Le Aree marine protette combattono il cambiamento climatico
Ma bisogna fare AMP protette davvero e non sulla carta come stanno facendo molti Paesi
[24 Ottobre 2022]
Le aree marine protette (AMP) sono una delle soluzioni proposte per contribuire all’adattamento e alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici per dimostrarlo, lo studio “Ocean conservation boosts climate change mitigation and adaptation”, pubblicato su One Earth da un team di ricercatori del Centre de recherches insulaires et observatoire de l’environnement (Criobe – CNRS/Ecole Pratique des Hautes Etudes/UPVD), dello Stockholm Resilience Center e della Ocean & Climate Platform, ha analizzato 22.403 articoli di ricerca su 241 diverse aree marine protette.
I risultati dello studio dimostrano che, quando sono completamente o fortemente protette, le Aree marine protette «Possono migliorare significativamente il sequestro del carbonio, la protezione delle coste, la biodiversità e la capacità riproduttiva degli organismi marini, nonché le catture e i redditi dei pescatori».
Secondo il principale autore e coordinatore, del Centre national de la recherche scientifique (CNRS) al Criobe e presidente del Comitato scientifico dell’ Ocean & Climate Platform, Joachim Claudet, «Questi risultati mostrano perché dobbiamo proteggere gli ecosistemi marini. La prossima COP27 a Sharm El Sheik e la COP15 a Montreal sono le arene giuste per farlo»,
Il team internazionale di ricercatori è convinto che «Lo studio costituisce un importante contributo alla nostra comprensione di come le aree marine protette possono contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico e all’adattamento delle sistemi».
Lo studio affronta infatti il problema del gap di conoscenze sul contributo delle AMP nella lotta ai cambiamenti climatici e presenta 16 percorsi ecologici e sociali attraverso i quali le aree marine protette potrebbero contribuire a mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. «Questo documento di ricerca – dicono gli scienziati francesi e svedesi – dimostra in definitiva che la conservazione marina può essere uno strumento chiave per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Parigi sul clima».
Un autore dello studio, Robert Blasiak dello Stockholm Resilience Center dell’università di Stoccolma e dell’università di Tokyo, spiega che «La nostra analisi dimostra che il livello di protezione svolge un ruolo importante nell’effetto di un’area marina protetta sulla mitigazione del clima e sull’adattamento. Per sfruttare tutti i vantaggi, un’AMP deve essere altamente o completamente protetta il più a lungo possibile». Dallo studio emerge chiaramente che «Il livello di protezione dovrebbe avere la precedenza nella progettazione delle aree marine protette e questo è in netto contrasto con l’attuale paradigma della protezione degli oceani a livello globale, con la proporzione di aree completamente e altamente protette che è crollata in tutto il mondo quando i Paesi si sono affrettati a rispettare gli impegni di conservazione». Insomma, non bisogna fare aree marine protette sulla carta (tipo il Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos) o poco o scarsamente “protettive” (come certe ZPS e SIC/ZSC marine istituite dall’Italia) o certe ipotesi che circolano al nuovo ministero dell’ambiente guidato da Gilberto Pichetto Fratin come quella di considerare Area marina protetta la fascia costiera dove è proibito (finora) fare trivellazioni petrolifere.
L’autrice principale dello studio, Juliette Jacquemont, del CNRS e dell’Ocean & Climate Platform e che ora lavora all’università di Washington, sottolinea che «Garantire livelli di protezione elevati nelle aree marine protette esistenti dovrebbe essere la priorità per garantire benefici climatici ai sistemi socio-ecologici costieri».
Pubblicato poche settimane prima della 27esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP27 Unfccc) a Sharm El Sheik e la COP15 della Convention on Biological Diversity (CBD) di Montreal, lo studio eevidenzia la necessità di combattere congiuntamente il cambiamento climatico e crisi di perdita di biodiversità. Come ricordano gli autori, «Sebbene le aree marine protette da sole non possano compensare tutti gli impatti dei cambiamenti climatici, sono uno strumento utile per la mitigazione del cambiamento climatico e l’adattamento dei sistemi socio-ecologici»,
Dato che la COP27 Unfccc dovrebbe rivedere al rialzo i Nationally Determined Contributions (NDC) e che le aree marine protette sono sempre più integrate nelle strategie climatiche degli Stati parti dell’Unfccc, lo studio rappresenta un passio avanti importante verso una migliore integrazione della conservazione marina nei negoziati climatici e sulla biodiversità.
All’Ocean & Climate Platform concludono: «Esistono ora molteplici opportunità per sfruttare questa base scientifica per guidare sia le politiche pubbliche che le iniziative del settore privato. In primo luogo, vi è un ampio margine per ampliare la considerazione e il riconoscimento delle aree marine protette nelle strategie climatiche nazionali, compresi gli NDC e le comunicazioni sull’adattamento. Questi sforzi sarebbero aiutati da un’ulteriore allocazione di risorse per accelerare l’espansione delle strategie blue carbon riconosciute dall’IPCC per includere i sedimenti marini, consentendo una contabilizzazione affidabile dei benefici di mitigazione delle aree marine protette con restrizioni alla pesca a strascico. Secondo, poiché il 64% dell’oceano non rientra nelle giurisdizioni nazionali, è inoltre fondamentale che i negoziati in corso su un trattato per l’alto mare si concludano con successo e consentano la designazione di strumenti di gestione territoriale come le aree marine protette. Infine, il senso di urgenza di agire e ampliare le soluzioni innovative dovrebbe essere accolto favorevolmente, ma non a scapito delle migliori pratiche riconosciute in materia di governance inclusiva delle aree marine protette e livelli di protezione da elevati a integrali».