Cibo e gas serra: nei Paesi ricchi per il clima è meglio la filiera corta

Un quinto delle emissioni globali legate al cibo sono dovute ai trasporti

[22 Giugno 2022]

Nel 2007 la Oxford Word of the Year era “locavore”, una persona che mangia solo cibo coltivato o prodotto entro un raggio di 100 miglia (161 km), a 15 anni di distanza di 15 anni, il team di ricercatori australiani e cinesi che hanno pubblicato su Nature Food lo studio “Global food-miles account for nearly 20% of total food-systems emissions”, tirano fuori dal dimenticatoio quel neologismo, sperando che faccia di nuovo tendenza. Infatti, i ricercatori guidati da Mengyu Li della School of Physics  dell’università di Sydney hanno scoperto che il 19% delle emissioni di gas serra del sistema alimentare globale è causato dai trasporti e che «Questo è fino a 7 volte superiore a quanto stimato in precedenza e supera di gran lunga le emissioni dei trasporti di altri prodotti». Ad esempio, i trasporti rappresentano solo il 7% delle emissioni dell’industria e dei servizi pubblici.

I ricercatori denunciano che sono i Paesi ricchi i maggiori emettitori pro capite per i trasporti di cibo e dicono che  per noi «Mangiare cibo coltivato e prodotto localmente dovrebbe essere una priorità».

Li spiega che «Il nostro studio stima che i sistemi alimentari globali, a causa dei trasporti, della produzione e dei cambiamenti nell’uso del suolo, contribuiscono per circa il 30% alle emissioni totali di gas serra prodotte dall’uomo. Quindi, il trasporto di cibo – a circa il 6% – è una percentuale considerevole delle emissioni complessive. Le emissioni del trasporto alimentare ammontano a quasi la metà delle emissioni dirette dei veicoli stradali».

Un altro autore dello studio, il nutrizionista David Raubenheimer del Charles Perkins Centre & School of Life and Environmental Sciences dell’Università di Sydney, ricorda che «Prima del nostro studio, la maggior parte dell’attenzione nella ricerca sugli alimenti sostenibili era posta sulle elevate emissioni associate agli alimenti di origine animale, rispetto alle piante. Il nostro studio dimostra che oltre a passare a una dieta a base vegetale, mangiare localmente è l’ideale, soprattutto nei Paesi ricchi».

Utilizzando il loro framework FoodLab per analizzare 74 Paesi (di origine e destinazione); 37 settori economici (come ortaggi e frutta, bestiame, carbone e manifatturiero); distanze di trasporto internazionali e nazionali;  masse di cibo, i ricercatori hanno calcolato che «Il trasporto di cibo corrisponde a circa 3 gigatonnellate di emissioni all’anno, equivalenti al 19% delle emissioni legate al cibo».

All’università di Sydney fanno notare che «entre Cina, Stati Uniti, India e Russia sono i principali responsabili del trasporto alimentare, nel complesso i Paesi ad alto reddito contribuiscono in modo sproporzionato. Paesi come Stati Uniti, Germania, Francia e Giappone costituiscono il 12,5% della popolazione mondiale, ma generano quasi la metà (46%) delle emissioni del trasporto alimentare internazionale. Data l’ampiezza e il volume della sua produzione primaria, l’Australia è il secondo esportatore di emissioni del trasporto alimentare».

Le emissioni dei trasporti dipendono anche dal tipo di cibo. Ad esempio, per la frutta e verdura, sempio, i trasporti producono quasi il doppio delle emissioni rispetto alla produzione. Frutta e verdura insieme costituiscono oltre un terzo delle emissioni del trasporto alimentare. Li spiega: «Poiché frutta e verdura richiedono un trasporto a temperatura controllata, le loro emissioni alimentari per Km sono più elevate», I ricercatori hanno calcolato anche quale sarebbe la riduzione delle emissioni se la popolazione mondiale mangiasse solo localmente: «0,38 gigatonnellate, equivalenti alle emissioni dovute al trasporto di una tonnellata verso il Sole e ritorno, 6.000 volte».

Anche se i ricercatori riconoscono che questo scenario non è realistico, ad esempio, perché molte regioni non possono essere autosufficienti per il loro approvvigionamento alimentare, potrebbe essere realizzato in misura diversa. Un collega di Li,  Manfred Lenzen, fa notare che «Ad esempio, esiste un notevole potenziale per l’agricoltura periurbana di nutrire i residenti urbani. A parte questo, i Paesi più ricchi possono ridurre le loro emissioni del trasporto alimentare attraverso vari meccanismi. Questi includono l’investimento in fonti di energia più pulite per i veicoli e l’incentivazione delle aziende alimentari a utilizzare metodi di produzione e distribuzione a minore intensità di emissioni, come i refrigeranti naturali. Sia gli investitori che i governi possono aiutare creando ambienti che promuovano un approvvigionamento alimentare sostenibile».

Inoltre, l’offerta è guidata dalla domanda, il che significa che il consumatore ha in  mano il potere ultimo di cambiare questa situazione. Raubenheimer conclude: «Cambiare gli atteggiamenti e il comportamento dei consumatori nei confronti di diete sostenibili può ottenere benefici ambientali su vasta scala. Un esempio è l’abitudine dei consumatori dei Paesi ricchi che richiedono cibi fuori stagione tutto l’anno, che devono essere trasportati da altrove. Mangiare alternative stagionali locali, come abbiamo fatto per la maggior parte della storia della nostra specie, aiuterà a lasciare un pianeta sano per le generazioni future».