Clima, usare Bitcoin impatta 453mila volte in più di una transazione tradizionale
Se questa criptovaluta fosse uno Stato sarebbe tra i 30 maggiori consumatori di elettricità al mondo
[8 Marzo 2021]
La presidente della Banca centrale degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha recentemente bollato l’impiego di Bitcoin come «un modo estremamente inefficiente di condurre le transazioni», sottolineando che la quantità di energia che viene consumata nel processare quelle transazioni è sconcertante». Effettivamente, come riporta Element+ – la nuova pubblicazione digitale curata dal Gse – se il Bitcoin fosse uno Stato sarebbe tra i 30 maggiori consumatori di elettricità, prima di Olanda e Emirati Arabi Uniti.
«La creazione delle monete virtuali e la verifica delle transazioni – spiegano dal Gse – si basano su un processo informatico che prende il nome di mining. L’attività di mining richiede computer con una potenza di calcolo molto elevata ed una grande quantità di energia. Secondo una ricerca dell’università di Cambridge i Bitcoin consumano circa 121.36 terawattora (TWh) all’anno ovvero tanto quanto il fabbisogno energetico dell’intera Argentina».
Non è un caso se «la maggior parte» di queste operazioni viene svolta in Cina, dove il prezzo dell’elettricità è basso e al contempo la fonte utilizzata è prevalentemente il carbone. «Secondo Digieconomist, i Bitcoin hanno un’impronta di carbonio paragonabile a quella della Nuova Zelanda, con una produzione di 36,95 megatoni di CO2 all’anno. Traslato in termini più concreti – concludono dal Gse – l’impronta energetica di una transazione bitcoin equivale a 453.000 pagamenti con carta su rete Visa».