Rifiuti da rifiuti: ecco come l’Italia (non) gestisce cosa resta dell’economia circolare
Si tratta di oltre 42 milioni di tonnellate l’anno, che devono fare i conti con un’infrastruttura impiantistica squilibrata e crescenti ricorsi a stoccaggi ed export
[18 Ottobre 2021]
Cittadini e Comuni hanno ogni giorno a che fare coi rifiuti urbani che generiamo nelle nostre case, circa 30 mln di ton l’anno che vengono raccolte in modo differenziato (61,3%) per poi essere avviate a recupero di materia (50%), incenerite (18%) o smaltite in discarica (21%). Il dibattito pubblico è tanto incentrato su questi rifiuti da dimenticare che l’84% di tutti quelli che generiamo in Italia sta altrove: tra i rifiuti speciali, che ammontano a 154 mln di ton l’anno e che in larga parte non sappiamo gestire, come spiega l’ultimo report del laboratorio Ref ricerche.
In particolare, il report si concentra sui rifiuti speciali che rientrano nel capitolo 19 dell’Elenco europeo rifiuti (Eer), ovvero i Rifiuti prodotti da impianti di gestione dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale. Ammontano a 42,2 mln di ton l’anno (il 27,4% dei rifiuti speciali, più di tutti i rifiuti urbani) e rappresentano in un certo senso gli “scarti” dell’economia circolare: rifiuti prodotti dalla gestione di altri rifiuti o da depurazione, dato che ogni processo industriale non sarà mai a “rifiuti zero” come insegna il secondo principio della termodinamica.
All’interno di queste 42,2 mln di ton, nella componente “acque” rientrano i fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane (3,4 milioni di tonnellate), i fanghi originati dal trattamento delle acque reflue industriali (849mila tonnellate), mentre nella componente “rifiuti” stanno dunque per differenza tutte le altre 38 mln di ton (comprese le 11,6 derivanti dal trattamento di rifiuti urbani, incluse da Ispra nel ciclo di gestione degli urbani).
Come vengono gestite le 42,2 mln di ton di rifiuti da rifiuti? Ref ricerche documenta che la forma prevalente è l’avvio a recupero (54%) e solo in subordine lo smaltimento (46%). Resta il fatto che «nel complesso, consolidando i dati sulla gestione dei rifiuti speciali con quelli afferenti agli speciali da urbani, è dunque possibile individuare un insieme di 20 milioni di tonnellate di rifiuti speciali da rifiuti avviati a smaltimento».
Occorre dunque di dotarsi di altri e più sostenibili impianti rispetto alla discarica, o ancora peggio all’export di rifiuti per mancanza d’impianti di prossimità.
Mentre i rifiuti speciali continuano a crescere ben più rapidamente rispetto al Pil, gli impianti per gestirli sono infatti in calo, parcellizzati – il che non aiuta gli investimenti in innovazione e sostenibilità – e concentrati prevalentemente al nord: in tutto il Paese se ne contano 10.839, ma la dotazione di Lombardia e Veneto è più vasta di quella presente in tutto il resto d’Italia.
Il Ref ricerche mostra inoltre che nell’ultimo quinquennio si registra un rapido incremento (+23%) dei rifiuti speciali stoccati in attesa di un successivo trattamento (18 mln di ton nel solo 2019), una fase generalmente propedeutica al recupero. Soprattutto, nel 2019 l’Italia ha esportato ben 3,9 mln di ton di rifiuti speciali (in forte crescita rispetto ai 3,1 censiti nel 2016) e il 64% di questo export è dato proprio da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale”.
È evidente dunque la crescente necessità di implementare una dotazione impiantistica adeguata – a ogni livello – a gestire tutti i rifiuti speciali da gestire, ma da dove cominciare? “Solo” i rifiuti urbani ricadono nell’ambito della privativa comunale e dunque la loro gestione è (su base diretta o tramite affidamento) in capo alla mano pubblica, mentre i rifiuti speciali sono di norma affidati al mercato: di fatto però tutta l’infrastruttura impiantistica per la loro gestione, dal riciclo al recupero energetico allo smaltimento, è soggetta e dunque dipende dalle autorizzazioni regionali.
Ecco dunque che la presenza di sbilanci alquanto marcati nella dotazione impiantistica per gli speciali richiederebbe «quanto meno un’attività di monitoraggio sulle capacità impiantistiche dei territori, al fine di meglio coniugare il principio della specializzazione nella gestione dei rifiuti con quello della prossimità, come richiamato dall’Art.182-bis del D.Lgs. 152/2006 – argomentano dal Ref ricerche – Un’attività che, secondo quanto disposto dall’Art. 199 del TUA, spetterebbe alle Regioni, laddove i Piani regionali di gestione dei rifiuti sono chiamati ”ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti”. Un supporto a livello nazionale potrà giungere, invece, dal Programma nazionale per la gestione dei rifiuti», che dovrà essere predisposto entro marzo 2022.
Nel frattempo giova ricordare che le responsabilità in campo sono assai chiare: «La valenza del principio di prossimità e stata riaffermata con forza da una recente sentenza del Consiglio di Stato. Nello specifico, con la Sentenza n. 5025 del 1° luglio 2021, il Consiglio di Stato ha ribadito che il criterio di prossimità vale anche per la gestione dei rifiuti speciali», concludono dal Ref ricerche.