Libia: dietro l’accordo di facciata, stallo politico e caos economico e umanitario

Il capo dell’Unsmil Ján Kubiš al Consiglio di sicurezza Onu: «La Libia non è un porto di sbarco sicuro per migranti e rifugiati»

[16 Luglio 2021]

Nel suo intervento di fronte al Consiglio di sicurezza Ján Kubiš, inviato speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia e capo dell’United Nations support mission in Libya (Unsmil), appena tornato da una missione di consultazioni in Libia per convincere i gruppi avversari a salvaguardare e far avanzare processo verso elezioni parlamentari e presidenziali nazionali inclusive, libere ed eque entro dicembre, ha detto che «Mentre tutti i miei interlocutori hanno ribadito il loro impegno a tenere le elezioni il 24 dicembre, temo che molti di loro non siano pronti a proseguire il discorso. Ho ricordato loro la schiacciante richiesta e le aspettative del popolo libico e della comunità internazionale per delle elezioni puntuali, necessarie per completare la transizione democratica della Libia ed evitare un ritorno al conflitto, alla violenza e al caos».

Kubiš si è detto «Profondamente preoccupato per le più ampie conseguenze dello stallo nel percorso politico/elettorale e le relative scissioni che sono il risultato della situazione di stallo tra le principali istituzioni statali libiche, in particolare tra il governo di unità nazionale e la Camera dei rappresentanti, il governo di Unità Nazionale e l’Esercito Nazionale Libico, la Camera dei Rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato, e tra coloro che vogliono rispettare il calendario del 24 dicembre per le elezioni e coloro che vorrebbero ritardare le elezioni (…) Se l’impasse sui fondamenti costituzionali e lo stallo in corso tra le istituzioni statali non si risolveranno rapidamente, se i vertici chiave del Paese non mostreranno la volontà politica di raggiungere una soluzione, un compromesso e di attuarlo, tutto ciò potrebbe ribaltare il positivo slancio visto solo pochi mesi fa».

Uno stallo che mette a rischio sicurezza ed economia: «La Camera dei rappresentanti non ha adottato il bilancio presentato dal governo di unità nazionale, nonostante diversi cicli di consultazioni tra la Camera e il governo per finalizzare la proposta di bilancio. L’ultimo sforzo è fallito solo questa settimana e significa che il Paese si sta avviando verso le vacanze di Eid senza bilancio, senza il necessario sostegno che potrebbe essere fornito alla gente. La Camera dei Rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato non hanno, fino ad ora, concordato come procedere alle nomine alle cariche nazionali nonostante diversi incontri facilitati dal Marocco. L’esercito nazionale libico non ha permesso al governo di unità nazionale di estendere la propria autorità alle aree che controlla. Il Consiglio di Presidenza e il Governo non sono riusciti a trovare un accordo sulla nomina del Ministro della Difesa, posizione cruciale per l’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco, per i progressi in materia di disarmo, smobilitazione e reinserimento dei gruppi armati, riforma del settore della sicurezza e la riunificazione delle forze armate. E, di recente, la Commissione Militare Mista 5+5  (JMC) ha rinviato la riapertura della strada costiera per collegare la parte orientale e occidentale del Paese per protestare contro la mancata adozione di decisioni che avrebbero facilitato lo svolgimento delle elezioni in tempo, per protestare contro lo stallo del ritiro di mercenari, combattenti stranieri e forze straniere. Hanno anche lamentato il mancato pagamento da parte del governo di unità nazionale degli stipendi alle forze avversarie e ai combattenti».

Kubiš è anche preoccupato dal fatto che «Sebbene l’accordo di cessate il fuoco continui a reggere nonostante i piccoli scontri tra gruppi armati e bande criminali, l’unità del JMC e l’attuazione dell’accordo potrebbero sgretolarsi se il processo politico rimane in stallo. Il JMC ha un ruolo vitale nell’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco ei suoi risultati hanno precedentemente aperto la strada al progresso politico. Occorre quindi fare ogni sforzo per preservare la sua unità e per isolare il suo lavoro dagli effetti dannosi dello stallo politico e del braccio di ferro tra i principali attori politici della Libia».

La riapertura della strada costiera è un passo essenziale per l’attuazione del cessate il fuoco. L’8 giugno il Consiglio di Presidenza ha ordinato al Comandante della Sala Operativa Sirte-Jufra di ritirare i suoi gruppi armati, ma tutto è rimasto come era. Il capo dell’Unsmil ha evidenziato che «Anche la continua presenza di forze straniere, mercenari e combattenti stranieri minaccia il cessate il fuoco. E’ imperativo che gli attori libici e internazionali concordino un piano per iniziare e completare il ritiro dei mercenari e delle forze straniere. I primi segnali in tal senso sono incoraggianti, ma servono passi e accordi concreti».

Ma la situazione della sicurezza è ulteriormente complicata dai recenti attentati e da una rinnovata minaccia terroristica di Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e dello Stato islamico/Daesh, in particolare nel sud della Libia. Per Kubiš, «La riunificazione ritardata dell’apparato militare e di sicurezza della Libia, insieme alla mancanza di un approccio centralizzato e coordinato, sta lasciando spazio alle organizzazioni estremiste violente per reclutare, operare e aumentare le loro attività asimmetriche. Esorto gli attori della sicurezza della Libia ad affrontare congiuntamente questa minaccia in consultazione e cooperazione con il 5+5 JMC e gli attori locali, in particolare i leader tribali, guidati da un più ampio interesse a rafforzare la stabilità e la sicurezza».

Dall’audit finanziario internazionale presentato l’8 luglio da Kubiš è  emerso che «L’unificazione della Banca centrale della Libia non è più semplicemente raccomandata ma necessaria. Mentre le riserve di valuta estera della Libia sono state ampiamente protette negli ultimi 5 anni, la divisione nella Banca centrale libica ha eroso l’integrità del sistema bancario e ha impedito la riforma monetaria. A causa della mancanza di un bilancio unificato e dei successivi blocchi petroliferi, entrambi i rami della Banca centrale hanno concesso credito ai rispettivi ex governi, accumulando così ingenti debiti. Gestire questo debito è possibile solo se la Banca Centrale si unifica. In parole povere, in assenza di unificazione, il sistema bancario libico probabilmente crollerà».

Poi Kubiš ha ricordato al Consiglio di sicurezza quello che le grandi potenze e l’Italia sanno benissimo anche se fanno finta di non saperlo: «La situazione dei migranti e dei rifugiati in Libia rimane grave poiché il numero di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo ha continuato ad aumentare nei primi 5 mesi del 2021. Al 26 giugno, la Guardia costiera libica ha intercettato e restituito in Libia 14.751 migranti e rifugiati, superando il numero totale di tutti i rimpatriati nel 2020. Di conseguenza, c’è una drammatica crescita del numero di migranti e rifugiati detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali, senza controllo giurisdizionale, e spesso tenuti in condizioni disumane. Al 21 giugno, circa 6.377 migranti e rifugiati erano detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali in tutto il Paese, un aumento del 550% dal gennaio 2021. Questi sviluppi hanno aumentato significativamente le violazioni di diritti umani, le preoccupazioni umanitarie e di protezione. L’Onu e altre agenzie continuano ad affrontare restrizioni da parte delle autorità libiche sull’accesso umanitario e sull’accesso ai centri di detenzione per il monitoraggio dei diritti umani. Esortiamo nuovamente il governo ad approvare rapidamente la ripresa dell’evacuazione umanitaria facilitata dall’UNHCR e dall’IOM e il reinsediamento volontario e i voli di ritorno e le partenze di migranti e rifugiati dalla Libia. A giugno, l’Unsmil ha ricevuto segnalazioni ancora più scioccanti di violenza sessuale contro ragazze e ragazzi nei centri di detenzione ufficiali per migranti. Tali atti possono costituire crimini sia ai sensi del diritto internazionale che nazionale».

Ferse sono fischiati gli orecchi a molti ministri ed ex ministri in Italia quando Kubiš ha scandito: «Ribadisco che la Libia non è un porto di sbarco sicuro per migranti e rifugiati. Gli Stati membri che sostengono le operazioni di rimpatrio delle persone in Libia dovrebbero rivedere le loro politiche, tenendo presente che migranti e rifugiati continuano ad affrontare un rischio molto reale di tortura e violenza sessuale se rimpatriati sulle coste libiche. Gli Stati membri influenti devono fare di più per prevenire questi crimini. Incoraggio coloro che forniscono supporto alle agenzie di sicurezza libiche presunte coinvolte in queste violazioni ad assumersi le proprie responsabilità e ad adottare tutte le misure possibili per prevenire tale comportamento eclatante». E l’Italia ha fatto subito l’esatto contrario: la Camera, con 438 favorevoli, compresa l’oposizione di destra di Fratelli d’Italia, 3 contrari e 2 astenuti ha riapprovato l<il finanziamento delle missioni all’estero, mentre la parte riguardante la missione bilaterale di cooperazione con la famigerata Guardia costiera libica è stata approvata con 361 sì, 54 no e 22 astenuti, chiedendo però ipocritamente al governo di verificare la «possibilità che dalla prossima programmazione vi siano le condizioni per superare» la cooperazione con la Guardia costiera libica, trasferendola alla missione dell’Unione europea Irini. Una proposta contenuta nell’emendamento Quartapelle – Borghi (PD) e approvato dall’aula nell’ambito della risoluzione di maggioranza che autorizza le missioni militari all’estero.

Erasmo Palazzotto di Liberi e Uguali, che ha guidato il manipolo di deputati che si sono opposti, ha sottolineato che «Il tema dei finanziamenti alla Libia non è la stabilizzazione del Paese, ma l’esternalizzazione delle frontiere. Se i finanziamenti servissero a stabilizzare la Libia e a costruire ospedali sarei disposto a spendere anche cifre maggiori, ma non lo sono per finanziare la cosiddetta guardia costiera libica che è palesemente in combutta con i trafficanti di esseri umani e che opera in mare sparando e speronando uomini, donne e bambini in fuga. Questa missione fa parte di una strategia che vede nell’esternalizzazione della frontiera il suo punto cardine. E oggi dobbiamo chiederci se è un costo moralmente accettabile continuare a finanziare le sistematiche violazioni dei diritti umani e il supporto operativo e logistico di catture e respingimenti. Ogni volta giocando con le parole facciamo finta che questo dramma non esista e insistiamo nel dire, con ipocrisia, che i diritti umani debbano essere garantiti. Lo dice l’Onu e lo dicono le agenzie delle Nazioni Unite che abbiamo audito in Commissione, come l’IOM che ritiene impossibile garantire i diritti umani nei centri di detenzione libica, luoghi dove le persone fanno a turno a star seduti perché non c’è spazio rimanendovi per anni. E’ un costo che il nostro Paese, lo stesso che ha visto milioni di migranti partire per scappare dalla miseria, non può accettare.  Noi abbiamo un obbligo morale e tre sono i punti irrinunciabili: rispondere all’emergenza umanitaria svuotando i centri di detenzione in Libia, ripristinare il soccorso in mare, affrontare in sede europea le regole dell’accoglienza.  Non possiamo continuare a finanziare questo sistema.  Ne siamo complici».

Invece, dopo l’accordo di cessate il fuoco dell’ottobre 2020, la situazione umanitaria interna in Libia  ha visto un certo miglioramento ed è aumento il numero di sfollati che tornano nelle loro aree di origine. Il numero di sfollati interni è sceso a circa 224.000 persone, il 19% in meno da febbraio. Ma Kubiš  ha avvertito che «Rimangono serie sfide nel garantire che le popolazioni di ritorno abbiano un accesso adeguato e duraturo ai servizi di base, come le strutture sanitarie e educative, con le infrastrutture primarie che richiedono ancora urgentemente di essere ripristinate Gli sgomberi pianificati e spesso forzati nei confronti delle comunità di sfollati interni da parte delle autorità libiche sono una preoccupazione crescente. A maggio, sono state sfrattate circa 500 famiglie Tawerghan che vivevano in un insediamento di sfollati interni presso l’Accademia militare navale di Tripoli. Altri due siti a Tripoli dove vivono sfollati, migranti e rifugiati devono affrontare sgomberi forzati con migranti e rifugiati sottoposti a molestie e attacchi. Faccio notare che gli sgomberi forzati senza un giusto processo sono violazioni dei diritti umani».