Greenpeace a Draghi: la transizione ecologica «non può ricadere sulle spalle dei più deboli»
Giannì: «Dovrà essere a carico di chi, anteponendo i propri profitti prima della salute delle persone e del Pianeta, ci ha condotto alla crisi climatica e ambientale in corso»
[16 Febbraio 2021]
C’è grande attesa per il discorso programmatico che il premier Mario Draghi è chiamato a tenere domani in Senato, per ottenere la fiducia: alla vigilia arriva da Greenpeace – tra le tre associazioni ambientalisti convocate da Draghi per le consultazioni svoltesi nei giorni scorsi – un invito ad «agire con concretezza e rapidità per contrastare l’emergenza climatica e ambientale». Senza tralasciare un aspetto fondamentale di ogni modello di sviluppo sostenibile: la sostenibilità sociale.
«La transizione ecologica è un processo necessario che non potrà prescindere da giustizia economica e sociale e inclusione – spiega Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia – Il costo di questa trasformazione, sempre più urgente, non può ricadere sulle spalle dei più deboli, ma dovrà essere a carico di chi, anteponendo i propri profitti prima della salute delle persone e del Pianeta, ci ha condotto alla crisi climatica e ambientale in corso». Nel merito, il primo riferimento portato da Greenpeace è il «settore dei combustibili fossili e quello della finanza»
Per l’organizzazione ambientalista, la prima azione concreta per dimostrare che il Governo va nella direzione di una vera transizione energetica è «una moratoria permanente a ogni nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e petrolio sul territorio nazionale, a terra e in mare. Lo stop temporaneo a queste attività – sancito dal primo governo Conte, poi prorogato dall’esecutivo uscente – è infatti scaduto, e da agosto potrebbero ripartire tutti i progetti tenuti in sospeso negli ultimi due anni».
Naturalmente occorrerebbe affiancare a una simile iniziativa imponenti investimenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che peraltro condurrebbe presto a importanti risparmi per il sistema-Paese nel suo complesso: a fronte di giacimenti nazionali assolutamente inconsistenti per sostenere il peso della domanda nazionale, nell’ultimo decennio abbiamo infatti speso circa 45 miliardi di euro all’anno solo per l’import di combustibili fossili destinati alla produzione di elettricità.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei fondi europei destinati alla transizione ecologica nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), Greenpeace rileva che «l’ultima versione del Pnrr presentata dal governo Conte, nonostante non contempli più i finanziamenti inizialmente previsti a un progetto inutile o potenzialmente dannoso a livello ambientale come il Ccs di Eni a Ravenna (esclusione che Greenpeace si attende sia confermata anche dal governo Draghi), è ampiamente migliorabile sui versanti delle rinnovabili, della mobilità, dell’economia circolare e dell’agricoltura».
In particolare, secondo l’associazione ambientalista per l’economia circolare «servono misure urgenti che seguano i principi base indicati dall’Europa come la prevenzione e la riduzione dei rifiuti prodotti, soprattutto quelli derivanti dalla frazione monouso. Senza il ricorso a false soluzioni, come l’incenerimento e la generazione di combustibili dalla plastica. Vanno invece messi subito in atto tutti quei provvedimenti che responsabilizzano i produttori, a partire dalla Plastic tax».
Sul punto è però utile ricordare che, seguendo “i principi base indicati dall’Europa” per la gestione dei rifiuti che produciamo ogni giorno, il recupero di energia – macrosettore nel quale rientra anche l’incenerimento di rifiuti – non rappresenta affatto una “falsa soluzione” ma un tassello ben preciso posto tra il riciclo e lo smaltimento. Per dargli il giusto peso basterebbe seguire la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti.