Cop27, le associazioni ambientaliste italiane: nessun passo avanti sull’uscita dai combustibili fossili
Niente alibi per Europa e Ue: accelerare la giusta transizione verso un futuro 100% rinnovabile in linea con l’obiettivo di 1.5° C
[21 Novembre 2022]
Dopo il deludente e faticosissimo accordo raggiunto ai tempi supplementari alla COP27 Unfccc di Sharm El-Sheikh, l il giudizio della grandi associazioni ambientaliste italiane sembra comune: bene che si sia trovato l’accordo per istituire il Fondo Loss and Damage, atteso da 30 anni e che permetterà di sostenere la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili messe in ginocchio dai disastri climatici sempre più frequenti. Come spiega Legambiente, «Il Fondo potrà accedere a diverse fonti di finanziamento visto le considerevoli risorse finanziarie necessarie. Si stima che entro il 2030 siano necessari circa 290-580 miliardi di dollari aggiuntivi agli aiuti per l’adattamento. Come ha proposto il Segretario Generale Guterres all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite, queste risorse possono essere reperite anche attraverso la tassazione degli extra-profitti delle imprese fossili, tenendo presente che tra il 2000 e il 2019 hanno realizzato profitti per oltre 30mila miliardi di dollari».
Per il Cigno Verde «Se da una parte con il Fondo Loss and Damage questa COP27 porta a casa un importante risultato, dall’alta parte però delude sul fronte delle fossili, perché non è stato fatto nessun passo avanti rispetto all’accordo di Glasgow sul phase-out dei combustibili fossili». Come spiega il presidengte dell’associazione Stafano Ciafani, «La COP27 ha affrontato positivamente le conseguenze della crisi climatica con l’Istituzione del Fondo Loss and Damage, però non è riuscita ad affrontare la causa principale della crisi: la dipendenza dai combustibili fossili. Per mantenere concretamente vivo l’obiettivo di 1.5°C, è cruciale concordare al più presto il phasing-out sia dei sussidi alle fossili che del loro utilizzo. Secondo gli ultimi rapporti dell’IPCC e della IEA, per essere in linea con la soglia critica di 1.5°C, le emissioni climalteranti devono raggiungere il picco a livello globale entro il 2025 e diminuire entro il 2030 del 43% rispetto ai livelli del 2019. Per questo, un contributo importante può venire dal phasing-out dei sussidi alle fonti fossili entro il 2030 che può consentire una riduzione del 10% a livello globale. Nello stesso tempo va attuata la decarbonizzazione del settore elettrico con il phasing out del carbone, entro il 2030 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale, e del gas fossile entro il 2035 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale. Altrimenti non sarà possibile mantenere vivo l’obiettivo di 1.5° C».
Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente <, aggiunge: «L’Europa e l’Italia devono fare da apripista tra i Paesi OCSE. E accelerare la giusta transizione verso un futuro libero dalle fossili e 100% rinnovabile. Solo così sarà possibile contribuire modo a centrare l’obiettivo di 1.5°C e ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, andando oltre il 57% annunciato a Sharm El-Sheik. E vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Europa».
Anche per Yeb Saño, direttore esecutivo di Greenpeace Southeast Asia e capo della delegazione di Greenpeace presente alla COP27, «L’accordo per un Fondo di finanziamento delle perdite e dei danni segna una svolta per la giustizia climatica. I governi hanno posto la prima pietra di un nuovo fondo, atteso da tempo, per fornire un sostegno vitale ai Paesi e alle comunità vulnerabili, già devastati dall’accelerazione della crisi climatica. I negoziati sono stati inficiati dai tentativi di scambiare l’adattamento e la mitigazione con le perdite e i danni. Alla fine si è evitato il fallimento grazie allo sforzo concertato dei Paesi in via di sviluppo e alle richieste degli attivisti per il clima, che hanno chiesto agli oppositori di desistere. Per quanto riguarda la discussione sui dettagli del Fondo, dobbiamo fare in modo che i Paesi e le imprese maggiormente responsabili della crisi climatica diano il massimo contributo. Ciò significa finanziamenti nuovi e aggiuntivi per i Paesi in via di sviluppo e le comunità vulnerabili al clima, non solo per le perdite e i danni, ma anche per l’adattamento e la mitigazione. I Paesi sviluppati devono mantenere l’attuale impegno di 100 miliardi di dollari all’anno per sostenere i Paesi a basso reddito nell’attuazione di politiche di riduzione delle emissioni di carbonio e nell’aumento della resilienza agli impatti climatici. Devono inoltre rispettare l’impegno di raddoppiare almeno i finanziamenti per l’adattamento».
Greenpeace evidenzia che «E’ incoraggiante che un gran numero di Paesi del nord e del sud abbia espresso alla COP27 il proprio forte sostegno all’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili – carbone, petrolio e gas – che è ciò che richiede l’attuazione dell’Accordo di Parigi. Ma sono stati ignorati dalla presidenza egiziana della COP27. Gli Stati petroliferi e un piccolo esercito di lobbisti dei combustibili fossili erano presenti in forze a Sharm el-Sheikh per assicurarsi che ciò non avvenisse. Alla fine, se non si eliminano rapidamente tutti i combustibili fossili, nessuna somma di denaro sarà in grado di coprire il costo delle perdite e dei danni che ne deriveranno». Simona Abbate, campagna Clima di Greenpeace Italia, avverte: “La decarbonizzazione rimane l’azione principale per poter rispettare l’accordo di Parigi ed evitare, come ci ha più volte ricordato la comunità scientifica, un inferno climatico. Questo in Italia non sta accadendo, nonostante le “belle parole” della premier Italiana all’apertura della conferenza: le scelte politiche del nostro governo vanno nella direzione opposta a quelle della decarbonizzazione» e Saño aggiunge: «Affrontare il cambiamento climatico e promuovere la giustizia climatica non è un gioco a somma zero. Non si tratta di vincitori e vinti. O facciamo progressi su tutti i fronti o perdiamo tutti. Bisogna ricordare che la natura non negozia, la natura non scende a compromessi. La vittoria odierna del potere popolare sulle perdite e i danni deve tradursi in una rinnovata azione per smascherare chi blocca l’azione per il clima, spingere per politiche più coraggiose per porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, incrementare le energie rinnovabili e sostenere una giusta transizione. Solo così si potranno fare maggiori passi avanti verso la giustizia climatica, grazie alla solidarietà tra la società civile, le comunità più esposte agli impatti e i Paesi in via di sviluppo più colpiti dalla crisi climatica».
Di ristorno da Sharm El-Sheikh Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italiaha commentato: «L’accordo sul Loss&Damage, cioè sulle perdite delle persone e i danni alle cose provocati dagli impatti della crisi climatica è un passo positivo, ma rischia di diventare un “fondo per la fine del mondo” se i Paesi non si muoveranno molto più velocemente per ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5° C. Non riuscendo a inserire nessun riferimento nelle decisioni finali della COP27, i leader hanno perso l’occasione di accelerare l’eliminazione dei combustibili fossili: così continueremo ad andare dritti contro il muro delle conseguenze più catastrofiche della crisi climatica. Senza tagli rapidi e profondi alle emissioni non potremo limitare l’entità delle perdite e dei danni, che deve essere il nostro primo obiettivo. Non possiamo permetterci un altro vertice sul clima come questo. E’ inaccettabile che i Governi non si muovano e che i negoziatori non siano riusciti a raggiungere un accordo più ambizioso di quello concordato a Glasgow lo scorso anno. Le future presidenze della COP non possono ancora sprecare questa opportunità. Ora i governi devono raddoppiare gli sforzi per ridurre le emissioni e intraprendere la necessaria azione di trasformazione per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5° C. Il vertice COP28 del prossimo anno deve essere la COP della credibilità climatica. Questo senza minimizzare le responsabilità dei Governi, tutti, che devono prendere e mantenere i loro impegni. I Governi a oggi sono come dei condomini che, mentre il palazzo brucia, lo osservano parlando di quote condominiali: la crisi climatica deve essere la priorità, solo affrontandola davvero, fermandone la progressione, tutto il resto ha un senso».
Il Wwf ricorda che «Questa doveva essere una “COP africana”, ma non è riuscita a soddisfare le esigenze e le priorità del continente. L’Africa è in prima linea nella crisi climatica ed è altamente vulnerabile alle sue conseguenze. Stiamo già assistendo a terribili impatti, perdite e danni in tutto il continente. Il Wwf accoglie con favore i progressi compiuti nell’istituzione di un fondo per aiutare i Paesi a riprendersi dai disastri legati al clima, ma questo non è sufficiente se non si interviene ulteriormente per evitare che la crisi climatica vada fuori controllo». Il Wwf chiede anche che «Si garantisca che il fondo “Loss&Damage” sia dotato di risorse e sia allineato con l’equità e la giustizia. Inoltre, ci si aspettava di vedere più finanziamenti e azioni per aumentare la resilienza dell’Africa e di tutti i paesi più vulnerabili, ma ancora una volta gli impegni finanziari per l’adattamento non sono stati rispettati».
Anche Slow Food fa notare che «Quella che si è appena conclusa in Egitto doveva essere una COP di “implementazione”, ma dopo due settimane di negoziati, accordi e piani nazionali continuano a essere insufficienti per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi fissato a Parigi. Nonostante i sistemi alimentari e la produzione agricola abbiano avuto in questa COP una centralità mai registrata in nessun altro meeting sul clima organizzato prima d’ora, le soluzioni avanzate per affrontare il loro drammatico impatto non sono all’altezza dello status quo, confermando ancora una volta il peso degli interessi delle multinazionali dell’agroalimentare».
Secondo Edward Mukiibi, presidente di Slow Food, «Il confronto si è spostato dal trovare soluzioni concrete alla crisi climatica – come abbandonare un sistema produttivo intensivo basato sui combustibili fossili a favore di tecniche agroecologiche – al sostenere misure di adattamento. Finanziare i paesi in via di sviluppo per fronteggiare gli effetti della crisi climatica senza individuare la radice delle cause e le misure per mitigarla non aiuterà nessuno. Darà solo maggiore libertà ai giganti dell’agroindustria di sostenere le loro false soluzioni improntate sul greenwashing».
Raoul Tiraboschi, vicepresidente di Slow Food Italia, ha trovato nei risultati della COP27 la conferma del suo scetticismo: «Le aspettative deludenti purtroppo si sono concretizzate. Le dichiarazioni del vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e della ministra del cambiamento climatico del Pakistan, Sherry Rehman sono totalmente condivisibili: la dichiarazione finale non è in alcun modo rispondente alle gravi problematiche a tutti ormai note. La giustizia climatica è ancora lontana».
Però, Slow Food accoglie positivamente alcuni sviluppi della COP27: «Il programma di oltre 200 eventi collaterali sui sistemi agricoli e l’allestimento di quattro padiglioni sul cibo e l’agricoltura dimostra che il mondo ha finalmente preso coscienza dell’impatto della produzione agroalimentare sul cambiamento climatico. Come anche l’aver dedicato una giornata all’agricoltura nel programma ufficiale. Infine, l’accordo sui fondi per perdite e danni è una buona notizia per i paesi che dimostrano maggiore vulnerabilità nel fronteggiare le avversità del cambiamento climatico».
Detto questo, per Slow Food «La COP27 rimane un contenitore vuoto, la cui agenda è stata dominata dalle multinazionali dell’agribusiness, a partire dalle più importanti aziende di produzione di carne e latticini, i big del settore pesticidi e fertilizzanti, i lobbisti dei combustibili fossili, e tante altre compagnie che hanno avuto mano libera nel bloccare ogni azione significativa possibile. Il numero di delegati di queste aziende è più che raddoppiato dall’ultima edizione ed è addirittura più alto dei rappresentanti di alcuni Paesi. E visto che queste multinazionali sono responsabili degli effetti che il nostro pianeta sta subendo, non avrebbero mai dovuto intervenire sui contenuti dei negoziati sul clima.
In tutto ciò, la voce dei contadini di piccola scala, dei produttori dell’agroalimentare e dei popoli indigeni, quelli che vivono gli effetti del cambiamento climatico giorno dopo giorno sulla loro pelle, è stata tenuta ai margini. Nonostante proprio questi ultimi siano centrali per la sicurezza alimentare a livello globale, visto che producono l’80% del cibo consumato in regioni come l’Asia e l’Africa Subsahariana, mentre i popoli indigeni sono i guardiani di una incredibile varietà di pratiche sostenibili. Le loro conoscenze tradizionali sono la chiave per fronteggiare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici e ristabilire la resilienza. Il risultato è stato che le soluzioni e i sistemi alimentari davvero sostenibili sono stati messi da parte dalla COP27. Sfortunatamente, il Koronivia Joint Work on Agriculture non prende in considerazione i sistemi alimentari e considera marginale l’agroecologia come soluzione per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, nonostante i benefici che essa determina siano comprovati. Senza un mandato ambizioso per questo meccanismo, che ha l’obiettivo di stabilire azioni concrete e attuare nuove strategie di adattamento e mitigazione nel settore agricolo, il mondo non sarà in grado di sostenere sistemi alimentari sostenibili, giusti e resilienti che permettano ai popoli e alla natura di prosperare».
Slow Food condanna le false soluzioni che vengono presentate agli appuntamenti internazionali sul clima, come gli Ogm: «Se vogliamo assicurare sia sistemi alimentari di lunga durata che la sopravvivenza della vita sul pianeta così come la conosciamo, queste false soluzioni tecnologiche devono essere tenute fuori dalla prospettiva. I leader mondiali hanno bisogno di prendere coscienza che l’agroecologia è l’unico sentiero verso la resilienza, e ascoltare le necessità e le soluzioni messe in campo dai produttori di piccola scala. Come abbiamo messo in evidenza nella Dichiarazione sul clima, Slow Food lavora per promuovere una filiera corta e giusta piuttosto che sistemi alimentari basati su produzioni intensive globali. Abbiamo bisogno di una trasformazione olistica dei sistemi che comprenda tutti gli anelli della catena, dalla produzione al consumo. La COP27 non è riuscita a consegnare un piano ambizioso per il futuro del cibo, ma la lotta continua. Slow Food continuerà a sviluppare azioni dal basso per contrastare il cambiamento climatico e a mobilitare la propria rete e i cittadini in tutto il mondo affinchè politici e amministratori agiscano immediatamente, a livello locale e globale».