La retorica populista contro gli aiuti all’estero ha un impatto solo tra i fan dei politici di destra
«Il futuro dello sviluppo globale potrebbe non essere così cupo come faceva temere in precedenza l'era del populismo»
[9 Luglio 2021]
Secondo lo studio “Ignoring the Messenger? Limits of Populist Rhetoric on Public Support for Foreign Development Aid”, pubblicato recentemente sull’International Studies Quarterly da A. Burcu Bayram dell’università dell’Arkansas e da Catarina Thomson dell’università di Exeter, «La retorica populista contro gli aiuti all’estero funziona, ma solo i fan dei politici populisti sono convinti dai messaggi ostili contro la beneficenza all’estero. Coloro che diffidano dei politici populisti sono significativamente meno sensibili a questi messaggi».
Le due ricercatrici statuinitensi ricordano che «Finora l’analisi dell’impatto negativo della retorica populista anti-aiuti sull’opinione pubblica si era basata su resoconti aneddotici», il nuovo studio affronta il problema in modo empirico e sistematico: «Ipotizziamo che sebbene la retorica populista riduca il sostegno per l’assistenza allo sviluppo estero tra il pubblico dei donatori, questo effetto è condizionato dalle credenze individuali preesistenti sugli uomini di governo populisti».
La Bayram e la Thomson hanno attinto ai dati provenienti da test e sondaggi originali condotti con campioni rappresentativi di adulti americani e britannici, scoprendo così che la propaganda di diversi tipi di politici populisti «Ha ridotto la volontà degli individui di sostenere il proprio governo nel fornire assistenza allo sviluppo attraverso un’organizzazione internazionale», ma anche che «Questo effetto è moderato a seconda che gli individui pensino che i leader populisti stiano difendendo i “piccoli” o indichino i gruppi marginali come capri espiatori». Le due ricercatrici dicono che, mettendo insieme la letteratura sull’aiuto allo sviluppo estero e sul populismo, «I nostri risultati suggeriscono che il futuro dello sviluppo globale potrebbe non essere così cupo come faceva temere in precedenza l’era del populismo».
Infatti dalla ricerca viene fuori che le istituzioni umanitarie internazionali e i politici non populisti non dovrebbero preoccuparsi eccessivamente dell’impatto del populismo sulla cooperazione allo sviluppo globale. Coloro che vogliono convincere il pubblico dell’importanza degli aiuti all’estero dovrebbero concentrarsi sulla comunicazione del loro messaggio in modo trasparente e chiaro e sull’utilizzo di partenariati locali».
Secondo la Thomson, «Con la loro retorica, i populisti non stanno convertendo gli individui favorevoli agli aiuti; stanno predicando a coloro che sono predisposti a convertirsi. I partiti e i politici populisti continuano a dipingere la spesa per gli aiuti all’estero come il nemico della prosperità “in patria”, e questo ha un impatto sugli atteggiamenti pubblici. Abbiamo scoperto che coloro che hanno maggiori probabilità di essere influenzati dalla retorica populista contro gli aiuti all’estero sono quelli che hanno opinioni favorevoli sui leader populisti. Ciò significa che la situazione per coloro che vogliono sostenere gli aiuti esteri non è necessariamente desolante come molti temono. Il contraccolpo subito dal Partito conservatore (britannico, ndr) ai tagli ne è un buon esempio. L’effetto dei commenti negativi sugli aiuti esteri è moderato dal fatto che le persone pensino che i leader populisti difendano i “piccoli” o rappresentino le altre nazioni come un capro espiatorio».
La Bayram conferma: «Abbiamo scoperto che le persone che si fidano dei leader populisti sono più persuase dalla retorica populista contro gli aiuti rispetto a quelle che sospettano dei populisti. La retorica populista contro gli aiuti allo sviluppo all’estero ha un impatto maggiore sulla volontà di fornire tali aiuti quando le persone pensano che i leader populisti rappresentino la volontà del popolo rispetto a quando pensano che i leader populisti utilizzino gli altri come capro espiatorio».
Per realizzare lo studio le ricercatrici hanno intervistato 1.600 statunitensi e 1.200 britannici adulti nel 2017 e 2018. Prima di tutto, hanno cercato di capire le loro opinioni politiche, chiedendo se vedessero i leader populisti come il tipo di leader che “si battono per il piccoli” o come chi utilizza un “capro espiatorio” per risolvere i problemi degli Usa e del Regno Unito. Ai partecipanti è stato chiesto di leggere uno scenario ipotetico che mostrasse come i leader avessero gestito gli aiuti allo sviluppo multilaterali in modi diversi. A un gruppo è stato detto che il presidente Usa o il primo ministro britannico hanno affermato che le persone preferiscono aiutare prima i bambini nel loro Paese; a un altro gruppo è stato detto che il presidente o il primo ministro avevano incolpato le élite di aver esagerato la situazione della povertà globale e di aver manipolato le persone e ad un altro gruppo è stato detto che il presidente o il primo ministro avevano detto che non era responsabilità del loro paese aiutare gli altri.
Ai partecipanti è stato quindi chiesto se fossero disposti a contribuire con fondi all’Unicef e se il governo statunitense o britannico dovesse fornire fondi aggiuntivi all’Unicef.
Nel Regno Unito, tra i partecipanti esposti alla retorica populista anti-aiuti, coloro che credono che i leader populisti facciano degli altri un capro espiatorio, avevano 31 punti percentuali in meno di probabilità di voler ridurre il finanziamento degli aiuti rispetto a coloro che credono che i leader populisti difendano “i piccoli”. Il sondaggio Usa ha dato risultati simili.
Circa il 12% degli intervistati britannici ha espresso un forte sostegno al finanziamento dell’Unicef, mentre circa il 22% si è dichiarato fortemente contrario. Circa il 16% degli statunitensi era fortemente favorevole al finanziamento dell’Unicef e il 23% era fortemente contrario.
Quelli che nel Regno Unito hanno detto che il loro leader voleva aiutare prima i bambini nel loro Paese pensano che la povertà globale sia stata esagerata o non fosse responsabilità del loro Paese (il più grande impero ex coloniale) aiutare i Paesi poveri, ed erano 6 punti percentuali più propensi a dire che i finanziamenti non dovrebbero assolutamente essere dati all’Unicef, rispetto a quelli hanno detto che il loro capo avrebbe chiesto a un organismo esterno di prendere in considerazione la richiesta dell’ente di beneficenza.