La ragion di stato viene prima della salute e dell’ambiente?
Russia e Cina sfrutteranno un giacimento petrolifero probabilmente radioattivo?
[28 Ottobre 2013]
C’è una possibilità che il recente accordo tra Rosneft, la più grande azienda petrolifera russa quotata in borsa (di proprietà governativa e con un fatturato consolidato di oltre 100 miliardi di dollari) e la gemella cinese Cnpc (anch’essa di proprietà governativa e con un fatturato di oltre 110 miliardi di dollari e qualcosa come 1 milione di dipendenti) per lo sviluppo congiunto di un giacimento gigante in Siberia possa subire una significativa battuta d’arresto. Non tanto perché sono modificate le strategie politiche ed economiche che ne erano alla base, oppure perché l’alto livello di corruzione o attività illegali presenti nella sperduta steppa russa stanno interferendo pesantemente sull’avvio delle perforazioni, ma piuttosto per un serio problema ambientale, sottovalutato dall’establishment russo-cinese: c’è il serio rischio che gli idrocarburi che si vuole estrarre possono essere radioattivi. Questo è almeno quello che sostengono gli ambientalisti russi.
Durante gli anni 1970 e 1980 diverse esplosioni nucleari sotterranee sono state effettuate presso il giacimento petrolifero Srednebotuobinskoye, nel tentativo di aumentare le portate dalla roccia e anche per creare un immenso serbatoio di stoccaggio. Un rapporto ufficiale pubblicato dal Ministero dell’Ambiente della Repubblica di Sakha, nella Siberia orientale (nota a noi occidentali anche con il nome di Yakutia), ha descritto le esplosioni e ha sostenuto che il giacimento è al sicuro da contaminazione nucleare, ma gli ambientalisti continuano a nutrire forti dubbi e rigettano questa versione dei fatti. Il giacimento in questione detiene riserve di petrolio per circa 134 milioni di tonnellate e oltre 155 miliardi di metri cubi di gas. Si prevede di pompare 20.000 barili al giorno di petrolio nel 2014, salendo a più di 100.000 barili al giorno nel 2017.
Lo sviluppo di questo nuovo filone estrattivo fa parte della strategia del presidente Vladimir Putin di spostare i flussi delle fonti energetiche russe dallo stagnante mercato europeo verso la crescente domanda in Asia, per cui Rosneft ha firmato un memorandum per creare una joint venture con CNPC al fine di esportare 1 miliardo di barili di petrolio dalla Siberia verso la Cina.
Non è noto se alla Rosneft erano consapevoli della potenziale contaminazione degli idrocarburi – e se lo fossero stati – se hanno informato CNPC. Nikolai Gudkov, un portavoce del Ministero delle risorse naturali di Mosca, ha detto all’Agenzia Reuters che “analizziamo tutti i rischi, compresi quelli radioattivi. Se un giacimento è stato allocato per lo sviluppo, questo significa che riteniamo che non vi sia alcun rischio”. Tuttavia Vladimir Chuprov, un esperto nucleare di Greenpeace Russia, ha spiegato che “qualsiasi esplosione nucleare assomiglia a quello che succede in un reattore – e le esplosioni di Chernobyl e Fukushima sono li a dimostrarlo. I risultati sono gli stessi: l’emissione di radionuclidi, tra cui lo stronzio-90 e cesio. Vi è il serio rischio che queste fonti fossili siano contaminate”. E nel qual caso sarebbe impossibile immetterle sul mercato e usarle per scopi energetici.
Durante l’era sovietica e l’inizio dell’era nucleare, l’uso di bombe atomiche per scopi industriali non era raro, anche negli Stati Uniti fu sviluppata tale pratica (Operation Plowshare) per sbloccare depositi di gas naturale mediante esplosioni nucleari nel sottosuolo. L’esperimento fu bloccato solo quando, in alcune deflagrazioni, radionuclidi sfuggirono al controllo e si dispersero nell’ambiente.
Victor Repin, del St. Petersburg Institute of Radioactive Hygiene, ha dichiarato “L’umanità ha poca esperienza con i depositi dove esplosioni nucleari sono state effettuate. Otto esplosioni sono state effettuate nella regione del giacimento di petrolio, in cui due qualcosa è andato storto. Materiali radioattivi sono trapelati e fu necessario interrare la zona per renderla sicura”.
«Il citato rapporto del Ministero regionale, datato novembre 2011, non ha detto con chiarezza se lo sviluppo di quel giacimento sarebbe pericoloso. Secondo me invece il pericolo c’è. I radionuclidi rimangono attivi per molto tempo dopo le esplosioni e potrebbero fuoriuscire in superficie» ha ribadito Alexei Yablokov, membro dell’Accademia Russa delle Scienze e attivista ambientale.
Ora il punto cruciale della questione è proprio la trasparenza degli studi scientifici effettuati e la libertà di informazione. Aspetti non proprio secondari in Paesi come la Russia e la Cina. Non è dato sapere se e quanto questo problema verrà approfondito, discusso e sviluppato all’interno del mondo accademico dei due colossi asiatici e di quanto l’opinione pubblica verrà coinvolta. Ma come ha fatto notare Igor Yurgens, autorevole esponente della nomenklatura russa, in un interessante articolo di geopolitica, questo cambio di direzione della politica energetica di Putin dalla UE verso la Cina non riguarda solo questioni economiche (da un lato un mercato stagnante e dall’altro un mercato in forte espansione) ma anche e soprattutto strategia diplomatica e di potere nello scacchiere delle relazioni internazionali. Infatti l’Unione Europea, l’America di Obama e le Istituzioni finanziarie legate al “Washington consensus” tendono a vincolare gli aiuti economici e gli scambi commerciali verso la Russia a concessioni del Cremlino nel campo dei diritti umani, delle regole democratiche e del libero mercato. Tutti nodi spinosi per il regime e la visione nazionalista di Putin, che preferisce indubbiamente trattare alla pari con Paesi, come la Cina appunto, che questi “scrupoli” non se li fanno.
Non è quindi escluso che l’assoluta necessità russa di capitali stranieri e il crescente e ineludibile bisogno cinese di fonti energetiche possano passare sopra qualsiasi valutazione di natura ambientale e sanitaria e che il tutto venga ricondotto nella superiore “ragion di stato”.