L’India contro gli Adivasi che difendono le loro terre ancestrali e i loro diritti (VIDEO)
Protesta a oltranza dei Jenu Kuruba per il diritto a restare nella riserva delle tigri. Arrestata l’attivista Hidme Markam
[23 Marzo 2021]
Nello Stato indiano del Karnataka , centinaia di Jenu Kuruba hanno iniziato una protesta a oltranza ai confini del Nagarhole National Park And Tiger Reserve, per chiedere alle autorità statali e al governo centrale dell’India di riconoscere i loro diritti a vivere nella loro terra ancestrale e di smettere di cercare di sfrattarli dalla foresta. La tribù dei Jenu Kuruba, che è diventata famosa per la sua capacità di raccogliere il miele delle api selvatiche, si è accampata davanti all’ufficio delle Guardie Forestali di Nagarhole.
Survival International spiega che «Le loro terre sono state trasformate in una riserva delle tigri per turisti e molti Jenu Kuruba sono già stati sfrattati con la forza dal Dipartimento indiano alle Foreste, con il sostegno della Wildlife Conservation Society. Secondo il Forest Rights Act (FRA) indiano, i Jenu Kuruba hanno il diritto di vivere, “proteggere” e “conservare” le proprie terre. I loro diritti territoriali avrebbero dovuto essere riconosciuti già molti anni fa – hanno inoltrato le loro richieste per la prima volta nel 2009. Ma, come per molti altri popoli indigeni del paese, le loro richieste sono state finora ignorate».
Uno dei leader Jenu Kuruba di Nagarhole, JK Thimma, ha detto: «Noi Adivasi [indigeni] sappiamo come prenderci cura della foresta e degli animali, e lo facciamo molto meglio di loro. Questo è quello per cui dobbiamo lottare. Vogliamo che il Dipartimento alle Foreste se ne vada e ci affidi la foresta, noi ne avremo cura».
La protesta degli Adivasi consente a Survival di rilanciare la sua campagna contro l’istituzione di Aree protette nei territori indigeni e di riprendere i suoi attacchi a grandi associazioni ambientaliste internazionali come Wwf e WCS: «Gli sfratti e le persecuzioni che i Jenu Kuruba hanno subito sono parte di un modello di conservazione razzista e coloniale che si prende le terre dei popoli indigeni e le trasforma in aree protette per turisti in un processo accompagnato da gravi abusi dei diritti umani. La protesta inizia in un momento in cui, nell’India autoritaria di Modi, il dissenso viene represso con violenza. La risposta della polizia alle proteste degli agricoltori a Delhi ha provocato lo sdegno internazionale e molti attivisti Adivasi, come Hidme Markam, sono stati arrestati e imprigionati per aver fatto sentire la propria voce».
Survival si riferisce all’arresto avvenuto il 9 marzo, durante un evento organizzato in occasione della Giornata Internazionale della Donna, nello Stato indiano del Chhattisgarh. di Hidme Markam, nota attivista Adivasi della tribù Koya, La 28enne Markam è un’attivista per i diritti indigeni che lotta contro l’apertura di miniere in una montagna sacra nel sud del Chhattisgarh e per fermare le violenze della polizia e la costruzione di campi paramilitari. E’ la coordinatrice del Jail Bandi Rihai Committee che chiede la scarcerazione di migliaia di Adivasi accusati di essere militanti Naxaliti, del People’s Liberation Guerrilla Army, braccio armato del Partito Comunista d’India (maoista) e che marciscono in galera, spesso da anni in custodia cautelare senza accuse fondate. Una condizione in cui ora si ritrova anche lei.
Secondo la polizia indiana, la Markam è stata arrestata per una serie di denunce presentate tra il 2016 e il 2020 in relazione all’attività maoista e sulla sua testa c’era una taglia di circa 1.200 euro. Ma altri attivisti come Soni Sori dicono che le accuse sono false: «Non è una maoista come ha affermato la polizia. Lotta con il movimento Jal-Jangal-Jameen (acqua, foresta e terra) degli indigeni a Bastar. Si è recata frequentemente negli uffici del Sovrintendente di Polizia (SP) e del Collettore distrettuale [funzionario governativo] e ha incontrato molte personalità di spicco… per parlare dei problemi degli indigeni… Avete mai sentito di un maoista che va nell’ufficio del Sovrintendente della Polizia o del Collettore, che incontra il Primo Ministro [del Chhattisgarh], il Governatore e rivela apertamente la sua identità?»
Anche per Survival International «Il suo arresto ha il chiaro intento di mandare un avvertimento a coloro che si espongono a favore dei diritti delle donne e degli Adivasi, contro le attività estrattive e la repressione statale. È un altro segnale dei crescenti attacchi ai diritti degli Adivasi e alla democrazia in India, sotto il regime autoritario di Narendra Modi. L’assalto alle vite e ai diritti degli Adivasi è implacabile persino nello Stato di Chhattisggarh, che non è sotto il controllo del partito di Modi».
La destra induista del Bharatiya Janata Party al potere accusa chi dissente di essere anti-patriottico e gli attivisti Aduivasi vengono accusati di sedizione o detenuti in base al liberticida Unlawful Activities (Prevention) Act (UAPA). Nel novembre 2020, sono stati accusati in base allo UAPA ben 67 attivisti in soli 2 Stati federali. 10.000 Adivasi sono stati accusati di sedizione per aver inciso sulle pietre all’ingresso dei loro villaggi i loro diritti costituzionali. Alle donne Adivasi viene riservato un trattamento brutale, compresi abusi sessuali. E il 9 marzo Markam e le sue compagne commemoravano due giovani donne adivasi che sono state aggredite fisicamente e sessualmente dalla polizia del Chhattisgarh e che poi si sono tolte la vita.
Recentemente Hidme Markam aveva registrato il video messaggio per Survival che pubblichiamo nel quale denuncia che le donne adivasi in India «Vengono picchiate ogni giorno, vengono incarcerate, Ogni giorno, ovunque vadano, le nostre donne subiscono gli stessi tipi di abusi. L’unica possibilità che noi donne abbiamo per fare progressi è di stare unite, per salvare dall’estrazione mineraria la nostra acqua, le foreste e la terra».
Survival ritiene complice di queste azioni contro i poli tribali indiani chi, come «La Wildlife Conservation Society India guida le richieste di trasferire i popoli indigeni dalle riserve delle tigri, insistendo sul fatto che si tratterebbe di “trasferimenti volontari” che portano benefici alle tribù. Ma le comunità denunciano al contrario il peggioramento delle loro condizioni di vita e il desiderio di tornare nella loro foresta, sollecitando il governo statunitense di sospendere il finanziamento dei trasferimenti operati nel nome della conservazione».
Secondo JK Thimma, «La WCS va dal Dipartimento alle Foreste e porta qui dei funzionari a dirci di andarcene. Non vogliamo denaro. Vogliamo vivere liberi nella foresta. Noi tribù, la foresta e gli animali siamo una cosa sola. Se i funzionari vengono e ci sparano, siamo pronti a morire, ma non a lasciare la foresta».
Muthamma, una donna Jenu Kuruba, aggiunge: «Abbiamo vissuto con le tigri per secoli, noi non le uccidiamo e le tigri non uccidono noi. Adoriamo le tigri come una divinità; nella foresta abbiamo un altare dedicato a loro. I conservazionisti della città non comprendono la foresta. Fino a quando noi saremo vivi, le tigri saranno al sicuro. Se scompariremo, i taglialegna e i bracconieri avranno via libera».
La WCS respinge le accuse di Survival e recentemente – come il Wwf – ha sottolineato che la conservazione della natura non può essere fatta violando i diritti dei popoli indigeni.
Survival fa notare che «I Soliga, un altro popolo che vive nella foresta, sono stati i primi a vedersi riconoscere i diritti comunitari alla foresta all’interno di una riserva delle tigri: lì, il numero di esemplari di questo felino è poi aumentato è poi aumentato molto più della media nazionale».
Sophie Grig, ricercatrice senior di Survival International, conclude: «I Jenu Kuruba subiscono continue persecuzioni e minacce da parte delle guardie forestali, che impediscono loro di coltivare il loro cibo, di costruire le loro case, di praticare rituali nelle aree sacre o di accedere alle tombe di famiglia. Sono tutte palesi violazioni dei loro diritti. I Jenu Koruba sono i veri conservazionisti e protettori delle foreste di Nagarhole; è giunto il momento di riconoscere il loro diritto di vivere, proteggere e conservare le loro terre ancestrali».