Il dato rivelato dalle case spumantistiche riunite nel Trentodoc Festival
La crisi climatica in vigna: in Trentino colture salite di 200 metri
I rimedi? Sistemi per ridurre al minimo l'esigenza di acqua, nuove tecniche colturali, conversione biologica, norme fitosanitarie vincolanti e cantine ipogee
[10 Ottobre 2022]
“Sempre più in alto”. Ma in questo caso, non è uno spot. C’è piuttosto da riflettere su quanto siano tangibili a ogni latitudine gli effetti dei cambiamenti climatici. E quanto siano quotidiane le sfide che essi pongono ad esempio a chi con la terra ha che fare tutti i giorni. L’ultima conferma l’hanno raccontata i produttori vitivinicoli riuniti a Trento per il Trentodoc Festival. Una kermesse dedicata alle “bollicine di montagna” che stanno prendendo sempre più piede tra il pubblico italiano e internazionale (12 milioni di bottiglie vendute nel 2021). Ma non solo di degustazioni e abbinamenti gastronomici si è parlato.
L’evento è stato infatti l’occasione per raccontare come sta cambiando la viticoltura e l’attività agricola nei sei distretti vinicoli del Trentino. Ponendo l’accento su un fattore – il riscaldamento globale – che ha ormai da tempo prodotto conseguenze impressionanti. Come il fatto di aver fatto salire, letteralmente, le vigne. Quanto? Lo rivela ad esempio Fabrizio Nicolè, direttore della Cantina Mori Colli Zugna vicino a Rovereto: «Rispetto all’agricoltura ‘tradizionale’ degli Anni ’50 e ’60 ma anche di fine secolo scorso, abbiamo alzato la quota delle coltivazioni di 200 metri».
La conseguenza con la crisi climatica è diretta: «Le temperature medie si sono alzate e ciò ci costringe a proteggere i vitigni e la maturazione dell’uva da un eccessivo calore», prosegue Nicolè. Ne va ovviamente della sopravvivenza di un comparto che, solo per il Trentodoc, vale 150 milioni di fatturato. Anche perché l’innalzamento delle temperature non è l’unica conseguenza della crisi climatica. «Ci sono molti altri fattori che preoccupano – aggiunge Enrico Zanoni, presidente dell’Istituto Trentodoc, che riunisce le 64 case spumantistiche aderenti al disciplinare che fissa le regole per la produzione della bollicine di montagna – Penso al livello di irradiazione solare e al rischio di fenomeni grandigeni improvvisi e di forte intensità».
Il problema è ormai denunciato a più riprese dagli agricoltori e non solo in Trentino. Basta considerare che secondo l’Osservatorio CittàClima di Legambiente, dal 2010 al 2021 gli eventi meteo estremi sono cresciuti del 17%. E nonostante questo abbia rappresentato per il Vecchio continente dal 1980 a oggi un costo economico di mezzo trilione di euro, l’inerzia ha spesso la meglio sulle azioni concrete (basti pensare che l’Italia non ha ancora un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici).
Nel caso trentino fortunatamente i viticoltori si sono mossi per tempo. L’abitudine ad avere a che fare con un territorio impegnativo come quello montano ha probabilmente rappresentato un aiuto a non perdersi d’animo. Uno stimolo a trasformare le sfide in un’opportunità.
«Il lavoro di adattamento e risposta alla crisi climatica è molto complesso e certosino», aggiunge Zanoni. E va dall’individuazione di nuove tecniche colturali che permettano di risparmiare le risorse idriche a processi di conversione biologica, dalla lotta integrata a insetti e infestanti alla riqualificazione delle strutture secondo i principi della bioarchitettura.
Nel 2017 è poi intervenuto il Sistema di qualità nazionale di produzione integrata (Sqnpi), realizzato attraverso norme figlie della dedizione corale nei confronti del territorio, grazie all’impegno di 5.812 viticoltori. Si tratta di regole specifiche per ciascuna coltura e indicazioni fitosanitarie vincolanti. In Trentino, l’82% della superficie vitata è ormai così certificata.
A questo quadro che contraddistingue il territorio trentino si affiancano le iniziative delle singole case spumantistiche. Altemasi ha ad esempio intrapreso uno studio in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach e la Fondazione Bruno Kessler: ha sviluppato una piattaforma integrata cartografica agriviticola (Pica) che, attraverso speciali sensori in vigna, invia ad agronomi ed enologi informazioni utili a razionalizzare il bisogno di acqua dei terreni, eliminando lo spreco. Per evitare l’uso di sostanze chimiche di qualunque genere, la casa spumantistica Endrizzi ha introdotto nel vigneto alcune specie di uccelli che si cibano di insetti. Mentre, per monitorare la salubrità dell’aria, Cantina Romanese ha allestito le arnie tra i filari.
La ricerca di pratiche aziendali in grado di rispettare l’ambiente ha influenzato anche la progettazione delle cantine più recenti dove ogni elemento strutturale è utile a contenere il dispendio energetico. Varie le esperienze: Borgo dei Posseri e Zanotelli Elio & F.lli hanno adottato la caldaia a biomassa per il riscaldamento; Maso Poli ha messo a punto un sistema di raccolta e riciclo dell’acqua piovana mentre la Cantina Sociale di Trento impiega acqua di pozzo per il controllo della temperatura di fermentazione dei mosti.
Per il mantenimento della temperatura e dell’umidità costante, tutti gli associati hanno optato per l’isolamento termico e in tutta l’area sono numerose le cantine ipogee. È il caso di Balter, Bellaveder, Borgo dei Posseri, Endrizzi, Terre del Lagorai, Villa Corniole, Pravis e Cantina Mori Colli Zugna.
Quest’ultima, collocata a 15-30 metri sotto terra è la più grande d’Italia, in grado di contenere 300 serbatoi d’acciaio con una capacità di 110.000 ettolitri. In più è realizzata con il “tetto verde”, in parte ricoperto dal vigneto. Grande attenzione è stata poi posta nella riduzione degli imballaggi e nella riconversione vecchi stabilimenti industriali secondo i principi della bioarchitettura.
Nel corso degli anni, per alcune aziende, è iniziato un percorso di conversione finalizzato a ottenere la certificazione biologica. Lavorare con il metodo biologico significa sfruttare la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuovere la biodiversità dell’ambiente limitando o escludendo l’utilizzo di prodotti di sintesi e di organismi geneticamente modificati (Ogm). La scelta biologica si esprime attraverso l’applicazione di trattamenti a base di rame e zolfo, il diserbo meccanico nel sotto filare, il sovescio e l’uso di concimi organici come il letame maturo e il compost per la fertilizzazione del terreno.
Ovviamente anche per il futuro gli investimenti per consolidare queste attività saranno decisivi. «Ecco perché – sottolinea Giulia Zanotelli, assessora all’Agricoltura della Provincia autonoma di Trento – auspichiamo che anche attraverso i fondi del Pnrr si riesca a ragionare in prospettiva, investendo sulla tecnologia e l’innovazione che sicuramente saranno valide alleate».
di Emanuele Isonio per greenreport.it