Lavoro pubblico e smart working, qualche riflessione

L’esperimento collettivo che abbiamo fatto va letto con razionalità, per capire cosa ha funzionato e cosa no. Caso per caso, ente per ente, struttura operativa per struttura operativa

[6 Settembre 2021]

Le parole pesano e quelle di coloro che ricoprono ruoli pubblici ancora di più, sono come sassi. Il Ministro Brunetta nella sua prima esperienza ministeriale alla guida della Funziona Pubblica è rimasto famoso per quell’appellativo “fannulloni” con il quale ha catalogato in un colpo solo milioni di donne ed uomini che ogni giorno assicurano il funzionamento della macchina pubblica, dei servizi che ognuno di noi utilizza quotidianamente. Gli stessi che, ad esempio, poi al momento del bisogno – la pandemia – sono diventati “eroi”.

Ma “eroi” quotidiani non sono solamente medici e infermieri, lo sono tutti coloro che ogni giorno assicurano i servizi che servono per far funzionare la nostra comunità, i netturbini che raccolgono i nostri rifiuti, i tranvieri che guidano gli autobus che ci servono per muoverci, e tutte/i le/gli altri, dall’impegno più umile a quello più complesso, nei confronti di tutti loro ci vuole rispetto e riconoscimento per il contributo che danno al vivere civile.

Una parola sola che entra nell’ “immaginario collettivo” può fare danni enormi. Se poi a questo si aggiunge una politica dissennata portata avanti per tanti anni, segnata dalla riduzione continua del personale e delle risorse, senza alcuna distinzione fra enti produttivi e improduttivi, fra realtà indispensabili e inutili, allora si può capire quanto ci sia da fare e da ricostruire ora.  I tagli lineari sono semplici e comodi, perché non comportano la necessità di analizzare le singole situazioni da premiare o penalizzare, ma hanno fatto solo danni.

Oggi il ministro Brunetta ha sancito la fine dello smart working nel pubblico impiego per settembre con una modalità che sembra nascondere un pensiero non molto diverso: “è finita la ricreazione”.

Il suonatore è lo stesso, la musica non cambia, mentre sarebbe invece necessario un disegno ed una visione completamente diversa.

Personalmente ho lavorato per 44 anni nel pubblico, ho iniziato come “alunno d’ordine” (il livello appena sopra quello del manovale) e finito come dirigente responsabile di struttura complessa. L’ultimo anno di lavoro, prima della pensione, l’ho fatto in smart working. Quando ho iniziato nel 1977 lo strumento tecnologico più avanzato era una macchina scrivere manuale Olivetti lettera 98, quando ho smesso, nell’aprile scorso,buona parte delle giornata usavo smartphone, tablet, ecc.

In quasi mezzo secolo ho conosciuto tante persone, ho lavorato insieme a molte di esse e di diverse ne ho avuto la responsabilità. In tutto questo tempo, dal primo all’ultimo giorno di lavoro, ho sempre cercato di ispirarmi ad alcuni principi:

La prima cosa che ho imparato è che non è possibile generalizzare. Mai. La realtà è molto più complessa di quanto non si voglia far spesso apparire. Naturalmente questo vale in generale, non solo in questo caso specifico. La vulgata, ad esempio, che tutti i politici sono disonesti, produce sfiducia, qualunquismo, menefreghismo. Se ci sono amministratori disonesti vanno puniti severamente, ma va distinto “il grano dal loglio”, ce ne sono anche tanti onesti che si impegnano davvero a fondo per il bene comune.

Nel pubblico impiego ci sono tantissime persone che lavorano tantissimo, con entusiasmo, con convinzione, portando un contributo straordinario al buon funzionamento dell’amministrazione. Ci sono, certo, anche coloro che non sono altrettanto solerti, e poi anche chi proprio non ne vuole sapere di lavorare e rispettare le regole. In tanti anni però, di questi casi ne ho incontrati pochissimi, molte e molti di più coloro che come minimo facevano il loro dovere e non pochi coloro che facevano assai di più di questo e della retribuzione che percepivano.

E’ una situazione diversa da quanto avviene mediamente nelle realtà private? Non credo.

Ma quali sono le leve che contano? In primo luogo l’etica, i valori di riferimento. Questi sono alla base di ogni comportamento. Il “public servant” deve richiamare immediatamente l’idea di qualcuno/a che opera nell’interesse della comunità, di tutti i cittadini, e per questo va rispettato. Proprio perché i cittadini ci pagano lo stipendio, dicevo ai miei collaboratori, il lavoro che dobbiamo fare deve essere migliore di quello che faremmo per un qualsiasi proprietario, dobbiamo essere orgogliosi del nostro lavoro.

Se si semina disprezzo per tutto quello che è pubblico, se si spazza via lo spirito civico che stava alla base delle comunità della nostra storia comunale, allora si mina alla base le stesse fondamenta del vivere in comune. Allora si ritorna alla logica dell’ “homo homini lupus”, dove il modello da additare ad esempio è quello di chi è più forte, più furbo, maggiormente capace di sfruttare e fregare gli altri.

La seconda leva fondamentale è costituita dall’esempio. Un detto popolare afferma che il “pesce puzza dalla testa”, ebbene se i comportamenti di un responsabile, di un dirigente, di un politico, di un vertice amministrativo sono deprecabili, a cascata si favoriranno atteggiamenti analoghi; viceversa se chi “guida” è un esempio si incoraggeranno anche comportamenti simili da parte di tutti.

Poi vengono tutte le altre leve, i riconoscimenti economici, le sanzioni, ecc. ma sono dei complementi. Pensare di governare con la frusta è veramente una pia illusione.

Ma veniamo al merito della questione, il lavoro a distanza, flessibile, agile come si vuol chiamare.

L’ “esperimento” collettivo che abbiamo fatto va letto con razionalità, per capire cosa ha funzionato e cosa no. Caso per caso, ente per ente, struttura operativa per struttura operativa. Non è possibile generalizzare giudizi senza un’analisi approfondita. Ognuno può portare la propria esperienza.

La prima considerazione, oggettiva,  da fare è sui risultati raggiunti. Su quanto e come si è fatto in Smart working confrontandolo con l’anno precedente.

Ad esempio nel mio caso posso dire che il mio settore nell’anno di lavoro a distanza ha assicurato esattamente gli stessi servizi di sempre: il numero verde per le informazioni non ha perso un minuto delle  consuete 36 ore settimanali di servizio al pubblico, il nostro notiziario ambientale Arpatnews non ha perso un giorno, l’Annuario dei dati ambientali è stato interamente realizzato a distanza, ecc. (vedi resoconto attività 2020).

Certamente ci sono altre attività che più difficilmente possono essere svolte in Smart working, occorre appunto valutare caso per caso. Aprire una riflessione, un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, sulle infrastrutture necessarie (ad esempio banalmente cloud e software in rete), sull’innovazione digitale, su quanto la rete sia una forma organizzativa potente, sulle regole per separare lavoro e privato, per assicurare flessibilità, sulle ricadute positive in termini ambientali, ecc. Ma per fare questo occorre operare di fino, con il bisturi, non con lo spadone… Non tutti sono in grado di farlo. Forse una Ministra giovane e aperta al cambiamento, come sembrava essere Fabiana Dadone, probabilmente sarebbe più adatta a gestire questa fase.