Save the Children: sono soprattutto donne e bambini che fuggono verso i campi profughi di Dadaab
Guerra, siccità e fame: in Kenya in 2 mesi sono arrivati altri 55.000 profughi somali
Perdite e danni: la disonorevole storia dimenticata del colonialismo e del neocolonialismo italiano
[14 Novembre 2022]
Mentre l’Italia pensa a una coalizione anti navi delle ONG con Grecia Cipro e Malta, mentre continua la polemica con la Francia parzialmente sopita dall’intervento del presidente Mattarella, mentre la politica italiana (non solo di destra) manda a dire ai francesi che dovrebbero vergognarsi delle conseguenze del loro colonialismo e neocolonialismo, la stessa politica italiana sembra stranamente afona e cieca rispetto a quello che sta succedendo in una nostra ex colonia e protettorato sotto mandato Onu – la Somalia – e dove abbiamo esercitato un neocolonialismo straccione sostenendo un ex carabiniere italiano, Siad Barre, trasformatosi in uno dei dittatori più brutali e sanguinari.
A rinfrescarci la memoria è Save the Children: «La devastante siccità in Somalia ha portato al più grande esodo di rifugiati verso il Kenya in più di un decennio. Oltre 55.000 somali – per lo più donne e bambini – sono, infatti, arrivati da settembre di quest’anno. Si stima che centinaia di persone arrivino ogni giorno nei tre campi di Dadaab, in cerca di cibo e riparo dopo aver dovuto abbandonare le loro case a causa della peggiore siccità degli ultimi 40 anni e del conflitto in corso».
Il Dadaab Emergency Coordination Task Team – il terzo campo profughi più grande del mondo – ha reso noto che «Il numero di nuovi rifugiati potrebbe aumentare di altre 66.000 unità entro aprile 2023, mentre la Somalia si trova a un passo dalla carestia, aumentando così la pressione sulle già scarse risorse disponibili per i bisogni umanitari».
Il campo per rifugiati di Dadaab è stato aperto nel 1991 per dare rifugio ai richiedenti asilo in fuga dalla guerra civile in Somalia. Nel 2011 c’è stato un secondo afflusso massiccio con circa 130.000 rifugiati arrivati per sfuggire alla carestia nel sud della Somalia che ha ucciso più di 260.000 persone, più della metà delle quali erano bambini sotto i 5 anni. Questa è la seconda volta che la siccità spinge le persone in fuga dalla Somalia nel già sovrappopolato campo, che ospita circa 220.000 rifugiati, più di tre volte la sua capacità.
E’ da lì che vengono molti dei profughi somali che cerchiamo di rispedire in Libia come “carico residuale”, da lì e dal nostro colonialismo fascista da “faccetta nera” e dal nostro neo-colonialismo fatto di traffico e scarico di rifiuti tossici e nucleari e di truffe sulla pesca e la cooperazione internazionale, fatto di accordi infami con la dittatura e i clan, un castello di carte destinato a crollare e che ha provocato il caos etnico e jihadista che non ha nemmeno diritto a un minuto di spazio sui telegiornali.
Eppure, secondo Save the Children, «Questo rinnovato movimento di rifugiati sta causando una pressione senza precedenti sulle già limitate risorse. Questo nonostante dopo un incontro tra organizzazioni a metà ottobre si sia deciso di riaprire un altro campo, chiuso tre anni fa, per ospitare i nuovi richiedenti asilo. La regione del Corno d’Africa sta vivendo una crisi alimentare catastrofica dopo quattro stagioni consecutive di piogge mancate, aggravata dall’impennata dei prezzi dei generi alimentari e dei carburanti sui mercati internazionali, determinati in parte dalla guerra in Ucraina. In Kenya, si stima che 4,35 milioni di persone – il 9% della popolazione – stiano affrontando una grave carenza di cibo, mentre quasi 6,7 milioni di persone in Somalia – il 41% della popolazione – stanno combattendo contro una diffusa carenza di cibo, con la malnutrizione infantile in aumento e i timori di carestia».
Yvonne Arunga, direttrice di Save the Children per il Kenya e il Madagascar, avverte: «Stiamo assistendo ad una crisi alimentare devastante, molto simile a quella del 2011. La siccità devastante nel Corno d’Africa e l’estrema carenza di cibo stanno spingendo le madri a prendere misure disperate, tra cui camminare per centinaia di chilometri fino al complesso di rifugiati di Dadaab, in Kenya, mettendo a rischio il benessere e la sicurezza dei loro figli. Temiamo che la crisi in corso faccia regredire i progressi compiuti negli anni, con il rischio concreto che alcune famiglie reinsediate in Somalia possano essere sfollate per la seconda volta. In Kenya e in Somalia è necessario un sostegno massiccio, prolungato e multisettoriale. Il tempo è già scaduto per troppe persone e non possiamo permetterci di perderne altro quando sono in gioco delle vite. Chiediamo alla comunità internazionale e ai donatori di mettere a disposizione fondi per le famiglie vulnerabili, per l’assistenza alternativa ai minori non accompagnati, per la creazione di spazi a misura di bambino dove i più piccoli possano giocare e imparare, e per i sistemi di gestione dei casi all’interno dei campi profughi e tra le comunità che affrontano la fame grave, comprese le comunità ospitanti».
Le faccette nere dimenticate dalla nostalgica politica italiana non sono state invece dimenticate dalle ONG “pirata” come Save the Children che lavora nel complesso di rifugiati di Dadaab dal 2006, gestendo programmi di protezione dell’infanzia e di istruzione, ed è stata fondamentale nel rispondere alla siccità del Corno d’Africa del 2011. Nel 2022, l’Organizzazione ha raggiunto più di 16.000 persone, tra cui più di 12.000 bambini, attraverso programmi di protezione, istruzione e assistenza in denaro.
Al di fuori del campo profughi, Save the Children sta fornendo assistenza salvavita ai bambini e alle loro famiglie nelle contee di Turkana, Mandera, Wajir e Garissa attraverso interventi integrati di salute, nutrizione, sicurezza alimentare, protezione dell’infanzia e istruzione. Quest’anno le équipe di Save the Children hanno raggiunto più di 514.000 persone attraverso lo screening e il trattamento della malnutrizione, il trasporto di acqua, la riabilitazione dei punti d’acqua e la promozione dell’igiene.
Forse la differenza tra la politica che usa i profughi come arma di distrazione di massa e chi aiuta i profughi – a bordo di una nave nel Mediterraneo o in una megalopoli di tende in Kenya – sta tutta qui: tra la demagogia della difesa della patria cristiana e l’aiuto a chi viene da Paesi che, nel nome di quella patria e di quel cristianesimo, vennero invasi per ritagliarsi un posto al sole nel mondo del colonialismo per poi essere brutalmente gettavi via nella pattumiera della storia, della dimenticanza e del disonore.
Eppure, quando alla COP27 Unfccc si parla di perdite e dei danni – e lo ha fatto di striscio anche Giorgia Meloni – si parla proprio di questo.