La microplastica in mare la soffia il vento
La scoperta di microplastiche nell'aria sopra l'oceano rivela la diffusione di questo pericoloso inquinamento
[28 Dicembre 2020]
Poiché la plastica nei nostri oceani si scompone in pezzi sempre più piccoli senza rompersi chimicamente, le microplastiche risultanti stanno diventando un serio problema ecologico. Un nuovo studio “Airborne microplastic particles detected in the remote marine atmosphere”, pubblicato su Communications Earth & Environment da un team di ricercatori israeliani e francesi guidato dal Weizmann Institute of Science rivela un altro aspetto preoccupante della diffusione delle microplastiche: «Sono trascinate nell’atmosfera e trasportati dal vento in parti remote dell’oceano, comprese quelle che sembrano essere limpide». L’analisi rivela che questi minuscoli frammenti possono restare in volo per ore o giorni, diffondendo così materiali che possono danneggiare l’ambiente marino e, risalendo la catena alimentare, di influire sulla salute umana.
La principale autrice dello studio Miri Trainic del, spiega che «Una manciata di studi ha trovato microplastiche nell’atmosfera proprio sopra l’acqua vicino alle coste. Ma siamo rimasti sorpresi di trovarne una quantità non banale sopra l’acqua apparentemente incontaminata».
Altri autori dello studio, Ilan Koren e Assaf Vardi e il Yinon Rudich del Department of Earth and Planetary Sciences del Weizmann Institute of Science collaborano da diversi anni a studiare e a comprendere l’interfaccia oceano-aria e ricordano che «Mentre il modo in cui gli oceani assorbono i materiali dall’atmosfera è stato ben studiato, il processo nella direzione opposta – aerosol, in cui sostanze volatili, i virus, i frammenti di alghe e altre particelle vengono trascinati dall’acqua di mare nell’atmosfera – è stato molto meno studiato».
Per realizzare questo studio, sono stati raccolti campioni di aerosol nel 2016, durante la crociera della nave da ricerca Tara, una goletta utilizzata da diversi team di ricerca internazionali per studiare gli effetti del cambiamento climatico soprattutto sulla biodiversità marina. I campioni, raccolti da un dispositivo posto in cima a uno degli alberi della Tara, (in modo da evitare eventuali aerosol prodotti dalla goletta stessa) sono stati poi analizzati dai laboratori del Weizmann. Michel Flores, del team di Koren ha raccolto campioni di aerosol mentre la Tara attraversava l’Oceano Atlantico settentrionale.
Identificare e quantificare i bit di microplastica intrappolati nei campioni di aerosol è stato tutt’altro che facile perché le particelle si sono rivelate difficili da individuare al microscopio. Per capire esattamente quale plastica stesse entrando nell’atmosfera, il team ha condotto misurazioni spettroscopiche Raman, con l’assistenza di Iddo Pinkas del Department of Chemical Research Support, Weizmann Institute of Science, per determinarne la composizione chimica e le dimensioni delle microplastiche. I ricercatori hanno rilevato nei loro campioni «Alti livelli di plastiche comuni: polistirolo, polietilene, polipropilene e altro». Quindi, «Calcolando la forma e la massa delle particelle di microplastica, insieme alle direzioni e alle velocità medie del vento sugli oceani, il controllo dell’acqua di mare al di sotto dei siti campione ha mostrato lo stesso tipo di plastica dell’aerosol, fornendo supporto all’idea che le microplastiche entrino nell’atmosfera attraverso le bolle sulla superficie dell’oceano o vengano raccolte dai venti e trasportate dalle correnti d’aria verso parti remote dell’oceano».
Trainic spiega che «Una volta che le microplastiche sono nell’atmosfera, si seccano e sono esposte alla luce UV e ai componenti atmosferici con cui interagiscono chimicamente. Questo significa che è probabile che le particelle che ricadono nell’oceano siano ancora più dannose o tossiche di prima per qualsiasi vita marina che le ingerisce». Vardi aggiunge che «Inoltre, alcune di queste plastiche diventano impalcature per la crescita batterica di tutti i tipi di batteri marini, quindi la plastica trasportata dall’aria potrebbe offrire un passaggio gratuito ad alcune specie, inclusi i batteri patogeni che sono dannosi per la vita marina e gli esseri umani».
Secondo Trainic, «La quantità reale di microplastica negli aerosol oceanici è quasi certamente maggiore di quanto hanno mostrato le nostre misurazioni, perché la nostra configurazione non è stata in grado di rilevare quelle particelle di dimensioni inferiori a pochi micrometri. Ad esempio, oltre alla plastica che si scompone in pezzi ancora più piccoli, ci sono le nanoparticelle che vengono aggiunte ai cosmetici e che vengono facilmente dilavate nell’oceano o che si formano nell’oceano attraverso la frammentazione della microplastica».
E, nel caso delle particelle di plastica le dimensioni contano, non solo perché quelle più leggere possono rimanere sospese nell’aria per periodi più lunghi. »Quando si posano sulla superficie dell’acqua – dicono i ricercatori israeliani – è più probabile che vengano mangiate da una forma di vita marina altrettanto piccola, che, ovviamente, non può digerirle. Pertanto, ognuna di queste particelle ha il potenziale di danneggiare un organismo marino o di risalire la catena alimentare e nel nostro corpo».
Koren conclude: «Ultimo, ma non meno importante, come tutti gli aerosol, le microplastiche diventano parte dei grandi cicli planetari – per esempio, carbonio e ossigeno – mentre interagiscono con altre parti dell’atmosfera. Poiché sono sia leggeri che di lunga durata, anche se non aggiungiamo altra plastica nei nostri corsi d’acqua, mentre le plastiche che stanno già inquinando i nostri oceani si disgregano, vedremo più microplastiche trasportate nell’aria».