Partecipazione piena e paritaria delle donne per l’azione climatica e la pace

Tessitrici di vita: la difficile lotta di due ambientaliste colombiane che difendono donne e diritti umani

[1 Aprile 2022]

Donne e bambini subiscono sempre di più il peso del cambiamento climatico, che aggrava le disuguaglianze e le vulnerabilità che già affrontano, come povertà, violenza, mancanza di opportunità e diritti umani fondamentali. Eppure le donne non sono vittime; sono sopravvissute, innovatrici e moltiplicatrici di soluzioni che meritano attenzione vera. Due attiviste colombiane hanno detto a UN News perché questo è vero.

«Il cambiamento climatico non è neutrale rispetto al genere» e per Fatima Muriel, questo fatto è fin troppo reale per migliaia di donne colombiane. Nel 2017 un disastro ha colpito la sua città natale, Mocoa nel dipartimento di Putumayo. Poco prima dell’alba dell’1 aprile, piogge insolitamente abbondanti hanno innescato inondazioni improvvise e smottamenti, che hanno seppellito diversi quartieri lungo le rive dei fiumi Mocoa, Sangoyaco e Mulato. Sebbene la regione, situata all’estremità meridionale delle Ande in Colombia, sia nota per le frequenti piogge, quell’anno Mocoa è stata colpita in una sola notte dal 33% delle precipitazioni che di solito cadono in un mese. Chi ha pagato per questo cambiamento delle condizioni meteorologiche sono stati principalmente donne e bambini.

La Muriel spiega a UN News che «Il 90% di tutti coloro che sono morti erano donne. Dato che era un venerdì sera, gli uomini erano fuori a bere e a festeggiare mentre le donne si prendevano cura dei loro figli e genitori. Tra le macerie abbiamo anche trovato delle madri che si aggrappavano a due bambini, tutti annegati. E’ stato straziante».

Mocoa è rimasta per settimane senza elettricità o nessun tipo di comunicazione. La Muriel ha assistito al peggio della tragedia prima di recarsi nella capitale: «E’ stato estremamente doloroso dover scavare fosse comuni per seppellire i bambini, vedere bambini di soli 3-5 anni gettati in un fosso. Alcuni bambini non sono morti nella valanga ma si sono persi e non sono riusciti a ritrovare la loro casa. Perché pagano loro tutto questo?». L’Onu e le ONG hanno risposto rapidamente all’indomani di quello che inizialmente le autorità colombiane avevano ritenuto un “disastro naturale” causato dai cambiamenti climatici, ma sono ancora in corso indagini per determinare altri fattori che potrebbero aver contribuito alla tragedia che ha ucciso oltre 300 persone e ne ha colpite 45.000.

La Muriel è la presidente della rete femminile Tejedoras de Vida (Tessitrici di vita), che riunisce 120 organizzazioni per sole donne che cercano di proteggersi e sostenersi a vicenda e che dichiarano anche apertamente il loro diritto umano a un ambiente sano, mettono così a rischio la loro vita, e sottolinea: «Questo è il motivo per cui combattiamo. Non vogliamo che succeda di nuovo. Putumayo è nel mezzo di due grandi montagne. Quando le compagnie petrolifere e minerarie trivellano queste montagne, quello che fanno è destabilizzarle e questo provoca più frane e straripamenti dei fiumi» e cita studi secondo i quali «Anche la deforestazione nelle montagne potrebbe aver avuto un ruolo nel disastro».

Purtroppo, il dolore per l’orrore avvenuto a Mocoa è solo la punta dell’iceberg; le donne ei bambini di Putumayo combattono da decenni per la loro sopravvivenza. Hanno vissuto i momenti peggiori della recente storia della Colombia: Putumayo era una roccaforte della guerriglia delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) e la regione ha subito massacri e desaparecidos  per mano di gruppi paramilitari di destra e sinistra e violazioni dei diritti umani da parte di membri dell’esercito e delle forze di sicurezza, come documentato nei rapporti dall’United Nations Office of the High Commissioner for Human RightsUfficio (OHCHR). Inoltre, il dipartimento è un terreno fertile per coltivare la coca, quindi e<è stato sottoposto a una massiccia campagna di fumigazione aerea lanciata all’inizio degli anni 2000 come parte della guerra del governo contro la droga. In tutta la Colombia, la fumigazione è considerata una causa di gravi problemi economici, ambientali e sanitari. Secondo la Muriel «Le donne hanno avuto la peggio. Le donne sono state sottoposte a schiavitù sessuale, lavoro, prostituzione forzata e attività domestiche, altre sono state violentate, uccise o sono scomparse. Come vittime e sopravvissute, si sono assunte il peso della famiglia causato dallo sfollamento o dalla fame derivante dalle fumigazioni che non hanno solo eradicato la coca, ma hanno anche distrutto altri raccolti e inquinato i fiumi. Ma allo stesso tempo, le donne sono state resilienti in difesa del loro diritto alla vita».

La Muriel è stata una vittima della guerra. Gruppi armati hanno sfollato tutta la sua famiglia dopo essersi presa la loro terra e hanno rapito e aggredito suo marito lasciandolo invalido. In lacrime racconta a UN News: «Anche due dei miei fratelli sono stati uccisi dalle FARC e mio cognato è ancora scomparso. Questo è il motivo per cui lavoro con altre donne che hanno sofferto quello che ho sofferto io».

Nella vita questa donna corahggiosa è un’ispettrice scolastica e ha viaggiato per tutta la regione ed è stata testimone di una violazione sistematica dei diritti umani, in particolare di donne e bambini, anche nelle aree più remote e isolate. Ha accompagnato e sostenuto insegnanti delle comunità rurali vittime del conflitto armato, si è confrontata con gli ex guerriglieri delle FARC per fermare il reclutamento forzato di ragazzi e ragazze per la guerra, ha accompagnato madri nella ricerca dei loro figli e mariti rapiti dai gruppi paramilitari di destra e ha assistito all’omicidio di donne insegnanti e leader sociali. E ora racconta l’orrore come testimone: «Durante uno dei miei viaggi nel comune di San Miguel, nel villaggio di San Carlos, 5 taxi sono stati inceneriti insieme ai loro occupanti, le porte delle scuole sono state crivellate con colpi di arma da fuoco di diversi calibrii, le donne assassinate giacevano a terra con i genitali e il seno completamente distrutti».

Le Mujeres Tejedoras de Vida, sono nate  nel 2005 a Putumayo come risposta alla crisi umanitaria scatenata dalla guerra e la Muriel spiega ancora: «La cosa più importante nella nostra organizzazione è riempire di speranza le donne, sono loro che crescono e si prendono cura dei bambini. Ovunque una donna cessa di esistere, una casa viene distrutta, per questo ci definiamo tessitrici di vita perché intrecciamo [insieme] tutti i progetti, i programmi, le idee, i sogni, le speranze. E’ come tessere e non permettere a nessuno di spezzare di nuovo le fibre come è successo durante la guerra».

La rete è incentrata su tre priorità: diritti umani e costruzione della pace; politiche pubbliche; e cultura e ambiente. Le Mujeres Tejedoras de Vida tengono sessioni di formazione per aiutare a educare le donne sui loro diritti e fornire loro abilità pratiche. Offrono loro anche supporto psicosociale, ricreativo e legale.

Sono sopravvissute chiedendo sovvenzioni a organizzazioni internazionali, comprese alcune agenzie Onu e Paesi europei che le aiutano a realizzare progetti specifici a sostegno dell’emancipazione femminile.

«Stavo lavorando con altre organizzazioni e insegnanti, e ad un certo punto abbiamo contato 1.000 donne uccise, è allora che ci siamo rese conto che dovevamo organizzarci e aiutarci a vicenda – dice la Muriel – Vorremmo avere più risorse per andare oltre il nostro lavoro attuale e ospitiamo donne e bambini sfollati».

La Muriel ha fatto parte di un gruppo di donne leader che discusso dei rischi per la sicurezza legati al clima durante la 66esima sessione della Commissione sulla condizione delle donne (CSW) tenutasi all’Onu a New York. Attualmente, 150 Mujeres Tejedoras de Vida stanno mappando tutti i fiumi che scorrono nel loro territorio e le attività delle industrie minerarie e petrolifere, nonché i progetti sponsorizzati dallo Stato che stanno influenzando la loro qualità di vita.

Natalia Daza, che lavora per l’ONG colombiana DeJusticia come ricercatrice di giustizia ambientale, ha detto a UN News che «La maggior parte delle donne a Putumayo sono state sfollate a causa del conflitto. Hanno trovato casa sulle sponde del fiume perché così non devono pagare l’acqua. L’acqua è vita per loro e per le loro famiglie, quindi si battono affinché sia ​​pulita e non inquinata dalle grandi imprese. E se si aggiungono alle inondazioni causate dai cambiamenti climatici, significa che queste donne sono state colpite tre volte. Gli studi dimostrano che quando i fiumi sono contaminati le donne sono le prime a notarlo. Questo cambia la produttività delle colture, portando a una maggiore insicurezza alimentare. Gli studi hanno dimostrato che le donne tendono a dare il cibo ai figli, ai genitori, ai mariti… e sono sempre le ultime a mangiare. La realtà è che , proprio come accade durante le guerre, il peso degli impatti climatici e ambientali ricade prevalentemente su donne e bambini».

Il motivo è la vulnerabilità: oltre il 70% delle persone più povere del mondo sono donne. Le donne hanno meno accesso ai diritti umani fondamentali, come la libertà di movimento o la possibilità di acquisire terreni. Eppure, in alcuni Paesi, rappresentano fino al 70% della forza lavoro agricola. Questo significa che quandoavvengono dei disastri “naturali” o i loro raccolti di sussistenza falliscono, non hanno i mezzi per farcela. Inoltre, affrontano anche violenze sistematiche, che si intensificano durante i periodi di instabilità. Questo include i matrimoni precoci, il traffico sessuale e la violenza domestica.

E non è un problema solo della Colombia: il rapporto di UN Women “Gender Dimensions of Vulnerability to climate Change in China” ha dimostrato che, al di là della mancanza di accesso a risorse e protezione, «La maggior parte delle donne cinesi – fino all’80% – non aveva familiarità con i piani di emergenza in caso di calamità. Questo le rende più vulnerabili agli eventi meteorologici estremi».

Nel frattempo, l’United Nations environmet programme (Unep) ha scoperto che l’80% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico sono donne e hanno anche un rischio maggiore di essere senzatetto e di aver subito violenza sessuale e di essere state contagiate da malattie sessuali. L’Unep fa notare che «C’è anche un consenso globale emergente sul fatto che il cambiamento climatico metterà in risalto i sistemi economici, sociali e politici che sono alla base di ogni Stato nazione. Il cambiamento climatico è l’ultimo moltiplicatore di minacce che aggrava situazioni già fragili e contribuisce potenzialmente a ulteriori tensioni e sconvolgimenti sociali». La Daza aggiunge che «In effetti, il cambiamento climatico crea condizioni che esacerbano il conflitto armato in Colombia. E’ stato riferito che negli ultimi anni si è verificato un numero maggiore di controversie relative all’accesso alle risorse idriche ed è noto che coloro che sono sfollati a causa di questi conflitti tendono ad essere donne di origine africana. Quindi, il cambiamento climatico è una causa e una conseguenza quando si parla di conflitto e delle sue varie ripercussioni, e le donne e i bambini sono i più colpiti da entrambi i problemi. Quando le condizioni del suolo si deteriorano a causa dei cambiamenti climatici, sia per i cambiamenti delle precipitazioni o per l’aumento delle temperature estreme, si creano condizioni di vulnerabilità delle popolazioni. E questo rende i ragazzi più inclini a essere reclutati dai gruppi armati a causa della mancanza di opportunità e della fame. Gli eventi meteorologici estremi influenzano anche il futuro dei bambini e la loro istruzione. Quando le ragazze lasciano la scuola c’è un’alta probabilità che non ci tornino e questo accade quando si verificano disastri e servizi essenziali come la salute e l’istruzione non vengono ripristinati rapidamente. Le più colpite sono sempre le donne».

Ma a Putumayo, i rischi che le donne leader sociali e difensore ambientali devono affrontare sono ancora maggiori: «Le donne ambientaliste sono le più a rischio. Sono impegnate nel territorio conteso da molti attori armati. Sono le più svantaggiate e in pericolo – avverte la Muriel – Molte donne a Tejedoras de Vida hanno ricevuto minacce per aver rivendicato il loro diritto a un ambiente sano e alcune sono state addirittura uccise.  Abbiamo dovuto raccogliere i loro corpi quando le uccidono. Abbiamo dovuto vedere bambini lasciati soli. E’ così doloroso. Sfortunatamente la guerra è tornata nel nostro territorio, con diversi gruppi di dissidenti delle FARC e altri attori armati che hanno costretto le donne a coltivare foglie di coca e venderle a qualunque prezzo vogliono, minacciando le loro vite se rifiutano. Quando è stato firmato l’accordo di pace, pensavamo che la guerra fosse finita. Abbiamo realizzato tanti progetti per le 3.000 donne che aiutiamo, tutte vittime di violenza. Ma la guerra si è nuovamente intensificata, con gruppi armati che hanno preso il controllo degli stessi territori dove prima c’erano le FARC».

Secondo l’ ultimo rapporto “Situation of human rights in Colombia” dell’OHCHR, nel 2021 in Colombia sino stati uccisi almeno 100 difensori dei diritti umani, compresi i difensori ambientali. Per la Muriel «E’ necessaria una politica di sicurezza per proteggere le donne ambientaliste, anche dagli attori legali. Sono esposte. Le grandi imprese hanno militarizzato il loro territorio e quando cercano di intervenire e fermare l’inquinamento dei fiumi e da mercurio, sono esposte ad attacchi o ad essere criminalizzate. Qualsiasi progetto dovrebbe avere garanzie ambientali e protezione per le comunità. Vengono con kit, cappellini e zaini per le persone. Ma a che ci serve oggi, quando domani non avremo acqua per vivere?»

La Daza, che ha e partecipato al panel della CSW supportato dal Department of Peace Operations (DPO) dell’Onu, spiega ancora: «Le industrie estrattive, e anche alcune di energie rinnovabili, spesso vengono accompagnate da attori della sicurezza, statali e non. In molti casi, questi attori sono lì per proteggere la miniera o il progetto, ma anche per scoraggiare l’opposizione a quel tipo di progetto, il che alla fine finisce per minacciare i leader sociali, in particolare le donne difensore ambientali. Gli attori della sicurezza, se coinvolti nella politica climatica, quando agiscono dovrebbero allontanarsi da un'”idea di sicurezza umana”, tenendo conto delle considerazioni ambientali. Un altro problema è che attualmente in Colombia non ci sono leggi specifiche sulla partecipazione della comunità al processo legislativo ambientale. Non ci sono meccanismi per garantire effettivamente che le comunità siano in grado di decidere se vogliono attività estrattive nei loro territori. E le informazioni a loro disposizione per andare contro i progetti sono davvero difficili da leggere. In altri Paesi, ci sono risorse per le persone per svolgere contro-studi sul sito in cui, ad esempio, verrà allestita una miniera, ma in Colombia questo non esiste, quindi le persone stanno cercando di fare tutto il possibile. E quando cercano di andare a un’udienza pubblica vengono minacciate».

Il  2020 OHCHR report on human rights ha rilevato che «La contaminazione da mercurio in alcuni fiumi della Colombia ha colpito in particolare le popolazioni indigene, gli afrocolombiani e le comunità rurali» e ha  espresso preoccupazione per «Le conseguenze negative delle misure antidroga, come l’effetto della fumigazione aerea sulla sicurezza alimentare, gli effetti negativi sulla salute e la negazione dei mezzi di sussistenza». Nel suo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Colombia, l’OHCHR ha anche documentato «Casi di progetti controllati dallo Stato e società minerarie private che hanno influito negativamente sul diritto delle popolazioni rurali a un ambiente sicuro, pulito e salubre».

Fatima Muriel e Natalia Daza sono entrambe colombiane, ma provengono da contesti, città ed esperienze molto diverse. Tuttavia, sono fortemente d’accordo su quale sia la soluzione per proteggere l’ambiente e rendere il loro Paese più pacifico e resiliente: «La partecipazione delle donne. Le donne devono essere coinvolte nella prevenzione dei disastri, devono essere coinvolte nell’adattamento ai cambiamenti climatici, nell’istruzione, nella salute, perché noi siamo il 50 per cento della popolazione», sottolinea la Muriel  e la Daza aggiunge: «Si tratta di “etica della cura”, una teoria etica normativa sviluppata dalle femministe nella seconda metà del XX secolo. Un’etica della cura ci mostra che ci sono modi migliori per relazionarci con la natura, con gli altri, e per costruire un pianeta che sarà sano e disponibile per tutti noi, compresi i giovani.

Agire con questo quadro morale come punto di partenza significherebbe che le comunità vengono avvisate dei disastri del tempo, ad esempio. Prendersi cura degli altri significa assicurarsi che abbiano le informazioni per prendere decisioni in modo tempestivo. Significherebbe anche una migliore distribuzione delle risorse».  E fa l’esempio dell’uragano Iota che nel 2020 ha devastato l’isola colombiana di Providencia: «C’erano studi su come Providencia fosse altamente vulnerabile ai cambiamenti climatici, ma le strategie di resilienza non erano state completamente implementate e questo significa lasciare le persone senza cure, lasciarle sole. Se le persone vengono lasciate indietro, non c’è cura per loro. Da una prospettiva femminista di cura questa cosa non sarebbe mai accaduta. Prendersi cura di loro significherebbe assicurarsi che abbiano le risorse per costruire la resilienza, assicurarsi che abbiano le informazioni giuste per avere le opzioni e il supporto in seguito, sono passati quasi due anni dall’uragano e tutti i servizi non sono stati ancora ripristinati compresa la salute e l’istruzione».

Donne come Fatima, Natalia e le 3.000 Tejedoras de Vida sono un esempio di cosa significhi essere una “moltiplicatrice di soluzioni” nella lotta al cambiamento climatico, che è un noto “moltiplicatore di minacce”. La Muriel conclude: «Non siamo nemiche degli uomini ma del sistema patriarcale. Il sistema che ci ha fatto così tanto male. Questo è ciò per cui dobbiamo lottare, per garantire che i programmi, i governi e le istituzioni lavorino con le donne. Finché non partecipiamo, non ci sarà pace».