Terra condivisa, oceano condiviso per proteggere terra e mare e per un’economia equa

Un’alternativa africana al 30X30 basata sul coinvolgimento dei popoli indigeni e delle comunità locali

[16 Agosto 2021]

Lo studio “Integrate biodiversity targets from local to global levels”, pubblicato recentemente su Science da un team di scienziati,  ambientalisti e leader di comunità africani  guidato da David Obura (CORDIO East Africa e università di Pwani e del Queenslad), evidenzia che «Negli “spazi condivisi”, come i sistemi agricoli, ittici e pastorali, è necessario un nuovo paradigma per un’azione di conservazione che sia  positiva  per la natura e centrata sulle persone. per invertire il declino della natura, iIn questo decennio sono necessari un aumento senza precedenti dell’ambizione e una maggiore attenzione all’equità e ai bisogni delle persone.

Lo studio presenta una struttura di “terra condivisa” per portare «alla riparazione del rapporto dell’umanità con la natura» e il team di ricerca africano concentra l’attenzione sul collegamento delle persone con la natura nei luoghi in cui vivono, asserendo che «In questi luoghi, gli spazi naturali dovrebbero essere mantenuti o ripristinati per coprire il 20% di tutte le aree a livello locale, al fine andare pienamente a beneficio delle persone e contribuire agli obiettivi di conservazione globale».

I ricercatori ricordano che «Le popolazioni africane, in particolare nei contesti rurali e a basso reddito, dipendono fortemente dai benefici della natura; se la perdita di biodiversità continuerà al ritmo odierno, la loro prosperità e quella delle generazioni future saranno compromesse. Lo stesso vale per miliardi di altre persone nei continenti e negli oceani del mondo. I modelli di consumo eccessivo, il cambiamento nell’uso della terra e del mare e il cambiamento climatico sono tutti sintomi delle stesse cause profonde del declino della natura e devono essere tutti fermati e trasformati in scenari positivi».

La prossima Conferenza delle parti  della Convention on biological diversity (Cbd) approverà i prossimi obiettivi di biodiversità a 10 e 30 anni con il Global Biodiversity Framework (GBF) e sarà fondamentale garantire una migliore realizzazione delle azioni sulla biodiversità rispetto agli obiettivi di Aichi del 2020 che sono stati completamente falliti, soprattutto per quanto riguarda le aree marine protette.

Il team di ricerca africano spiega ancora che «Questo approccio “terra condivisa/oceano condiviso” collega le persone alla natura, per implementare la conservazione a livello locale, per evitare sfide storiche e un focus della conservazione i<nelle aree protette disconnesse dalla vita delle persone».

L’approccio si basa su quattro pilastri: 1. Focalizzazione dal basso verso l’alto, aggregando su scala locale, nazionale e globale; 2. Affrontare l’equità – i diritti e i bisogni delle persone – per garantire risultati incentrati sulle persone e positivi per la natura; 3. Tutta la conoscenza viene integrata a questa scala, anche proveniente da fonti locali, tradizionali e scientifiche; 4. Affrontare tutti gli obiettivi del GBF contemporaneamente, come un tutto integrato. Sulla base di questi pilastri, l’approccio dà la priorità a territori o aree marine condivisi/lavorativi/produttivi, quindi ai contributi della natura alle persone e all’integrità della natura  dove  le persone vivono e lavorano. «In questi spazi – sottolinea lo studio –  proteggere o conservare il 20% dell’area all’interno di un habitat naturale può raggiungere la maggior parte degli obiettivi di conservazione della biodiversità e supportare i bisogni delle persone».

Si tratta di un approccio che «Conferisce potere alla governance e al processo decisionale a livello locale per assicurare i diritti, la custodia e l’equità di accesso alla natura sanciti dalla Convenzione. Può anche consentire la risoluzione di eventuali problemi storici nelle aree protette esistenti, per raggiungere obiettivi sia di equità che di biodiversità; e può aiutare a indirizzare le risorse su scala locale per supportare le decisioni che aiutano a raggiungere obiettivi locali, nazionali e globali».

Secondo i ricercatori africani, «Questo quadro può aiutare i governi nazionali e locali, le Indigenous peoples and local communities (IPLC) e i decisori locali e le ONG, ad applicare gli obiettivi globali di biodiversità all’interno della loro giurisdizione, sostenendo la conservazione della biodiversità e soddisfacendo le esigenze delle persone».

Il team di ricercatori africani chiede a chi sta negoziando il GBF di «Approvare obiettivi ambiziosi e un quadro che enfatizzi l’implementazione integrata, non gli approcci verticistici. Per avere successo deve essere raggiunto il  Goal D on Means of Implementation».

In base a questo approccio, diversi modelli di governance possono essere applicati in diversi territori terrestri e marini con un alto potenziale: per esempio una governance realizzata dalle IPLC nelle aree comunitarie più intatte e nelle aree protette e altre misure di conservazione efficaci.

Lo studio non si nasconde che la necessità di ripristino degli habitat degradati sarà maggiore nei sistemi più fortemente impattati e che negli habitat ripristinati, nella valutazione dell’obiettivo. deve essere consderato il tempo necessario alla funzioni ecologiche per ricostruirsi a livelli corrispondenti all’habitat originario.

I ricercatori evidenziano ancora che «Questo approccio si basa sugli investimenti fino ad oggi effettuati negli Aichi Targets, come il 17% e il 10% delle aree protette terrestri e marittime dell’Aichi Target 12. Tuttavia, per avvicinarsi al 100%, .l’efficacia della gestione all’interno di queste aree deve essere aumentata Si noti che per l’Africa, il raggiungimento dell’obiettivo 12 di Aichi è stato di circa il 14% (terra) e il 3% (mare), il che richiede un’ambizione molto maggiore per raggiungere gli obiettivi per il 2030».

Lo studio conclude: «Questo approccio integrato differisce dall’approccio 30×30 che sostiene che il miglior 30% di territori terrestri/marini sia da proteggere per la biodiversità. Questo isola la protezione nel 30% più pregiato del territorio e dal 70% del territorio più densamente popolato e utilizzato in “spazi condivisi” e di diretta importanza per la maggior parte delle persone».