La guerra dell’acqua tra pastori, pescatori e agricoltori nel nord del Camerun
44 morti e 111 feriti e 112 villaggi rasi al suolo. 100.000 profughi, soprattutto donne e bambini
[20 Dicembre 2021]
Da due settimane nell’estremo nord del Camerun si c succedono scontri intercomunitari che hanno causato lo sfollamento di 100.000 persone oltre delle quali sono fuggite nel vicino Ciad.
I primi violentissimi scontri, nei quali sono morte almeno 22 persone e altre 30 sono state gravemente ferite, sono iniziati il 5 dicembre nel villaggio di confine di Ouloumsa dopo una disputa tra pastori, pescatori e agricoltori per l’esaurimento delle risorse idriche. La violenza si è poi estesa e 10 villaggi vicini sono stati ridotti in cenere.
L’8 dicembre sono scoppiati combattimenti a Kousseri, una cittadina commerciale di circa 200.000 abitanti dove durante gli scontri è stato distrutto il mercato del bestiame. Almeno 10.000 persone sono fuggite da Kousseri per raggiungere la capitale del Ciad N’djamena, situata a pochi chilometri tra i fiumi Chari e Logone, che segnano il confine con il Camerun.
Il Ciad ha ribadito la sua disponibilità ad accogliere i nuovi arrivati. Le autorità ciadiane, insieme all’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), ad altre agenzie dell’Onu e a vari partner umanitari, stanno cercando di fornire ai rifugiati camerunesi riparo e assistenza di emergenza. I feriti sono stati ricoverati in due ospedali a N’Djamena. Ed è stato proprio l’UNHCR ha spiegare che «La crisi climatica sta esacerbando le tensioni nell’estremo nord del Camerun. Negli ultimi decenni la superficie del lago Ciad – di cui il fiume Logone è il principale affluente – si è ridotta del 95%. Pescatori e contadini scavarono grandi trincee per trattenere l’acqua residua dal fiume in modo da poter pescare e coltivare. Ma queste trincee fangose intrappolano e talvolta uccidono il bestiame dei pastori, provocando tensioni e scontri».
Un primo focolaio di violenza intercomunitaria era già scoppiato ad agosto, quando sono state uccise 45 persone e 23.000 vennero fatte sfollare con la forza, 8.500 delle quali sono poi rimaste in Ciad
Sembrava che, grazie alla mediazione dell’UNHCR e le autorità locali, dopo gli scontri di inizio dicembre gli sforzi di riconciliazione a Kousseri avessero avuto successo e i rappresentanti della comunità si erano impegnati a porre fine alle violenze. Ma il portavoce dell’UNHCR Matthew Saltmarsh ha detto che la situazione si è ulteriormente aggravata: «Gli scontri tra le comunità scoppiate nella regione dell’estremo nord del Camerun nelle ultime due settimane hanno costretto almeno 100.000 persone a fuggire dalle proprie case, ma il numero effettivo potrebbe essere molto più alto. L’UNHCR stima che negli ultimi giorni più di 85.000 persone siano fuggite nel vicino Ciad, mentre almeno 15.000 camerunesi sono stati costretti a lasciare le proprie case per cercare rifugio altrove nel loro Paese. Poiché l’accesso umanitario nella regione è molto limitato, queste cifre potrebbero essere molto più alte».
Il numero totale di sfollati è rapidamente triplicato rispetto alla prima settimana di scontro, raggiungendo i 100.000 profughi camerunensi che hanno attraversato il confine in cerca di sicurezza. In aumento anche il numero delle vittime delle violenze: al 17 dicembre si contavano 44 morti e 111 feriti e i villaggi rasi al suolo sono ormai112.
La stragrande maggioranza dei nuovi arrivati in Ciad sono bambini e il 98% degli adulti sono donne. Circa 48.000 persone hanno trovato rifugio in 18 siti urbani a N’Djamena, la capitale del Ciad, e 37.000 persone sono distribuite in 10 siti rurali lungo la sponda ciadiana del fiume Logone.
In collaborazione con le autorità, l’UNHCR, altre agenzie delle Nazioni Unite e partner umanitari si stanno mobilitando per fornire assistenza vitale. L’UNHCR ha dichiarato un’emergenza di livello 2 e sta rapidamente espandendo le operazioni per assistere le persone colpite in Camerun e i nuovi rifugiati in Ciad.
Saltmarsh evidenzia che «I rifugiati hanno urgente bisogno di riparo, coperte, materassini e kit igienici. Alcuni sono generosamente ospitati dalle comunità locali, ma la maggior parte dorme ancora all’aria aperta o all’ombra degli alberi».
L’UNHCR e Médecins Sans Frontières hanno installato cliniche mobili nella maggior parte dei siti dei rifugiati. L’UNHCR, la Croce Rossa del Ciad e l’Agence de développement économique et social, una ONG ciadiana, hanno distribuito pasti caldi in tutti i siti di rifugiati. Inoltre, i team dell’UNHCR stanno aiutando il governo a identificare nuovi luoghi di accoglienza lontano dal confine per proteggere meglio i rifugiati in conformità con gli standard internazionali.
Nell’estremo nord del Camerun sono state dispiegate le forze di sicurezza e sono in corso le operazioni di disarmo ma, anche se nell’ultima settimana sono stati segnalati pochi incidenti, la tensione rimane alta e, a causa dell’insicurezza, l’UNHCR non può ancora accedere al distretto rurale di Logone Birni, dove sono iniziati gli scontri.
Saltmarsh evidenzia che «I nostri team nelle città di Maroua e Kousseri valutano la protezione e le esigenze umanitarie degli sfollati interni. Molti sfollati riferiscono difficoltà nel trovare acqua potabile e non hanno accesso alle latrine. I problemi di igiene sono quindi in aumento» e «Senza un’azione urgente per affrontare le cause profonde della crisi, la situazione potrebbe peggiorare. L’UNHCR fa appello al sostegno della comunità internazionale per assistere gli sfollati forzati e ribadisce il suo appello alla riconciliazione per porre fine alle violenze in modo che le persone possano tornare a casa in sicurezza».
Il Ciad ospita quasi un milione di rifugiati e sfollati interni e il Camerun più di 1,5 milioni. Le risorse finanziarie necessarie per rispondere alla situazione in questi due Paesi rimangono estremamente basse. Le esigenze dell’UNHCR per il 2021 in Camerun (99,6 milioni di dollari) e Ciad (141 milioni di dollari) sono finanziate rispettivamente solo per il 52% e il 54%. E’ urgentemente necessario ulteriore sostegno per consentire all’UNHCR di continuare a fornire assistenza salvavita in questa crisi potenzialmente prolungata.