Vignaroli: «Il Deposito nazionale porta posti di lavoro e soprattutto maggiore sicurezza»

Commissione ecomafie, ecco quanto costa (ancora) l’addio al nucleare italiano

I costi degli smantellamenti sono lievitati da 4,5 a 7,9 miliardi di euro, con tempistiche slittate dal 2019 al 2035

[31 Marzo 2021]

Finita nel dimenticatoio dopo due referendum abrogativi, nel 1987 e nel 2011, la disavventura nucleare italiana continua a pesare sulle tasche dei cittadini: nonostante l’energia atomica nel nostro Paese sia ormai un lontano ricordo, le attività di decommissioning (smantellamento) restano da completare con tempi e costi crescenti, come documenta la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione ecomafie) nella relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse, approvata ieri all’unanimità (in allegato una sintesi, ndr).

La Commissione ha preso in esame in particolare criticità e fattori di preoccupazione connessi sia al decommissioning, sia alla gestione di materiali e rifiuti radioattivi derivanti da differenti attività. Nello specifico, si è approfondita la questione del Deposito nazionale per lo stoccaggio temporaneo del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi a media ed alta attività, nonché per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, che ha tenuto banco nelle cronache di inizio anno.

Dalla relazione emerge che negli anni passati i programmi di disattivazione degli impianti nucleari, di volta in volta prodotti dalla Sogin – la società di Stato responsabile del decommissioning, le cui pianificazioni sono a carico della collettività, principalmente attraverso gli oneri di sistema delle bollette elettriche – non sono stati rispettati ed i costi previsti per l’ultimazione di tali attività sono cresciuti nel tempo.

A titolo di esempio, la Commissione ecomafie rileva che l’anno di raggiungimento previsto delle condizioni di “brownfield” (una condizione che si verifica quando le strutture dell’impianto oggetto di decommissioning sono demolite e tutti i rifiuti radioattivi sono condizionati e stoccati nei depositi temporanei) per tutti i siti era il 2019 nel Piano del 2008, mentre è il 2035 in base alle ultime informazioni comunicate da Sogin nel 2020, con costi per pervenire a tali condizioni passati da 4,5 a 7,9 miliardi di euro.

«La copertura dei costi di disattivazione – argomenta la Commissione – è attuata attraverso una componente tariffaria a carico della bolletta dei clienti elettrici. Di anno in anno le erogazioni variano; ad esempio, nel periodo tra il 2012 ed il 2018, dalla componente tariffaria specifica sono stati effettuati prelievi variabili tra i 100 ed i 400 milioni di euro all’anno. I costi associati a ogni anno di ritardo nelle attività di decommissioning, legati al mantenimento in sicurezza dei siti, sono stimati tra 8 e 10 milioni di euro per ciascuno di essi, senza contare i rimanenti costi “fissi” della Sogin».

È utile ricordare che, una volta raggiunto il brownfield, lo step successivo è il graduale conferimento dei rifiuti radioattivi al Deposito nazionale (che non conterrà però solo scarti derivanti dal decommissiong, basti ricordare gli impianti nucleari o i vari settori della medicina nucleare di cui tutti ci serviamo, che continuano naturalmente a produrre rifiuti).

Sotto questo profilo la più volte annunciata pubblicazione della Carta delle aree idonee ad ospitare il Deposito nazionale (Cnapi), la cui prima versione era stata predisposta dalla Sogin e valutata positivamente dall’Ispra già nel 2015, ha finalmente avuto luogo nei primi giorni del 2021. Sollevando però reazioni allarmate ovunque, lungo lo stivale. Reazioni giustificate?

Secondo il presidente della Commissione ecomafie Stefano Vignaroli «realizzare il Deposito nazionale, completare il più rapidamente possibile lo smantellamento degli impianti nucleari, mettere l’autorità di controllo Isin nelle condizioni di operare con la massima efficacia: sono queste le priorità oggi in materia di nucleare, a cui l’Italia non può sottrarsi. Mentre la Commissione stava lavorando all’inchiesta sul tema, sono successe alcune cose rilevanti: è stato pubblicata la Cnapi e sono arrivate importanti novità normative. I costi e i tempi del decommissioning – attualmente 7,9 miliardi di euro con fine dello smantellamento nel 2035 – rischiano però di aumentare se non si risolvono i problemi evidenziati dalla Commissione e non si procede celermente nell’iter di realizzazione del Deposito nazionale. Il Deposito porta posti di lavoro – 4.000 all’anno per la costruzione e 1.000 per la gestione –, investimenti – 900 milioni – e soprattutto maggiore sicurezza».