E’ possibile realizzare una società con un welfare e un benessere più elevati rispetto al capitalismo basato sui combustibili fossili
Basta la sufficienza, ma ci vuole la politica. Come ottenere maggiore appagamento e soddisfazione non pesando sul pianeta
Siamo spinti a comprare cose nuove per trovare la felicità, anche quando è insostenibile
[26 Luglio 2022]
Eleonora Barbiroglio scrive su Horizon – the EU Resarch & Innovation Magazine che «Pensare alle merci come circolari e lasciare un’impronta ambientale più leggera sono idee che stanno passando dalla nicchia alla norma. Ora, un numero crescente di persone acquista meno cose e acquista beni di migliore qualità e più duraturi. Alcune persone vogliono anche prolungare la vita dei prodotti riutilizzandoli, riparandoli, riutilizzandoli e riciclandoli».
Quindi, mentre l’Unione europea procede faticosamente e in modo a volte contraddittorio con il suo European Green Deal per diventare il primo continente a emissioni net zero entro il 2050, molti cittadini europei stanno facendo la loro parte modificando le loro scelte di vita. Ma spesso queste scelte low-carbon possono essere capite male. Per questo due nuovi progetti sostenuti da Horizon puntano a capire quale sia l’ambito di questi combiamenti di abitudini e consumi.
Il progetto di ricerca Fundamental Decarbonisation Through Sufficiency By Lifestyle Changes (FULFILL), al quale partecipa anche il Politecnici di Milano, parte dalla convinzione che «Per lottare contro i cambiamenti climatici e rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi, l’azione politica è fondamentale, ma anche i cambiamenti sociali sono altrettanto importanti» e vuole capire quale sia «Il contributo che i cambiamenti nello stile di vita e l’impegno assunto dai cittadini apportano alla decarbonizzazione dell’Europa e al conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi». Mettendo insieme istituti di ricerca, mondo accademico, think-tanks e ONG, FULFILL ha avviato un dialogo inter e transdisciplinare tra le scienze sociali e umane, studi tecnici ed economici sull’energia e sul clima e <d evidenzia che «Attraverso l’esame di stili di vita all’insegna della sufficienza, il progetto ne identificherà le conseguenze desiderate e indesiderate, i fattori agevolanti e le barriere, nonché gli impatti esercitati a livello individuale/familiare e comunitario/municipale per determinare i comportamenti di routine in grado di ridurre la domanda energetica e le emissioni, contribuendo al contempo al benessere».
Secondo Elisabeth Dütschke, del Fraunhofer-Institut für System- und Innovationsforschung, «L’interesse per gli stili di vita sostenibili è chiaramente in aumento. Tuttavia, è ancora aperta la discussione sul fatto che ciò significhi che stanno effettivamente arrivando profondi cambiamenti nelle nostre società».
La Barbiroglio ricorda che «Sebbene sia un principio relativamente nuovo, la nozione di sufficienza è centrale negli obiettivi dell’European Green perché richiede pratiche che riducano la domanda di risorse naturali e di energia inquinante, la causa principale dell’aggravarsi della crisi climatica. La questione acquisisce una nuova prevalenza perché siamo invitati a ridurre il nostro consumo di petrolio e gas che scarseggiano a causa dell’invasione russa dell’Ucraina».
Mentre si prepara a festeggiare il suo primo anno di attività, FULFILL prevede di intervistare famiglie ed esaminare iniziative in Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lettonia ma anche in India, con l’obiettivo di capire «Fino a che punto la sufficienza come stile di vita è possibile nell’odierno mondo globalizzato, identificando gli ostacoli». I ricercatori esamineranno anche come questo influisce su altre questioni, come la salute o l’uguaglianza di genere e poi – insieme a cittadini di diversa estrazione -elaboreranno raccomandazioni politiche e indicheranno percorsi realistici per stili di vita più “sufficienti”.
Ma i primi risultati suggeriscono che ci sono molti ostacoli all’adozione della sufficienza come stile di vita: «Finora, la nostra ricerca ha davvero sottolineato le forti interconnessioni tra tutti i settori della vita e quanto profondo debba essere il cambiamento – sottolinea la Dütschke – Le persone che cercano di vivere stili di vita altamente sufficienti devono affrontare molte sfide e, più o meno, non sono in grado di vivere una vita normale come fanno gli altri». Nuovi vestiti, prodotti di ultima generazione e sempre più consumi sono al centro dell’attività economica.
Mentre un cambiamento significativo su questo fronte nelle società ricche e democratiche può essere difficile da raggiungere, le sfide affrontate nei paesi più poveri sono diverse: «In molte parti del mondo, le persone vivono “a sufficienza”, ma non per scelta – fa notare la Dütschke – Dobbiamo trovare modi per migliorare il loro stile di vita e il loro benessere senza commettere gli errori del consumismo eccessivo e delle sue conseguenze negative».
Il secondo progetto è Policies and tools for mainstreaming 1.5° Lifestyles (EU 1.5 Lifestyles) che a sua volta parte dalla convinzione che «Per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi dell’Accordo di Parigi sul clima, gli stili di vita devono cambiare radicalmente. Ciò riguarda principalmente le aree di mobilità, alloggio, cibo e tempo libero ad alta intensità di risorse». Per a integrare gli stili di vita a1,5° C il progetto analizza sia le prospettive degli stili di vita individuali che le influenze strutturali sulle scelte e sugli impatti dello stile di vita e sviluppa raccomandazioni e strumenti per i decisori politici, le famiglie e gli attori intermediari. Il progetto punta ad «Affrontare il problema per cui gli approcci basati sul comportamento prevalente tendono a rendere i consumatori individuali responsabili della risposta alla crisi climatica, dimenticando al contempo gli effetti delle strutture politico-economiche, sociali e tecnologiche. In tale contesto, il progetto quantificherà le opzioni degli stili di vita e identificherà i cambiamenti necessari nelle strutture pertinenti per consentire cambiamenti incisivi nello stile di vita».
Horizon ricorda che «Cresce il rischio che il mondo oltrepassi “punti di svolta” che innescano cambiamenti climatici irreversibili. L’allarme su questo scenario sempre più probabile ha aiutato a concentrare le menti sulla comprensione di quali tipi di attività quotidiane possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di temperatura». I fautori di questo approccio in gran parte dal basso verso l’alto sottolineano l’impronta di carbonio delle famiglie medie e degli acquirenti.
Secondo Steffen Hirth, del Zentrum für Interdisziplinäre Nachhaltigkeitsforschung della Westfälische Wilhelms-Universität Münster, che sta lavorando con il consorzio EU 1.5 Lifestyles, evidenzia che «Sebbene raramente ritenuti responsabili, i produttori e i rivenditori sono altrettanto importanti dei consumatori per il progresso. L’adozione di stili di vita “verdi” e di prodotti e servizi corrispondenti non è qualcosa che dovrebbe dipendere solo dalle scelte dei consumatori. I produttori decidono come, quanto e cosa viene prodotto. Non possiamo consumare noi stessi per una crisi di sovra-consumo. Di conseguenza, sarà necessaria una regolamentazione politica decisa per scoraggiare attività economiche non redditizie e, per estensione, riorientare le pratiche di produzione verso obiettivi ambientali».
Infatti, dai risultati iniziali del progetto emerge che «L’integrazione degli stili di vita a 1,5 gradi richiede il superamento di una serie di barriere strutturali molto radicate» e «un’apertura a un cambiamento fondamentale, incluso un buon livello di immaginazione su come sarebbe davvero una società carbon neutral».
E la politica – le politiche – che rientrano dalla finestra di una narrazione consolatoria che tende a convincerci che la crisi climatica e ambientale globale si possono risolvere adottando comportamenti personali virtuosi in un a economia che continua ad ancdare avanti cin il busines as usual. E infatti i ricercatori puntano dichiaratamente a influenzare i responsabili politici e le grandi imprese in grado di fare la differenza.
Hirth vede ragioni sia per essere pessimista che ottimista, e conclude: «E’ strano vivere in una società che ha già un’enorme conoscenza di questa crisi e dispone della tecnologia disponibile per risolverla, senza essere in grado di trarre le necessarie conclusioni politiche e compiere passi decisivi verso un effettivo cambiamento sociale. Allo stesso tempo, una società immaginaria che abbia risolto la crisi climatica concentrandosi sui bisogni essenziali, secondo le ultime ricerche, potrebbe essere una società molto più felice con un welfare e un benessere più elevati rispetto al capitalismo basato sui combustibili fossili».