Ma resta ancora da scrivere il futuro di 500 lavoratori, tra occupati diretti e indotto

Anche il Portogallo sta per dire addio al carbone: chiusa la penultima centrale del Paese

Nel nostro Paese ne restano ancora attive nove invece, per tutte la chiusura sarà entro il 2025

[18 Gennaio 2021]

Nei giorni scorsi si è spenta definitivamente la centrale a carbone di Sines, nella regione dell’Alentejo, che – con la sua capacità installata di 1.296 megawatt – negli anni ‘90 era arrivata a fornire circa un terzo dell’energia consumata in Portogallo: già nel 2020 si era fermata ad appena il 4%, ma ciononostante secondo l’ong Europe Beyond Coal l’impianto finora aveva prodotto in media il 12% delle emissioni portoghesi di gas serra. Un rapporto costi-benefici enorme che ha condannato anzitempo la centrale, come riportano da Euractiv.

«In quattro anni, il Portogallo è passato dall’avere una strategia approssimativa per uscire dal carbone entro il 2030 a un piano concreto per farlo entro la fine dell’anno – commenta Kathrin Gutmann, campaign director di Europe Beyond Coal – La chiusura di Sines prima del termine previsto mette in luce che quando un paese si impegna a produrre energia pulita, l’economia delle energie rinnovabili garantisce la transizione molto rapidamente». Per l’unica altra centrale a carbone rimasta in attività in Portogallo, a Pego, la chiusura è infatti già prevista per il novembre di quest’anno. «Entro fine anno, quindi – osservano da Euractiv – il paese lusitano raggiungerà Belgio, Austria e Svezia nel club delle nazioni europee che hanno fatto a meno del carbone, a cui da qui al 2025 prevedono di aggiungersi anche Francia, Slovacchia, Irlanda e Italia, oltre al Regno Unito».

In ogni caso, adesso saranno necessari cinque anni per procedere allo smantellamento della centrale di Sines, ma il futuro per il sito produttivo resta un interrogativo. L’azienda energetica portoghese Edp, proprietaria dell’impianto di Sines, spiega che «resta allo studio la possibilità di sviluppare progetti che possano continuare a sfruttarne una parte», tra cui un progetto ancora allo studio per la produzione di idrogeno verde. L’unica certezza resta la necessità di individuare, e al più presto visto che la centrale è stata appena chiusa, una strategia per la giusta transizione dei lavoratori coinvolti nell’operazione. Come riporta Euractiv, Edp ha dichiarato di aver proposto «diverse opzioni» ai suoi 107 dipendenti, tra cui prepensionamenti o mobilità all’interno del gruppo, ma che «i colloqui sono ancora in corso»; in ogni caso i lavoratori che vivono giorni di profonda incertezza sono molti di più, perché tra occupati diretti e nell’indotto si arriva a quota 500.

Anche l’Italia è chiamata a stretto giro di posta ad affrontare le conseguenze della necessaria transizione, che prevede l’abbandono delle centrali a carbone entro il 2025. Mille giorni passano alla svelta, ma di fatto l’Italia non ha ancora un piano per la giusta transizione, anche se il carbone rappresenta una sfida di primo piano da affrontare: come spiega l’ultimo report nel merito redatto dal Wwf, in Italia sono in funzione 9 centrali a carbone: questi impianti nel 2017 avevano contribuendo a soddisfare solo il 9,8% del consumo interno lordo di energia elettrica (con 32.627,4 GWh), ma hanno prodotto quasi 28,7 milioni di tonnellate di CO2. Si tratta del 30,75% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale (93 MtCO2).