Il disordine attorno a noi aumenta, ma la risorsa sempre più scarsa rimane il tempo
L’entropia a passo di formica e il futuro del nostro destino economico
Massimo Scalia a greenreport: fondere economia e fisica non è così facile come sembra
Tutto cambia e invecchia attorno a noi, e infine trova il suo equilibrio nel disordine: è l’entropia che aumenta. Ma che cos’è l’entropia? È un epitaffio. Dell’universo e della sua morte termica, forse, e sicuramente quello fatto incidere sulla propria tomba da Ludwig Boltzmann, il fondatore della meccanica statistica che ne studiò a fondo i problemi. In quattro parole a un amico, tratteggiare quest’immagine potrebbe forse bastare.
Ma tutta la curiosità che è legata al concetto di entropia è data dal fatto che in un sistema termodinamico isolato, gli stati più probabili sono proprio quelli più disordinati. Assumendo che l’universo sia, nel suo complesso, proprio un sistema isolato (e la nostra Terra un sistema chiuso: col cosmo scambia “solo” energia solare, ma anche la materia ha la sua bella importanza) capiamo meglio come constatazioni sull’entropia apparentemente innocue ci riguardino da vicino.
In realtà, «Spiegare in maniera particolareggiata il significato dell’entropia non è un compito facile. Si tratta di una nozione così complicata», ha scritto lo stesso Nicholas Georgescu-Roegen – il fondatore della bioeconomia – che, «se dobbiamo credere a un’autorità nel campo della termodinamica, non è di facile comprensione neppure per i fisici».
E da buon fisico, a greenreport uno dei padri fondatori di Legambiente, Massimo Scalia, conferma che non si può chiedere di spiegare che cosa sia l’entropia in poche parole: «A questa richiesta mi viene da sorridere», sogghigna sornione. «Seguendo l’interpretazione data da Boltzmann, l’entropia di uno stato A, S(A), rappresenta sostanzialmente la probabilità P(A) che quel determinato stato A si realizzi: S = k log P(A), dove k è la famosa costante di Boltzmann. Tanto più lo stato è probabile (ovvero, che può essere realizzato nel maggior numero di configurazioni) tanto più elevata è la sua entropia».
L’evoluzione dei sistemi segue la via più “naturale”, muovendo verso gli stati più probabili. Un vaso che cade da una madia si ridurrà perciò in frantumi, anche se «nulla vieta di pensare che nel corso del tempo questo stesso vaso si ricomponga esattamente com’era e ritorni sopra la madia. Il fatto è che la probabilità che ciò accada è estremamente bassa», questo afferma l’entropia definita da Boltzman. Il matematico Vladimir Arnold ha stimato che per osservare accadimenti così irreversibili dovremmo attendere per un periodo pari all’incirca alla vita della Terra (4,5 miliardi di anni). Ecco perché quelle che generalmente accadono sono trasformazioni irreversibili: «Date due ampolle collegate da un tubo – spiega Scalia con un esempio pratico – il gas contenuto tutto in una fluirà, se apriamo la valvola del tubo di collegamento, nell’altra fino a quando saranno riempite entrambe. E’ davvero improbabile che accada l’inverso, passando da una situazione più disordinata – il gas nelle due ampolle – a una più ordinata, il gas in una sola ampolla».
Da questa semplice constatazione ha preso il via la bioeconomia di Georgescu-Roegen, anticipatrice della moderna economia ecologica, provando a gettare un ponte tra economia, fisica e biologia. La materia e l’energia che entrano all’interno della macchina economica vengono degradati, non sfuggendo all’aumento dell’entropia. «Il problema – spiega Scalia – è non lasciarsi affascinare troppo dall’idea di dare all’economia leggi che abbiano la forza e la precisione di quelle della fisica».
«L’orizzonte cui tendere rimane quello di un’economia di stato stazionario – prosegue – nel senso di perseguire un’evoluzione globale della tecnologia, della produzione e del consumo che riporti il complesso delle attività dell’uomo a un equilibrio con la biosfera, nel quale cioè la velocità con cui le risorse della natura vengono consumate sia minore o uguale alla loro velocità di riproduzione. Questo equilibrio è uno stato stazionario, dove le grandezze che lo definiscono non dipendono esplicitamente dal tempo, ma questo non vuol dire che non ci sia un moto, un’evoluzione: stazionario non vuol dire statico. Pensiamo all’acqua che scorre in un canale: se in una certa sezione del canale si misurano le grandezze caratteristiche del flusso – velocità, portata – si troveranno sempre gli stessi valori come se nulla cambiasse, ma l’acqua in realtà scorre».
In questo contesto, l’entropia è utilizzata come un gancio per riportare l’economia coi piedi per terra, ma fare un passo in più su questo terreno può condurci in un’area di incertezza. «Un modello matematico in cui si vogliano proporre per l’economia leggi come per la fisica, in cui siano inserite grandezze termodinamiche come l’entropia per descrivere la dinamica economica o quella del consumo di risorse materiali mi pare che non abbia funzionato. Penso allo stesso nobile tentativo di Georgescu-Roegen e a quelli, come dire, più fantasiosi di Ilya Prigogine e della Scuola di Bruxelles. C’è una durezza di fondo – osserva Scalia – che rende complicato riuscire a applicare concetti e grandezze generali della fisica, molto ben definiti, a sistemi che in realtà sono molto più complessi di quelli che la fisica tratta. Come “metafora” l’entropia in economia funziona benissimo, assai meno per quantificare il nostro destino economico».
Ma guardando oltre i conflitti di natura teorica, il problema più urgente oggi è quello dell’azione. «I cambiamenti più significativi che dobbiamo portare avanti – chiosa Scalia – devono essere attuati nei prossimi dieci anni, e poi a cascata altri ancora. Dunque mi pare che la risorsa che si consuma prima e di più è il tempo». La lancetta dell’orologio corre, e l’entropia (metafora o no) anch’essa.
«Il guaio della condizione umana – osserva Georgescu-Roegen – deriva dal fatto che l’uomo è giunto a vivere in una società organizzata in conseguenza di un’evoluzione non puramente biologica. Quella particolare formica che controlla l’evoluzione del formicaio è nata per questo compito, e tutto ciò che vuole è bloccare l’entrata, con la testa appiattita di cui è dotata dalla nascita; essa non ha alcun desiderio di diventare regina». Questa condizione non è presente nella specie umana. Una fortuna che potrebbe però rappresentare anche la nostra condanna a non sapere come comportarci per preservare e gestire la nostra presenza sul pianeta.
Finché non sapremo con precisione come muoverci la strategia migliore è dunque rallentare per poter pensare. La crisi economica c’ha dato un brusco stop, ma non un sentiero sostenibile da poter percorrere. Non può essere questo il nostro modo di rallentare, ma l’incanalarci in una diversa economia della conoscenza offre ancora una promessa per ricongiungere la velocità di consumo delle risorse con quella della loro riproduzione. Muovendoci a passo di formica anche l’entropia ci verrà dietro.
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