L’Italia co-organizzatrice e il mezzo flop della Cop26 di Glasgow
Per ridurre davvero le sue emissioni l’Italia deve triplicare i suoi sforzi
[15 Novembre 2021]
Forse, dopo il deludente risultato della 26esima conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP26 Unfccc) di Glasgow – della quale l’Italia era, anche se in pochi se ne sono accorti, co-organizzatrice – il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani starà un po’ più attenta a definire addirittura “eversori” gli ambientalisti che avevano osato criticare il poco coraggio dei Paesi sviluppati come l’Italia.
Infatti, al di là delle dichiarazioni di rito sul bicchiere mezzo pieno dello stesso Cingolani, quel che resta del defilatissimo contributo del nostro Paese alla COP 26 è lo scarno comunicato riepilogativo che ieri apriva il sito del ministero della Transizione ecologica: n Raggiungere l’obiettivo emissioni nette pari a zero entro il 2050, creare almeno sei corridoi verdi entro la metà di questo decennio, aumentare la produzione di energia pulita per accelerare la transizione energetica, incentivare lo sviluppo sostenibile agricolo delle foreste e di altri ecosistemi. Sono questi alcuni degli impegni presi dall’Italia alla Cop26 di Glasgow, tramite la sottoscrizione di alleanze e documenti, dall’“International Aviation Climate Ambition Coalition” alla “Clydebank Declaration For Green Shipping Corridors” al “Global Coal to Clean Power Transition Statement”».
Per l’ONG A Sud, « L’Italia esce dalla COP26 collezionando strette di mano, selfie, sorrisi ma poco altro. Si è sfilata dall’accordo sul settore automotive per un’uscita rapida dalla produzione di veicoli a benzina e il nostro ministro è tornato a parlare di nucleare come panacea di tutti i mali e del gas come migliore amico della transizione» e fa notare che « Ad oggi, a politiche correnti, l’Italia ridurrà di appena il 26% le emissioni al 2030, circa la metà del più blando dei target raccomandati della comunità scientifica. Con il PNIEC ha previsto di aumentare la percentuale al 36%, ma il piano implementativo langue. Se tutti i Paesi seguissero il nostro esempio lo scenario a fine secolo sarebbe torrido, con +3 °C di temperature medie. Calcolando il carbon budget dell’Italia e le sue responsabilità storiche, in uno studio commissionato da A Sud, Climate Analytics, una delle più importanti organizzazioni che si occupano di ricerca sul clima, ha calcolato che il nostro Paese dovrebbe diminuire le sue emissioni di ben il 92% entro il 2030 per poter rimanere in linea con gli accordi di Parigi. Più del triplo di quanto attualmente in campo».
Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia, a Glasgow per seguire la COP26, ricorda il quadro internazionale nel quale avrebbe dovuto muoversi il nostro governo: «Mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C è ancora possibile solo intensificando la risposta globale alla crisi climatica. Ma la finestra temporale che resta si sta chiudendo velocemente, quindi è tempo che i leader mondiali mantengano tutte le loro promesse per garantire un futuro sicuro e piacevole a tutti. Glasgow è stato un punto di partenza e non di arrivo. Dobbiamo tutti lavorare perché la crisi climatica venga affrontata, in ogni ambito, con la rapidità e l’incisività necessarie: nessuno è al sicuro e abbiamo tutti troppo da perdere, noi e il Pianeta».
Anche per Legambiente, «Il nostro Paese deve contribuire a centrare l’obiettivo di 1.5°C aumentando il suo impegno di riduzione delle emissioni al 2030 attraverso la revisione del Piano Nazionale Integrato Clima ed Energia (PNIEC). Infatti, l’attuale Piano consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990. Serve una drastica inversione di rotta».
Il presidente nazionale del Cigno Verde, stefano Ciafani, ricorda a Cingolani e a Mario Draghi che «Si deve aggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5° C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando quindi ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia ha a disposizione ben 70 miliardi, allocati dal PNRR per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica, attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa, in grado di colmare i ritardi del PNIEC ed accelerare la decarbonizzazione dell’economia italiana in coerenza con l’obiettivo di 1.5° C dell’Accordo di Parigi. Solo così l’Italia potrà sostenere l’Europa nell’impegno comune per fronteggiare l’emergenza climatica globale. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere».
Sul Manifesto il direttore di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, definisce «Del tutto deludente, invece, la presenza dell’Unione Europea segnata da ipocrisia e vero e proprio greenwashing. Nelle ultime due settimane le proposte della Commissione hanno via libera per autorizzare in modo accelerato infrastrutture del gas fossile, che hanno inserito nella proposta di Tassonomia (per definire cosa è “sostenibile”) assieme al nucleare e, in questi giorni, i funzionari stanno lavorando per indebolire la proposta di normativa che metta al bando l’importazione di prodotti provenienti da deforestazione. Il “Green New Deal” europeo – in attesa del nuovo governo tedesco? – ne esce davvero ridimensionato».
Onufrio ricorda che «L’Italia ha inaspettatamente aderito alla coalizione BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance). Si tratta di un piccolo gruppo di Paesi che si pone l’obiettivo eliminare anche petrolio e gas. Abbiamo però aderito senza impegni precisi al grado minimo di coinvolgimento, come «amici». Vediamo se come «amici» di quelli che vogliono eliminare anche petrolio e gas il governo sarà capace di far ripartire le rinnovabili (e non le trivelle), come ha promesso, sbloccando i processi autorizzativi come anche in questi giorni va annunciando. Sarebbe ora».
Ma A Sud è ancora più scettica: «Quando si è trattato di prendere posizione sulle fonti fossili Cingolani è tornato a fare spallucce: all’alleanza BOGA (Beyon Oil and Gas Alliance), che punta a una graduale eliminazione della produzione di petrolio e gas attraverso obiettivi tangibili e misurabili, il nostro Paese darà il suo sostegno “as a friend” ovvero come osservatore esterno, senza impegnarsi a prendere alcuna decisione».
Per la portavoce di A Sud Marica Di Pierri, «L’Italia non è un buon esempio in ambito climatico. Anche in questi negoziati si è distinta per ciò che non ha voluto decidere. Non stupisce, dato che al di là di una retorica istituzionale molto green, è tra i Paesi europei che nel PNRR investe meno sulla cosiddetta transizione energetica. Abbiamo target di riduzione ridicoli, continuiamo a parlare di nucleare mentre tutto il mondo ci chiede di puntare sulle fonti rinnovabili. Preferiamo voltarci dall’altra parte anche di fronte ai disastri climatici che sempre più spesso riguardano il nostro territorio. Da questa consapevolezza ha preso le mosse Giudizio Universale, l’azione legale climatica che abbiamo promosso contro lo Stato. Chiediamo al giudice di dichiarare che l’Italia è responsabile di inazione climatica e che i target di riduzione nazionali vanno rafforzati senza rimandare oltre. Il 14 dicembre saremo in tribunale a Roma per la prima udienza. Visto che i luoghi di governance non bastano, porteremo le rivendicazioni di giustizia climatica nelle piazze e nei tribunali».
Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e promotore di Italy for Climate, conclude: «A questo punto la COP passa di nuovo mano, e il mandato di Madrid passato per Glasgow arriverà il prossimo anno a Sharm El-Sheikh dove si terrà la COP27. Il testo finale dell’accordo di Glasgow infatti anticipa la revisione degli NDC con una nuova deadline a fine 2022 chiedendo ancora una volta agli Stati che sono ancora in ritardo di adeguare i propri impegni. E’ un gap pesante quello che abbiamo di fronte e richiede che ogni Paese faccia con cura i suoi conti. Questo è il decennio chiave, non c’è più un giorno da perdere e l’accelerazione non è una scelta ma è imposta dalla dinamica della crisi climatica. L’Italia ha ridotto le emissioni di poco più del 20% tra il 1990 dopo il calo delle emissioni dovuto alla pandemia nel 2021 sono già tornate a crescere del 6%. Da qui al 2030, in nove anni, ci aspetta un taglio decisamente superiore. Per questo il 2 dicembre come Italy for Climate abbiamo convocato la Conferenza nazionale sul clima e chiediamo che sia varata anche in Italia una Legge per la protezione del clima che renda legalmente vincolanti i nuovi target al 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica non oltre il 2050».