Far accedere i poveri a risorse e servizi minimi per tutti salvaguardando la stabilità del sistema Terra richiede ridistribuzione della ricchezza e grandi trasformazioni sociali

Sconfiggere la povertà senza pesare sulla Terra è possibile. Risolvere il problema climatico per risolvere le disuguaglianze

Sono i ricchi che si appropriano della maggior parte delle risorse della Terra, non i poveri

[24 Novembre 2022]

Nel 2009, l’allora segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, disse che «Il cambiamento climatico è la sfida decisiva del nostro tempo». Poi, approvando gli Obiettivi di sviluppo sostenibile la stessa Onu affermò che «L’eliminazione della povertà è la più grande sfida globale». Comunque le si inquadrino, le due questioni sono interconnesse. Il cambiamento climatico aggrava la povertà alimentando disastri naturali, portando nuove malattie ed erodendo la produttività agricola. E la povertà rende le persone e le comunità meno resilienti di fronte alla catastrofe climatica.

Lo studio “Impacts of Meeting Minimum Access on Critical Earth Systems inmidst the Great Inequality”, pubblicato recentemente su Nature Sustainability, da un team internazionale di ricercatori dell’Earth Commission di Future Earth, indaga proprio sugli impatti del sistema Terra derivanti dall’uscita dalla povertà e dal raggiungimento di una vita dignitosa per tutti. La ricerca è stata ispirata dalle discussioni sui potenziali compromessi tra il raggiungimento di obiettivi sociali e ambientali.

Questa nuova ricerca precede un rapporto della Earth Commission, che uscirà all’inizio del 2023, che delineerà una serie di “Earth System Boundaries” (ESB) per salvaguardare un pianeta stabile e resiliente e sostenere la definizione di obiettivi scientifici per le imprese, le città e governi. La Earth Commission è la pietra angolare scientifica della Global Commons Alliance.

Lo studio è partito da una domanda: quali sarebbero state, nel 2018, le pressioni aggiuntive sul sistema Terra se fosse raggiunto un adeguato accesso minimo a cibo, acqua, energia e infrastrutture? Attualmente, circa 4 – 5 miliardi di persone non hanno accesso a livelli di cibo, alloggio, mobilità, acqua ed elettricità commisurati a uno standard di vita dignitoso.  Gli autori dello studio hanno guardato oltre la soglia di povertà internazionale e hanno invece definito il “giusto accesso” come requisiti minimi pro capite che consentirebbero alle persone di condurre una vita dignitosa e uscire dalla povertà. La loro analisi ha mostrato un aumento delle pressioni sui sistemi naturali della Terra: aumenterebbero del 26% le emissioni di gas serra, aumenterebbero l’uso di acqua e suolo e l’inquinamento dei nutrienti del 2 – 5%.

Come scrive in una recensione dello studio Adrien Vogt-Schilb dell’Inter-American Development Bank, «Per diversi decenni, la crescita economica ha migliorato gli indicatori tradizionali della povertà globale, ma permangono significativi deficit del tenore di vita. Nel 1981, più di 4 persone su 10 vivevano con meno di 1,90 dollari al giorno, la soglia adottata dalle organizzazioni internazionali per definire la povertà estrema. Nel 2020, dopo 40 anni di livelli di povertà in costante calo (interrotti temporaneamente dalle crisi globali, inclusa la pandemia di Covid-19), meno di 1 persona su 10 viveva in condizioni di estrema povertà. Tuttavia, circa 3 miliardi di persone non possono ancora permettersi una dieta sana. Se misurati in termini di accesso a standard di vita di base come questo, in realtà i livelli di povertà globale potrebbero aumentare nel tempo».

Ma lo studio ha anche dimostrato che «Queste pressioni, derivanti dal terzo più povero dell’umanità che ottiene un accesso adeguato alle risorse, eguagliano le pressioni causate dall’1 – 4% più ricco» e fornisce prove scientifiche per concludere che, «Al fine di raggiungere obiettivi sociali e ambientali, sono i ricchi (che si appropriano della maggior parte delle risorse e degli ecosistemi della Terra, non quelli che sfuggono alla povertà) che devono subire un cambiamento trasformativo». Vogt-Schilb  ricorda che «Gli oltre 2.000 miliardari del mondo ora possiedono collettivamente più ricchezza del 60% della popolazione mondiale. Inoltre, i ricchi producono la maggior parte dell’inquinamento: metà delle emissioni globali di gas serra nel 2015 sono state emesse dal 10% con i redditi più ricchi, mentre la metà più povera della popolazione era responsabile solo del 7% delle emissioni. In una svolta ingiusta, il degrado ambientale erode gli standard di vita delle persone che vivono in povertà, che hanno maggiori probabilità di dipendere direttamente dai servizi ecosistemici. I piccoli agricoltori, ad esempio, dipendono da terreni ricchi di sostanze nutritive, mentre quelli che non hanno accesso all’acqua corrente hanno bisogno di pozzi puliti.

A livello globale, se le persone che vivono in povertà potessero godere di standard di vita dignitosi, quale sarebbe l’impatto sull’ambiente? Il team dell’Earth Commission propone una serie di soglie per definire questi standard. Ad esempio, la Banca Mondiale stima che con la tecnologia attuale, l’utilizzo di una lavatrice, un ventilatore, un apparecchio per la lavorazione degli alimenti e l’illuminazione di base richiedano circa 365 chilowattora all’anno; aggiungendo un frigorifero, un ferro da stiro e più illuminazione si arriva a 1.250 chilowattora.  Lo studio utilizza queste cifre per definire uno standard di basso consumo energetico e uno ad alto consumo energetico e fissare anche le soglie per  acqua, cibo, alloggio e mobilità, misurate rispettivamente in litri, calorie, metri cubi e chilometri percorsi. Quindi  propone indicatori per i risultati ambientali, presi da quelli usati per tracciare i cosiddetti confini planetari, o disturbi causati dall’uomo ai sistemi terrestri che includono le emissioni di gas serra, il prelievo di acqua dolce, la distruzione di terre vergini e l’interruzione dei cicli naturali dei nutrienti del fosforo e dell’azoto.

Gli autori dello studio collegano quindi «La “grande accelerazione” dei rapidi aumenti degli impatti ambientali causati dall’uomo con una “grande disuguaglianza”» e concludono che «La ridistribuzione delle risorse e la trasformazione della società sono fondamentali per garantire l’accesso universale ai bisogni di base rimanendo entro i limiti della Terra. Queste trasformazioni includono la ridistribuzione e il miglioramento dei sistemi di fornitura di acqua, cibo, infrastrutture e energia».

Secondo il principale autore dello studio, Crelis Rammelt dell’Universiteit Van Amsterdam, «La nostra ricerca è importante perché molte persone presumono che soddisfare i bisogni dei più poveri sia possibile senza grandi ridistribuzioni e trasformazioni nella società. Dimostriamo che nel 2018 – quindi con i livelli di disuguaglianze, tecnologie e comportamenti del 2018 – fornire una vita dignitosa ai poveri avrebbe portato a un ulteriore superamento dei confini del sistema Terra, soprattutto per quanto riguarda il clima. Tuttavia, è importante inquadrare questi potenziali impatti nel contesto delle più ampie disuguaglianze nell’utilizzo delle risorse e degli impatti ambientali odierni. Sono i ricchi che si appropriano della maggior parte delle risorse della Terra, non i poveri».

Vogt-Schilb  fa notare che «Il presupposto centrale di Rammelt e colleghi è che gli standard di vita devono essere innalzati utilizzando la tecnologia che è stata utilizzata a livello globale nel 2018. Tuttavia, è già disponibile una tecnologia migliore per ridurre l’impatto ambientale della fornitura di servizi di base. Ad esempio, l’energia eolica e quella solare emettono tra 10 e 35 grammi di anidride carbonica per chilowattora, che è da 13 a 45 volte inferiore ai 475 grammi utilizzati dagli autori dello studio . E un sistema energetico low-carbon non deve essere più costoso8. In effetti, il costo dell’energia solare ed eolica è diminuito drasticamente negli ultimi 4 decenni, rendendole le fonti energetiche più abbondanti ed economiche mai così disponibili per l’umanità. Allo stesso modo, il fatto che le persone utilizzino auto a benzina o abbiano accesso ad auto elettriche o, meglio ancora, ad autobus, tram o biciclette ha un impatto diretto sulle emissioni rilasciate per chilometro percorso. E, come è sempre più riconosciuto, la configurazione delle città determina in primo luogo quanto è necessario viaggiare per raggiungere i centri di lavoro o di svago. Infine, le scelte dietetiche e le pratiche agricole incidono notevolmente sull’impatto ambientale dei sistemi di produzione alimentare».

Il coautore dello studio, il nigeriano Chukwumerije Okereke dell’Alex Ekwueme Federal University. aggiunge: «La ricerca è significativa perché dimostra che la dolorosa povertà e la disuguaglianza subite dalle persone nel Sud del mondo possono essere affrontate per fornire una vita significativa a tutti, senza oltrepassare i confini e le soglie chiave del sistema terrestre. Piuttosto che chiedere ai Paesi poveri del mondo di stringere la cinghia o farne a meno, come alcuni nel Nord tendono spesso a suggerire, l’enfasi dovrebbe essere posta sulla promozione di ideali di giustizia distributiva globale e trasformazioni sistematiche che aumenteranno la ricchezza e le opportunità per i poveri».

Johan Rockström, co-presidente della Earth Commission e direttore del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (PIK), sottolinea che «Mentre diventa chiaro che i poveri non sono la causa del problema climatico, è anche chiaro che dobbiamo risolvere il problema climatico, per risolvere le disuguaglianze. Gli impatti climatici stanno colpendo più duramente coloro che non hanno le risorse per affrontarli, sia a livello internazionale che all’interno dei paesi. Quando si tratta di agire, coloro che hanno più mezzi per ridurre le pericolose emissioni di gas serra hanno anche una maggiore responsabilità di stabilizzare il nostro clima è nel loro stesso interesse, anche perché significa stabilizzare le società».

La co-autrice principale Joyeeta Gupta, co-presidente della Earth Commission e professoressa di ambiente e sviluppo nel sud del mondo all’Universiteit Van Amsterdam, spiega che «Questo paper si concentra solo su un aspetto della giustizia: garantire un accesso minimo a risorse e servizi per i più svantaggiati. Tuttavia, il nostro studio dimostra che con la tecnologia gli approcci alla produzione contemporanei, l’accesso minimo non può essere raggiunto senza riallocare risorse, rischi e responsabilità; senza ridistribuzione e trasformazione. Nel prossimo lavoro, esamineremo altri aspetti della giustizia, come minimizzare i danni per gli esseri umani e affrontare le cause profonde del degrado e della vulnerabilità ambientale».

La svedese Wendy Broadgate, global hub director di Future Earth, conclude: «E’ chiaro che dobbiamo affrontare le disuguaglianze e la giustizia per affrontare la tripla crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento. Questa ricerca evidenzia le profonde trasformazioni sociali necessarie per affrontare il consumo eccessivo. Questa trasformazione è essenziale per garantire a tutti un accesso equo ai beni comuni globali, garantendo al contempo la stabilità del pianeta. Questo lavoro è un contributo chiave al prossimo rapporto dell’Earth Commission che definirà i confini sicuri e giusti del sistema Terra».