«L’industria geotermica italiana ha diversi progetti in cantiere che potrebbero raddoppiare il numero degli impianti presenti sul territorio»
A che punto è la geotermia in Italia (e cosa frena il suo sviluppo) spiegato dall’Egec
Dumas: «Una maggiore consapevolezza basata su dati scientifici, una capillare campagna di comunicazione e una partecipazione pubblica più attiva potrebbero sicuramente giovare»
[17 Giugno 2021]
Il nuovo Geothermal market report 2020 pubblicato dall’Egec mostra come l’anno della pandemia sia stato complicato da affrontare anche per la geotermia europea, sebbene dopo anni di robusta crescita; il comparto italiano sembra invece da tempo in maggiori difficoltà. Come uscirne? L’abbiamo chiesto direttamente al segretario generale dell’Egec – il Consiglio europeo per l’energia geotermica -, Philippe Dumas.
Come valuta l’evolversi del mercato nazionale sotto il profilo elettrico nel corso dell’ultimo decennio?
«Dopo la Turchia, l’Italia continua ad essere il maggiore produttore di energia elettrica da geotermia, con 916 MWe di capacità installata che corrisponde a 6 TWh di elettricità geotermica prodotta. Il potenziale in Italia è significativo, ma la crescita nell’ultimo decennio è risultata molto lenta. Nonostante l’industria geotermica italiana abbia diversi progetti in cantiere che potrebbero raddoppiare il numero degli impianti presenti sul territorio, il quadro dei permessi e delle certificazioni ha lasciato questi progetti nel limbo per quasi un decennio».
Per quanto riguarda invece il settore del riscaldamento e del raffrescamento, qual è stato l’andamento del mercato italiano nel corso del 2020?
«L’Italia è al quinto posto per numero di progetti di distretti di riscaldamento e raffreddamento in Europa, con circa 25 progetti già operativi (corrispondenti a 0.2 TWh) e 16 in programma. Tuttavia, assistiamo all’emergere di nuovi mercati (la Polonia ad esempio) che stanno pianificando un alto numero di progetti e potrebbero superare l’Italia in poco tempo. In generale, in tutta Europa è possibile osservare un trend verso un maggiore utilizzo di infrastrutture di riscaldamento e raffreddamento da fonti rinnovabili trainato dalle autorità locali. Sarebbe auspicabile, quindi, investire di più su questa risorsa pulita e rinnovabile.
L’energia geotermica, inoltre, è sempre più utilizzata nella fornitura di calore per processi industriali o nel comparto agro-alimentare. Anche qui, l’Italia rappresenta un interessantissimo esempio. Già dal 2009, in Toscana è nata la Comunità del cibo a energie rinnovabili (Ccer), grazie ad un accordo tra Slow Food e CoSviG (Consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche), un ente a capitale pubblico che da anni promuove iniziative di sviluppo sostenibile dei territori geotermici e dell’intera Regione. La Ccer riunisce imprese locali del settore alimentare, che utilizzano esclusivamente energie rinnovabili per la propria produzione: i prodotti sono i più svariati, andando da verdure, cereali e pizza, fino a olio d’oliva, vino e birra.
Le pompe di calore geotermiche, invece, non sono riuscite a diffondersi in maniera capillare, nonostante si dimostrino una delle tecnologie più pulite, efficienti ed economiche sul lungo lungo periodo. Neppure il Superbonus, che offre il 110% di deduzione fiscale per le ristrutturazioni o l’Ecobonus che propone una deduzione fiscale del 65% sulle pompe di calore, sono riuscite finora ad invertire la tendenza.
Quale ritiene siano gli ostacoli principali da superare per ridare vigore al comparto geotermico (elettrico e termico) italiano?
«Il market report di Egec ha più volte sottolineato come un quadro normativo inadeguato – ad esempio che non fornisce adeguato supporto o incentivi, o che favorisce i combustibili fossibili fra i sistemi di riscaldemento e raffreddamento domestico – possa avere un impatto particolarmente negativo sulla geotermia, che ancora necessita di supporto per giungere alla piena maturità commerciale. Inoltre, gli alti rischi economici legati alle campagne di mappatura e perforazione dei serbatoi geotermici rendono i progetti di geotermia profonda (per elettricità e distretti di calore) particolarmente costosi. Gli operatori del settore dovrebbero poter beneficiare di appositi schemi di assicurazione, che sono attualmente allo studio di progetti di ricerca europei come Georisk.
Come abbiamo visto, anche tutte le procedure di autorizzazioni e licenze andrebbero fortemente snellite, per poter salvaguardare la sostenibilità del territorio, senza strangolare la viabilità e attuazione di progetti che avrebbero ricadute fortemente positive per le comunità locali».
Sotto il profilo dello sviluppo delle comunità locali sostenuto dalla geotermia, invece, il modello toscano che vede nel CoSviG un perno centrale sembra riscuotere apprezzamenti dall’Islanda alla Turchia. Pensa si tratti di un’esperienza che può essere d’esempio anche in altri contesti?
«Certamente. In tutta Europa vediamo il fiorire di iniziative a partire dalle autorità locali. E ciò dipende anche dal fatto che i progetti geotermici sono strettamente legati al territorio, al quale possono apportare enormi benefici in termini di sviluppo locale ed energia pulita tra le altre cose – come dimostra l’esempio toscano».
Dal report Egec sembra emergere un contesto politico inadeguato a supporto della geotermia, e al proposito lei parla di «potenziale non riconosciuto» e di «insufficiente consapevolezza». Crede che maggiori investimenti in un’informazione e comunicazione ambientale di qualità potrebbero contribuire allo sviluppo sostenibile di questa fonte rinnovabile?
«Sicuramente in Italia c’è una certa diffidenza nei confronti di progetti che, in qualche misura, alterino il territorio. E sfortunamente, a volte questa diffidenza è supportata (o addirittura creata) da una disinformazione che in qualche caso sembra quasi intenzionale. Mi riferisco in particolare ad alcuni comitati contro la geotermia presenti in Toscana, che continuano ad utilizzare informazioni vecchie e superate da dati scientifici che oggi invece evidenziano la sostenibilità della geotermia secondo tutti gli indicatori ambientali (qualità dell’aria, uso del territorio e risorse idriche per menzionarne solo alcuni). Da questo punto di vista, il lavoro fatto dal progetto di ricerca europeo Geoenvi, appena concluso, è fondamentale. Una maggiore consapevolezza, basata su dati scientifici ed esperienza decennale, una capillare campagna di comunicazione, e una partecipazione pubblica più attiva potrebbero sicuramente giovare all’espansione della geotermia. E potrebbero finalmente portare i cittadini a dire “Yes, in my backyard” (Sì, nel mio cortile, ndr)».