Cop15 Cbd: la Cina è davvero pronta a essere leader della protezione della natura? (VIDEO)
Da Pechino misure più incisive per proteggere la biodiversità ma la Belt and Road Initiative esporta gli impatti ambientali all’estero
[7 Dicembre 2022]
Oggi a Montreal inizia la seconda sessione della 15esima Conferenza delle parti della Convention on biological diversity (COP15 Cbd) che avrebbe dovuto tenersi a Kunming, in Cina, ma che il governo di Pachino ha preferito assegnare al Canada. La Cina presiederà comunque il summit di Montreal e ne fisserà l’ordine del giorno e il tono. E’ la prima volta che Pechino presiede un grande incontro intergovernativo sull’ambiente ed è proprio quello che segnerà i destini della conservazione della natura nel mondo nei prossimi 10 anni e oltre. Su The Conversation Vanessa Hull, assistant professor of wildlife ecology and conservation all’università della Florida se la Cina sia davvero in grado di dare la linea per salvare la biodiversità del Pianeta dalla sesta estinzione di massa,
Quasi a risponderle, alla vigilia della COP15 Il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, ha annunciato che «La Corte Suprema del Popolo ha pubblicato oggi il rapporto sulla Protezione Giudiziaria della Biodiversità in Cina. Dal 2013, i tribunali di tutti i livelli hanno accolto e concluso un totale di 182.000 cause di primo grado riguardanti la protezione della biodiversità. Gli elementi di protezione riguardano animali e piante selvatiche e il loro ambiente di sussistenza, risorse alieutiche e selvicolturali, ispezione e quarantena di animali e piante, e nuove specie vegetali. I tribunali del popolo hanno rafforzato la protezione della diversità, della diversità genetica e della diversità degli ecosistemi. I tribunali di tutto il Paese hanno creato 2.426 istituzioni o organizzazioni specializzate per i processi relativi alle risorse ambientali».
La Hull ricorda che «Oggi, gli esperti concordano ampiamente sul fatto che la biodiversità è a rischio. A causa delle attività umane – in particolare la caccia eccessiva, la pesca eccessiva e l’alterazione della terra – le specie stanno scomparendo dal pianeta a un ritmo da 50 a 100 volte superiore a quello storico . Le Nazioni Unite definiscono questo declino una “crisi della natura”». E aggiunge: «Se chiedi alle persone dove sulla Terra si trovano le maggiori concentrazioni di specie selvatiche, molti presumeranno che siano nelle foreste pluviali o nelle barriere coralline tropicali. In realtà, anche la Cina è ricca di natura. Ospita quasi 38.000 specie di piante superiori, essenzialmente alberi, arbusti e felci; più di 8.100 specie di animali vertebrati; oltre 1.400 specie di uccelli; e il 20% delle specie ittiche del mondo. Molte delle specie selvatiche della Cina sono endemiche, il che significa che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. La Cina contiene parti di 4 hot spots globali della biodiversità del mondo, luoghi che hanno un gran numero di specie endemiche e sono anche seriamente a rischio. L’Indo-Birmania , le montagne della Cina sudoccidentale , l’Himalaya orientale e le montagne dell’Asia centrale ospitano specie come il panda gigante, l’orso nero asiatico, la pernice del Sichuan in via di estinzione, il rospo alpino di Xizang, la lancia dello Sichuan e il fagiano dorato».
I media occidentali spesso si concentrano sul grave inquinamento atmosferico urbano in Cina e sul suo ruolo di massimo emettitore di gas serra del mondo, Ma la Hull ricorda che «La Cina ha una visione per proteggere la natura e ha fatto progressi dall’ultima conferenza globale sulla biodiversità nel 2018. In quell’anno, i leader cinesi coniarono il termine “civiltà ecologica” e lo scrissero nella Costituzione della nazione. Questo ha segnalato il riconoscimento che lo sviluppo dovrebbe prendere in considerazione gli impatti ambientali, oltre agli obiettivi economici».
Nel 2018 la Cina aveva già istituito più di 2.750 aree protette su quasi il 15% della sua superficie totale e nel 2021 il presidente Xi Jinping ha annunciato che la Cina stava formalmente ampliando questo sistema con una rete di cinque parchi nazionali che si estendono su 227.000 chilometri quadrati, il più grande sistema di questo tipo al mondo. La Cina ha anche l’area forestale in più rapida espansione al mondo. Solo dal 2013 al 2017, ha riforestato 334 milioni di ettari di territorio disboscato o coltivato, un’area quattro volte più grande dell’intero sistema forestale nazionale degli Stati Uniti d’America. Almeno 10 delle più iconiche specie in via di estinzione della Cina sono sulla via del recupero,compresi il panda gigante , l’ibis crestato asiatico e il fagiano di Elliot .
Tuttavia, secondo la Hull, «La Cina ha importanti aree di miglioramento. Ha sottoperformato su quattro degli obiettivi Aichi originali – obiettivi che i membri della Convenzione sulla biodiversità hanno adottato per il 2011-2020 – tra cui la promozione della pesca sostenibile, la prevenzione delle estinzioni, il controllo delle specie aliene invasive e la protezione degli ecosistemi vulnerabili. Ad esempio, in Cina quasi il 50% degli anfibi è minacciato. Specie degne di nota sono state dichiarate estinte, tra cui il dugongo cinese , il pesce spatola cinese e lo storione dello Yangtze e il gibbone dalle mani bianche». E la scienziata statunitense fa notare su The Conversation che «La pandemia di Covid-19 ha messo in luce il ruolo centrale della Cina nel commercio legale e illegale di specie selvatiche, che minaccia molti mammiferi, pesci, rettili e uccelli in via di estinzione . In risposta, la Cina ha aggiornato la sua legge sulla protezione della fauna selvatica, emanata originariamente nel 1989. Il 24 febbraio 2020, la legge è stata ampliata per imporre un divieto quasi totale di commerciare animali selvatici per uso alimentare. Ora, tuttavia, il divieto è in fase di revisione in modi che potrebbero indebolirlo, come allentare le restrizioni sull’allevamento in cattività. Circa il 90% delle praterie cinesi è degradato, così come il 53% delle zone umide costiere. Dal 1950, la Cina ha perso l’80% delle sue barriere coralline e il 73% delle sue mangrovie. Queste sfide evidenziano la necessità di un’azione aggressiva per proteggere le rimanenti roccaforti della biodiversità della nazione».
L’obiettivo centrale della conferenza di Montreal è l’adozione di un post-2020 global biodiversity framework che ponga rimedio ai fallimenti precedenti della comunità internazionale nel rispettare gli impegni per d salvare la biodiversità, inclusi gli obiettivi di Aichi del 2010 solo 6 dei quali erano stati raggiunti parzialmente alla scadenza del 2020. Il nuovo framework proposto comprende 22 obiettivi da raggiungere entro il 2030 e 4 obiettivi chiave a lungo termine da raggiungere entro il 2050. Tra questi figurano la conservazione degli ecosistemi; migliorare la varietà di benefici che la natura offre alle persone; garantire l’equità nella condivisione delle risorse genetiche, come i dati di sequenziamento digitale del DNA; e consolidare gli impegni di finanziamento.
In molti guarderanno a quel che succede Montreal per vedere se la Cina può condurre con successo i negoziati e promuovere la collaborazione e il consenso tra i diversi Paesi, soprattutto in un momento nel quale le tensioni con l’Occidente sono in aumento a causa di Taiwan e per il sostegno dato da Pechino a Mosca per la guerra in Ucraina.
La Hull evidenzia che «Una sfida centrale è come pagare per gli ambiziosi sforzi previsti dal nuovo framework. Gli ambientalisti stanno esortando i Paesi ricchi a fornire fino a 60 miliardi di dollari all’anno per aiutare le nazioni a basso reddito a pagare per progetti di conservazione e frenare il traffico illegale di fauna selvatica. La Cina si è mossa in questa direzione nel 2021, quando ha lanciato il Kunming Biodiversity Fund e vi ha contribuito con 230 milioni di dollari. Gli impegni da altri Paesi ammontano attualmente a circa 5,2 miliardi di dollari all’anno, provenienti principalmente da Francia, Regno Unito, Giappone e Unione Europea».
È probabile che alla COP15 Cbd la Cina debba rendere conto dell’impatto ambientale e climatico della sua Belt and Road Initiative, un enorme progetto infrastrutturale che sta costruendo ferrovie, oleodotti e autostrade in più di 60 Paesi e che viene accusato di causare deforestazione, inondazioni e altri impatti ambientali dannosi, anche in hot spots della biodiversità globale come il Triangolo dei coralli del sud-est asiatico, uno dei sistemi di barriera corallina più importanti del mondo. La Cina si è impegnata a frendere più green la Belt and Road Initiative e nel 2021 Xi ha annunciato il divieto di finanziare nuove centrali a carbone all’estero, cosa che finora ha portato alla cancellazione di 26 impianti.
La Hull conclude: «Questo è un inizio, ma la Cina ha molto da fare per affrontare gli impatti globali di Belt and Road. In quanto patria del 18% della popolazione terrestre e produttrice del 18,4% del PIL globale, la Cina ha un ruolo chiave da svolgere nella protezione della natura. Spero di vederla dare una leadership coraggiosa a Montreal e negli anni a venire».