Ecco da dove arriva l’energia che consumiamo in Italia
Nell’ultimo anno la domanda è stata pari a 143,5 mln di tonnellate equivalenti di petrolio, soddisfatta per tre quarti dalle importazioni. E solo per il 20% dalle fonti rinnovabili
[23 Luglio 2021]
In occasione del G20 di Napoli su ambiente, clima ed energia, il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato l’ultima Relazione annuale sulla situazione energetica nazionale, incentrato su un anno profondamente segnato dalla pandemia: il 2020.
Gli impieghi finali di energia sono infatti diminuiti sull’anno per gli usi residenziali (-2,5%) – che si confermano il primo settore di consumo finale – per i servizi (-9,4%) e per il settore industriale (-5,4%), anche se la diminuzione maggiore si registra però nel settore trasporti dove si ha un -15,7%.
In ogni caso la Relazione mostra quanto dovrà essere rapida e ampia la transizione energetica che l’Italia è chiamata a concretizzare nel decennio in corso, partendo da uno stato dell’arte legato ancora in modo determinante ai combustibili fossili e (dunque) dalla dipendenza energetica dall’estero.
Nonostante la domanda primaria di energia si sia contratta in Italia del 9,2% nel corso del 2020, a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia, il 73,4% del nostro fabbisogno è stato soddisfatto solo grazie alle importazioni nette.
Complessivamente, per coprire una domanda primaria pari a 143,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ci siamo affidati ad un approvvigionamento energetico per il 40% dal gas naturale, per il 33% dal petrolio e solo per il 20% dalle fonti energetiche rinnovabili.
Rispetto al 2019 è aumentato il ruolo delle energie rinnovabili e del gas naturale mentre diminuisce pesantemente quello del petrolio. Guardando alla fonte energetica principale, la domanda del gas in Italia nel 2020 è stata complessivamente pari a 71,3 miliardi di metri cubi, in riduzione di 3,2 miliardi di metri cubi (-4.3%) rispetto all’anno precedente. Anche in questo caso la copertura della domanda è stata garantita dalle importazioni per il 93% e dalla produzione nazionale per il 7%. La produzione nazionale però include anche il biometano, passato dai 50 milioni di metri cubi del 2019 ai 99 del 2020: «Il biometano rappresenta oggi una concreta possibilità di utilizzare la rete gas come vettore di energia rinnovabile», documenta la Relazione.
Spaziando alle altre fonti rinnovabili, il quadro italiano si mantiene ricco di potenzialità ma scarno di successi acquisiti.
Le stime Gse mostrano infatti che nel 2020 gli investimenti in nuovi impianti a fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica sono addirittura in calo rispetto a quelli rilevati nel 2019, con valori intorno a 1,1 miliardi di euro, concentrati in particolar modo nel settore fotovoltaico (circa 807 mln) e idroelettrico (circa 176 mln).
Anche per quanto riguarda il settore termico gli investimenti mostrano una lieve flessione rispetto al 2019, attestandosi intorno a 2,7 miliardi di euro, di cui circa 2,2 destinati alle pompe di calore.
Eppure una progressione delle fonti rinnovabili si accompagnerebbe anche ad ampi benefici socioeconomici, come sul fronte lavoro. Secondo valutazioni preliminari, le ricadute occupazionali legate alla costruzione e installazione degli impianti – tralasciando dunque l’importante occupazione legata alla gestione e manutenzione degli impianti esistenti – si attestano nel 2020 intorno a 7.700 Unità di lavoro (Ula) per le fonti rinnovabili elettriche e a 24.100 per quelle termiche.
Con un’adeguata politica industriale a sostegno questi numeri potrebbero essere molto più elevati, eppure gli investimenti pubblica in ricerca e sviluppo continuano a calare.
I dati riportati nella Relazione (e riferiti al 2018) hanno fatto segnare un leggero calo della spesa per R&S energetica In Italia. Complessivamente la spesa si è ridotta, rispetto all’anno precedente, del 2,8% passando da 1.631.963 migliaia di euro nel 2017 a 1.568.208 nel 2018. Paradossalmente, la riduzione della spesa si registra nel settore pubblico (da €275M a €256M) e nel settore delle imprese pubbliche (da €232M a €185M), mentre continua l’aumento nel settore delle imprese private (da €1.106M a €1.125M), aumento insufficiente tuttavia a compensare la riduzione negli altri due settori.
L. A.