Integrare economia e ambiente per una transizione sostenibile
Green practices, economia circolare e turismo al centro della terza sessione del workshop Cercis all’Università di Ferrara
La terza sessione del workshop Cercis, svoltosi recentemente a Ferrara, ha ospitato contributi eterogenei che hanno sottolineato aspetti rilevanti per la transizione a un’economia più sostenibile. I temi che si sono susseguiti sono quelli dell’adozione delle green practices, dell’uso delle risorse e della gestione dei rifiuti.
La sessione si è aperta con il lavoro di Federica Nuzzo, Università di Bari, e colleghi (Angela Stefania Bergantino e Ivano Dileo, della stessa istituzione), che ha indagato la diffusione delle green practices aziendali – ricerca e sviluppo ambientale e outsourcing di conoscenza – in imprese delle economie di paesi emergenti e in via di sviluppo, in cui le donne rivestono incarichi manageriali.
Nonostante l’importanza delle green practices sia indicata come cruciale per la crescita economica e la sostenibilità in questi paesi, si conosce ancora poco riguardo al loro processo di adozione, specialmente per le aziende gestite da donne. Grazie ai dati microeconomici della Banca mondiale, lo studio mostra come l’atteggiamento sensibile delle manager nei confronti dell’ambiente non necessariamente si rifletta nell’adozione di queste pratiche, se manca supporto dal governo locale o nazionale. In termini di politica, i governi dovrebbero orientare le loro scelte alla creazione di policy specifiche per incentivare l’introduzione delle green practices nelle imprese, indipendentemente dal genere di chi le gestisce.
Il secondo contributo, di Francesca Gambarotto dell’Università di Padova, realizzato insieme ai colleghi Chiara Magrini (Università di Bologna) Giulio Pedrini (Università di Enna) e Nicolò Stamboglis di Infocamere (Padova), si concentra sulla creazione di una mappatura della produzione e dello smaltimento dei rifiuti nei settori industriali delle regioni più produttive d’Italia: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, cuore manifatturiero dell’Italia, che ospita il cosiddetto “nuovo triangolo industriale”.
Utilizzando le informazioni delle dichiarazioni obbligatorie sulla produzione di rifiuti industriali, confrontati con i dati di oltre 3000 impianti di smaltimento rifiuti industriali, i ricercatori mostrano che i settori manifatturieri di prodotti minerali non metallici e della produzione del metallo sono responsabili della maggior quantità di rifiuti, inclusi i rifiuti pericolosi. Riguardo a questi ultimi in particolare, gli autori mostrano che anche prodotti chimici e di base e i prodotti farmaceutici contribuiscono in modo sostanziale.
La sessione è proseguita con Marco Compagnoni, giovane ricercatore dell’Università di Trento, che ha presentato un interessante contributo sulla Responsabilità estesa del produttore (Epr), principio secondo il quale il produttore ha la responsabilità di occuparsi dello smaltimento del prodotto alla fine del suo ciclo di vita.
Nello specifico, il ricercatore si è occupato di creare la prima revisione sistematica della letteratura sull’Epr nel settore dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), combinando indicatori bibliometrici (cioè numero di pubblicazioni scientifiche che si sono occupate di studiare l’argomento) ed analisi dei contenuti delle pubblicazioni scientifiche. Lo studio ha dimostrato che il numero di pubblicazioni scientifiche su Epr è stato in aumento nel corso degli ultimi vent’anni e che le considerazioni in merito si stanno muovendo da aspetti ambientali verso un approccio più olistico alla sostenibilità e agli aspetti economici.
Matteo Mazzarano, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha presentato una ricerca il cui scopo è valutare come i mercati finanziari reagiscono alle performance ambientali delle imprese, in presenza o meno di regolamentazioni ambientali stringenti.
Per fare questo, ha confrontato la relazione tra gli utili finanziari presentati dalle imprese e il totale dei rifiuti da loro prodotto in paesi Ocse (che in media hanno una policy più stringente) e non-Ocse. I risultati evidenziano che il rapporto tra utili finanziari e indicatore di totale dei rifiuti è generalmente negativo nei paesi Ocse: in altre parole all’aumentare del danno ambientale creato dall’impresa, la valutazione dei mercati finanziari di quell’impresa in termini economici tende a scendere. Anche se questa relazione non è significativa nei paesi non-Ocse, questo indica che politiche più severe in materia ambientale possono servire come segnale ai mercati finanziari di deprezzare imprese con basse performance ambientali.
La sessione si è chiusa con Fabiola Onofrio, giovane ricercatrice dell’Università di Ferrara che ha presentato una ricerca realizzata con i colleghi della stessa istituzione – Massimiliano Mazzanti e la sottoscritta – e Ilaria Rodella, afferente all’Università di Padova. La ricerca ha lo scopo di determinare la diponibilità a pagare degli utenti di alcune spiagge italiane delle Marche e della Campania, per usufruire dei servizi offerti (pulizia e sicurezza delle spiagge) e per la protezione dell’ambiente.
Gli autori, che hanno sottoposto un questionario ad hoc agli utenti delle spiagge, mostrano chiaramente come la disponibilità a pagare dei turisti sia del 15% più alta rispetto a quella dei residenti, per mantenere o migliorare la qualità della spiaggia e dell’ambiente. Questo ha una implicazione rilevante per i governi locali: il turismo è un ulteriore canale su cui fare leva per fare fronte al cambiamento climatico e raggiungere gli standard ambientali delle regolamentazioni nazionali e sovranazionali.
Anche se in modo diverso, tutti i contributi di questa sessione del workshop annuale hanno segnalato che è necessario raggiungere un equilibrio tra performance economiche e performance ambientali e come integrare i due aspetti possa rendere più efficace la transizione verso l’economia circolare.