a casa dopo aver perso il lavoro. In generale e rispetto ai lavoratori nazionali, il lavoro dei migranti è meno adatto al telelavoro e più esposto al contagio del virus, dato che molti di loro sono lavoratori in prima linea».