Falce e Carrello
In questi giorni in cui Falce & Carrello viene regalato ai livornesi che vanno a fare la spesa all’Esselunga, che dopo decenni di monopolio Coop è riuscita a sbarcare anche a Livorno, riproponiamo questa recensione del libro a firma di Diego Barsotti: un articolo del 2007 ancora intatto nella sua attualità.
“Benché già allora [tra il 1952 ed il 1965, n.d.a.] il lavoro e l’impresa avessero in me una posizione centrale, conducevo una vita normale: di amici, di weekend al Forte, a Parigi, l’inverno lo sci a Zermatt o a Davos. A Milano qualche prima alla Scala, qualche cocktail e molto “Piccolo Bar”, insomma, una vita normale”.
Basterebbero forse queste poche righe che descrivono epicamente un self made man di altri tempi che pur abitando a 200 metri dalla Scala e disponendo da sempre di un palco in Turno A e prime, non ha mai potuto vedere la Callas dal vivo per il troppo lavoro, per spiegare perché di un libro del genere proprio non se ne sentisse il bisogno. L’arroganza che trasudano tutte le pagine di Falce e carrello, il libro scritto a 82 anni dal signor Esselunga per denunciare il sistema cooperativo italiano e per rivendicare il ruolo che Esselunga ha avuto nella storia italiana nonostante gli ostacoli che sarebbero stati posti a ogni passo dalle coop rosse, francamente difficile da digerire.
Mettiamo infatti per un momento da parte il fatto che la presenza di distorsioni nel sistema capitalistico italiano non le si scoprano certo solo adesso. E mettiamo pure da parte il fatto che il j’accuse di Caprotti, certo probante per diversi aspetti, si dimentichi di 40 anni di storia dove le cooperative “rosse” che si criticano tanto hanno di fatto sostenuto la ripresa post-bellica e fatto probabilmente diventare l’Emilia-Romagna, per esempio, una delle regioni più “europee” d’Italia.
Quello che proprio resta difficile da apprezzare è il tono, fintamente paterno, con cui Caprotti sembra dire: bene signori, visto che voi non capite nulla, è il momento di spiegarvi come stanno le cose.
Ora, devo ammettere che forse io sono partito prevenuto perché “Falce e carrello” me lo sono trovato nella cassetta della posta, in un’elegante confezione a mio nome, che mi ha ricordato tanto libri e riviste che di solito arrivano nelle case degli italiani in occasione di ogni appuntamento elettorale.
Ma è assolutamente evidente che la visione della realtà descritta da Caprotti è assolutamente miope. Questo “benefattore” è innanzitutto un industriale che ai valori della solidarietà, democrazia, imparzialità, ha sempre sostituito quelli dell’egoismo, dell’arroganza del dio denaro. E cercare d’immolare Bernardo Caprotti come vittima di un sistema comunista (!) in Italia (!) dimostra probabilmente come l’esistenza di alternative economiche (per quanto imperfette e migliorabili) al capitalismo, continuino a bruciare a certa parte dell’imprenditoria italiana.
Invece Caprotti si dilunga in dettagliate biografie per dimostrare che non solo i consumatori sono ignorantoni con il prosciutto sugli occhi, ma che anche il materiale umano che amministra le imprese cooperative non ha niente a che vedere con il ricco signore di Albiate in Brianza, laureato col massimo dei
voti: quelli della Coop sono gentucola che viene dalle sezioni di base, dal sindacato, che talvolta si monta un po’ la testa a maneggiare tutto quel ben di Dio
Non è che il sistema cooperativo sia scevro da colpe, tutt’altro. Ma Esselunga rappresenta proprio quella connivenza economia-politica che si cerca di scaricare interamente sulle Coop: l’amicizia di Bernardo Caprotti con i vari sindaci che si sono succeduti a Milano (Formentini, Albertini) e con importanti personaggi politici (Berlusconi) che si è spesso concretizzata in finanziamenti per le rispettive campagne elettorali, altro non è che la fotografia della più canonica competizione per la conquista dei mercati, di posizioni e di rendite, lotta senza esclusione di colpi, fatta di pressioni, di scorrettezze, di finte e di favori. In questo caso la fotografia di un’Italia sempre alla ricerca spasmodica di nuove aree edificabili, a Milano come a Modena, dove erigere monumenti al consumismo dilagante a discapito del suolo.
Detto questo cerchiamo anche stavolta di cogliere uno spunto in positivo da questo libro e interroghiamoci sull’esigenza che arriva da più parti, di rivedere e di riformare il movimento cooperativo italiano, che nella deriva degli ultimi anni ( e fatte le debite distinzioni anche al suo interno)sconta tutti i suoi peccati: leggi più o meno accomodate, controllo della base sociale da parte dei dirigenti sempre più “padroni” e sempre meno soci, le alleanze e le avventure con soggetti poco raccomandabili, l’eccessiva concentrazione, l’esternalizzazione e il precariato. E non ultima l’indulgenza verso il consumismo e la scarsa attenzione al corretto uso del territorio.
L’occasione che oggi ha il movimento cooperativo italiano è proprio quello di diventare uno dei soggetti trainanti della nuova rivoluzione verde del mercato, quella che viaggia verso una riconversione ecologica dell’economia, passando da obiettivi che poi sono europei: efficienza e risparmio energetico e di materia. Di esempi in questo senso nel mondo cooperativo non ne mancano, nella “vita normale” di Caprotti invece, non ce n’è neppure l’ombra.
di Diego Barsotti