Sul Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi in Italia e in Sicilia
Janni (Italia Nostra Sicilia): «Appare inammissibile ogni presa di posizione contraria all’ubicazione del Deposito nazionale, che sia aprioristica e non motivata»
[14 Gennaio 2021]
Riceviamo e pubblichiamo
A seguito della lettera di messa in mora che la Commissione Europea ha inviato all’Italia, con ben 6 anni di ritardo è arrivato, con il nulla osta del Ministero dello Sviluppo e del Ministero dell’Ambiente, il via libera alla Sogin per la pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), del progetto preliminare e dei documenti correlati per la costruzione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La Sogin è la società statale responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Sarebbero 67 i luoghi potenzialmente idonei (non tutti equivalenti, ma con differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche che posseggono) a ospitare il Deposito nazionale di rifiuti radioattivi individuati in sette regioni: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia (in provincia di Caltanissetta, Trapani e Palermo con i comuni di Butera, Trapani, Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula, Petralia Sottana).
Prima di esprimere qualunque giudizio, forse dovremmo tutti ricordare o sapere che la carta per le attuali stampanti e le fotocopiatrici non si inceppa perché c’è un controllo radiologico che consente spessori omogenei e perfetti. Le rotaie delle ferrovie e le ruote dei treni sono controllate all’interno tramite “gamma-grafie” che aumentano moltissimo la sicurezza da disastri ferroviari per rottura di parti interne non visibili all’ispezione visiva. Per una radiografia alla tiroide ci viene somministrato iodio radioattivo, ovviamente in dosi piccole, ma radioattivo. I malati di tumore sono sottoposti a radioterapia per l’eliminazione delle cellule impazzite. Si potrebbe continuare a lungo, ma dei 33.000 metri cubi di rifiuti radioattivi esistenti, prodotti per questo genere di impieghi, si stima che altri 44.000 verranno aggiunti nei prossimi 50 anni. Che fare? Trattandosi di bassa e media attività, il decadimento completo avverrà nel corso di qualche centinaio di anni.
Ma per quelli ad alta attività, di cui non siamo responsabili diretti ma sicuramente responsabili come collettività, occorre trovare una soluzione, che non può che essere temporanea, né rivedibile in qualsiasi momento.
Siamo perplessi, preoccupati, è ovvio ma negli anni ’60 i rifiuti radioattivi venivano affondati in mare, con contenitori chiamati “siluri penetranti”: Greenpeace nacque per fermare quello scempio. Certo, è un’eredità scomoda, brutta, ma affrontabile. Lo abbiamo fatto, lo stiamo facendo con l’amianto, con i siti industriali contaminati. Adesso tocca farlo, bene, per gli esiti della stagione nucleare passata e per gli usi attuali del nucleare civile in produzioni di qualità e per utilizzi legati alla sicurezza.
Dunque, alla luce di tali considerazioni, appare inammissibile ogni presa di posizione contraria all’ubicazione del Deposito nazionale, che sia aprioristica e non motivata. Sono inaccettabili le spinte populiste e di effimera convenienza politica. La Direttiva Europea Euratom 2011/70 stabilisce che ciascun Paese ha la responsabilità di allocare i propri rifiuti radioattivi entro i confini nazionali. I depositi nazionali in Europa sono 19. Insomma: noi abbiamo prodotto quei rifiuti e continueremo a produrli (nel campo della medicina, della ricerca, della sicurezza aerea, ferroviaria, per la verifica della perfezione delle saldature, per la più perfetta misura delle lamine sottili e tanto altro ancora) e noi dobbiamo gestirli, responsabilmente. Vogliamo forse correre il rischio di perderne il controllo, come avviene da anni nel campo delle materie plastiche e dei rifiuti elettronici con cui stiamo creando gigantesche colline artificiali fortemente inquinate e omicide in Africa? O spedirle in Russia in siti già contaminati, densamente abitati ove vigono cautele non paragonabili alle nostre?
Dobbiamo gestirli anche perché sappiamo gestirli abbiamo professionalità, capacità, tecnologie adeguate e un’opinione pubblica vigile in grado di imporre massima sicurezza e precauzione. Occorre però un processo partecipato e trasparente. L’aderenza, per esempio, ai criteri fissati nella Guida Tecnica n. 29, dell’ISPRA, pubblicata nel 2014 (e sottoposta a revisione nell’ambito dell’Agenzia Atomica Internazionale dell’ONU – IAEA) deve essere esposta pubblicamente, deve essere oggettiva, misurata e verificabile. La scelta del sito non può essere viziata, condizionata dagli opportunismi politici, ma essere oggettivamente la migliore possibile. La Guida è basata anche su 8 disposizioni di legge in materia ambientale che ne coprono tutti i settori e le matrici che interessano la biosfera: biodiversità, aree protette, acqua, aria e suolo. Tra i criteri di esclusione non c’è solo l’esistenza di aree protette, ma anche le aree esterne, vicine ad esse o di collegamento ecologico. Il futuro Deposito nazionale sarà oggetto di due procedure di valutazione: quella di compatibilità radiologica e la V.I.A. Nazionale, anch’essa con ulteriore consultazione pubblica. C’è da lavorare molto per parteciparvi, da cittadini responsabili e protagonisti.
Cose non ci convince, comunque, del progetto previsto?
1) Una questione di tanto interesse nazionale non può essere delegata ala Sogin, ma deve vedere in prima fila il Governo, a partire dai ministri per l’ambiente e per lo sviluppo economico che appaiono defilati. E magari – perché no – il ministro per l’agricoltura e quello i beni e le attività culturali.
2) La consultazione pubblica avviata è monca: gli atti e i progetti sono consultabili presso le sedi delle centrali nucleari e della stessa Sogin, mentre dovrebbero essere messi on-line, munite anche di una sintesi accessibile e comprensibile a tutti i cittadini.
3) La previsione del confinamento geologico per i rifiuti ad alta attività è da scartare a priori; al suo posto bisognerebbe prevedere un “deposito intermedio”, vale a dire soluzioni – ancorché costose – che siano reversibili nei decenni, nei secoli che verranno. L’isolamento geologico ha già fallito in Germania in ben due occasioni (in miniere di salgemma) mentre esistono contenitori (cosiddetti Casks) per lo stoccaggio in sicurezza, rimovibili se in futuro ci saranno soluzioni migliori. Convince, invece, la realizzazione del Parco Tecnologico annesso al Deposito nazionale: che il deposito non sia un oggetto cimiteriale, gravato da perenne sospetto di nocività, ma un luogo vivo, frequentato da ricercatori, in cui abitino i gestori con le proprie famiglie, a testimonianza dell’inesistenza di pericoli. Ci vedremmo anche il “Museo nazionale dell’Energia”, dalla scoperta del fuoco, passando per la ruota idraulica, fino ai pannelli fotovoltaici, al solare termodinamico e all’era dell’idrogeno. Un centro di documentazione e ricerca per un futuro sostenibile e de-nuclearizzato.
In conclusione, il tema del Deposito nazionale di rifiuti radioattivi va affrontato con serietà, anteponendo ad ogni facile slogan o demagogica presa di posizione, la competenza tecnico-scientifica e la consapevolezza normativa. E comunque: la Sicilia è oggettivamente un territorio non adatto a ospitare un sito del genere. L’Isola è a rischio sismico e idrogeologico; la sua insularità, la sua distanza dai luoghi di prelievo delle scorie la rende difficilmente raggiungibile; le sue infrastrutture sono carenti e il tema del trasporto è fondamentale. Non solo: il criterio di approfondimento n. 11 (ISPRA – Guida tecnica n. 29) afferma che “per la scelta del luogo occorre analizzare se le zone indicate abbiano produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico”. Di certo, negli anni scorsi, la nostra straordinaria Isola ha subito danni ambientali e paesaggistici rilevantissimi dall’insediamento dei mega impianti petrolchimici lungo le coste e dalle discariche, controllate e non, su tutto il territorio, ma in particolare nella Sicilia Centrale. Ad ogni modo, sul tavolo del Governo, che fra 4 mesi sarà chiamato a decidere dove allocare le scorie, la Regione Siciliana ha tutto il tempo per presentarsi con uno studio ben fatto, con precise e documentate “osservazioni” volte ad escludere l’Isola, i suoi territori, dall’ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Noi di certo ci siamo, con un Osservatorio permanente cui chiamiamo a partecipare anche le altre associazioni territoriali, e saremo assai vigili.
di Prof. Leandro Janni, presidente regionale di Italia Nostra Sicilia