Approvata una mozione del Partito Comunista. L’Ucraina: sarebbe la fine degli accordi di Minsk
La Duma chiede a Putin di riconoscere le repubbliche ribelli del Donbass
Intanto cala la tensione al confine con l’Ucraina e ripartono i negoziati con l’Occidente
[15 Febbraio 2022]
I deputati della Duma di Stato russa hanno appoggiato una mozione presentata dal Partito Comunista russo che chiede al Cremlino di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk nell’Ucraina orientale, dove ci sono i più grandi giacimenti di carbone dell’Ucraina. La mozione è stata approvata da 351 parlamentari (quindi anche da tutti quelli del Partito conservatore Russia Unita di Vladimir Putin) e solo 16 si sono opposti e uno si è astenuto.
Dopo il voto, il presidente della Duma, l’ex comunista Vyacheslav Volodin ora esponente di punta di Russia Unita, ha inviato immediatamente il provvedimento a Vladimir Putin che lo potrà usare come ulteriore arma negoziale con i leader europei che in queste ore sembrano aver ottenuto la cessazione delle esercitazioni militari russe al confine con l’Ucraina e il parziale ritiro dei soldar ti di Mosca.
Ma i deputati della Duma dicono che sarebbero disposti a correre il rischio di pagare di tasca propria le sanzioni occidentali pur di riconoscere le due Repubbliche russe dichiaratesi indipendenti. Il comunista Kazbek Taisaev ha detto: «Sono sicuro che il popolo russo oggi sostiene pienamente il nostro decreto ed è pronto a rinunciare a qualcosa di più del semplice pagamento della tredicesima».
Ma il ministro degli esteri ucraino Dmitry Kuleba ha subito avvertito Putin che Kiev considererebbe il riconoscimento delle due autoproclamate repubbliche popolari come l’abbandono da parte di Mosca dell’accordo che pose fine al conflitto del Donbass: «Se verrà presa questa decisione… la Russia si ritirerà de facto e de jure dagli accordi di Minsk con tutte le conseguenze che ne conseguono».
Anche Volodin non si nasconde che il riconoscimento delle due repubbliche «E’ una questione estremamente importante e ad alto rischio. Washington sta infiammando le tensioni e fornendo armi all’Ucraina insieme ai paesi europei, mentre Kiev continua a ignorare gli accordi di Minsk», Accordi firmati nel 2014 e nel 2015 da Kiev, Mosca, dai leader delle due regioni separatiste e OSCE e che, oltre al cessate il fuoco, includevano anche un accordo per la riforma costituzionale in Ucraina, trasformandola in una repubblica federale con decentramento e poteri extra per le repubbliche di Donetsk e Lugansk. Cosa che non è mai avvenuta, anche perché i filorussi si considerano di fatto indipendenti dall’Ucraina.
Poi, a metà gennaio, i deputati del Partito Comunista, scavalcando a destra Putin nella loro foga nazionalista, hanno presentato una bozza di risoluzione che evidenzia l «La necessità di riconoscere la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Lugansk». I comunisti russi – in ascesa nei consensi alle ultime elezioni – sono convinti che l riconoscimento delle autoproclamate repubbliche creerebbe il quadro per garantire garanzie e proteggere la popolazione d formata in gran parte da russi etnici, dalle minacce esterne.
E le minacce s esterne sono i nazionalisti ucraini, Infatti il Donetsk e il Lugansk hanno dichiarato la loro autonomia da Kiev nel 2014 dopo la violenta rivota di piazza di Maidan che portò alla caduta del governo filorusso che aveva vinto le elezioni soprattutto grazie al voto della popolazione russofona dell’Ucraina orientale e della Crimea. ASd oggi, la Russia non ha riconosciuto l’indipendenza delle due Repubbliche popolari, anche se entrambe sono firmatarie degli accordi di Minsk e se oltre mezzo milione dei cittadini del Donetsk e il Lugansk hanno il passaporto russo.
Il voto della Duma acuisce le tensioni esistenti e rappresenta un avvertimento All’Ucraina affinchè si astenga dall’attaccare i ribelli filorussi, lasciando capire che si tratterebbe della scintilla per far scoppiare una guerra fino ad ora evitata e che ha dato a Putin il vantaggio di muoversi come meglio credeva mentre la NATO gridava al Lupo. Invece l’orso russo ha mostrato beffardamente i denti alla Duma di Mosca.
L’impressione è che i russi abbiano utilizzato l’allarmismo occidentale per ridicolizzarlo e per tenere Kiev, Washington e Bruxelles sulla stessa corda che loro avevano teso. Oggi il potentissimo ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha definito «Positiva la risposta dell’Occidente alle iniziative russe sulla sicurezza europea, che sono state respinte per un lungo periodo di tempo». Ma j ha precisato che «Non è la fine della storia», Per Mosca le proposte presentate dal ministro degli esteri polacco e presidente di turno dell’OSCE, Zbigniew Rau, sono una buona base di partenza e Lavrov ha promesso che proseguirà il dialogo con Washington e la NATO sulle questioni di sicurezza nel tentativo di giungere a una soluzione generale di questi problemi: «Continueremo il nostro dialogo anche per chiarire le posizioni dell’Occidente su quanto siano preparati i membri della NATO a negoziare la realizzazione del principio di indivisibilità della sicurezza. E organizzeremo anche consigli di esperti per concordare approcci su questioni specifiche, che si tratti di missili a corto e medio raggio o di riduzione del rischio di guerra. Attraverso gli sforzi combinati su tutte queste questioni, è possibile mettere insieme un risultato piuttosto buono». Ma per la Russia l’OSCE dovrebbe farsi garante di un principio inderogabile che «Richiede prima di tutto di evitare qualsiasi tipo di azione che rafforzi la sicurezza a scapito della sicurezza di qualsiasi altro Paese. Tutto questo è stato fissato da numerosi documenti dell’OSCE, dal 1994, anno in cui è stato adottato il Codice di condotta sugli aspetti politico-militari [della sicurezza], poi la Carta sulla sicurezza europea è stata approvata al più alto livello a Istanbul e confermata in dettaglio e inequivocabilmente al vertice dell’OSCE ad Astana. Non è come i nostri colleghi occidentali cercano di far credere, che ogni Paese può scegliere le proprie alleanze, cercando di non ricordare che questo non può essere fatto a scapito della sicurezza degli altri».
Infine, Lavrov ha promesso che «Mosca risponderà prontamente ai documenti di sicurezza ricevuti da Usa e NATO».
Nel suo faccia a faccia con il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz (che probabilmente è stato colui che ha sbloccato il negoziato) Putin ha ricordato che In Europa una guerra c’è già stata e che l’ha fatta la NATO bombardando la Jugoslavia: «Ma non vogliamo iniziare una guerra. Ma la Russia non può chiudere un occhio sulla libera interpretazione del principio di indivisibilità della sicurezza da parte di USA e NATO. Gli Stati Uniti e l’Alleanza atlantica interpretano abbastanza liberamente e a loro favore i principi cardine della sicurezza uguale e indivisibile, sanciti in molti documenti comuni europei».
Putin ha approfittato dell’incontro con Scholz per fare il pompiere e, rispondendo alla Duma e agli ucraini su un possibile riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, ha buttato acqua sul fuoco: «La mozione ha mostrato che i parlamentari comprendono la simpatia dell’opinione pubblica nei confronti di coloro che vivono nella regione del Donbass dilaniata dalla guerra, paragonando il trattamento dei residenti lì al “genocidio”. Tuttavia, dobbiamo fare di tutto per risolvere i problemi nel Donbass, ma prima di tutto attraverso le opportunità non ancora realizzate per attuare gli accordi di Minsk».
Poi venendo al gas e agli affari, Putin ha definito la Germania come «Uno dei partner prioritari della Russia» e ha affermato che «E’ stato un piacere incontrare Scholz».
E’ sempre più chiaro che la Russia ha giocato e sta ancora giocando una rischiosa partita a scacchi dove in palio ci sono anche i rapporti con l’Unione europea e i suoi stati più importanti e Germania, Italia e Francia, al di là delle dichiarazioni di facciata, sull’Ucraina non sembrano proprio allineatissimi con l’interventismo di Biden. Una partita che Putin ha finora giocato brandendo sia il bastone dei carrarmati e dei missili nucleari che la carota del gas e torcendo a suo favore (forse anche propiziandole) le notizie allarmistiche gridate dai media statunitensi e riprese dai media europei. Una partita nella quale riusciremo solo alla fine chi è stato davvero il lupo e l’agnello in questa brutta favola della nuova guerra che speriamo resti fredda.