La terribile crisi del Lago Ciad, fra cambiamento climatico, guerra e fame (VIDEO)
Il nodo gordiano da tagliare perché ci sia un futuro di pace per milioni di persone. Perché riguarda anche l’Italia
[24 Gennaio 2023]
La regione del Lago Ciad è una delle arre del mondo dove la guerra e la crisi sociale e ambientale – Il Logo Ciad ha perso rapidamente gran parte della sua superficie originaria – durano da più tempo. La Lake Chad Basin High Level Conference 2023 che termina oggi a Niamey, la capitale del Niger, affronta questa situazione nella quale «Nonostante alcuni sviluppi positivi, gli alti livelli di violenza continuano ad avere un impatto devastante su milioni di persone in Camerun, Ciad, Niger e Nigeria. Dopo quasi 13 anni di conflitti, i gruppi armati continuano a diffondere la violenza e 11 milioni di persone hanno bisogno di assistenza ad ampio raggio». Nel 2022 circa 5,6 milioni di persone hanno sofferto di grave insicurezza alimentare, la cifra più alta negli ultimi 4 anni. Inoltre, 2,9 milioni di persone sono sfollate interne (IDP), di cui 2 milioni nella sola Nigeria.
I governi rivieraschi del Lago Ciad e la comunità internazionale si sono riuniti in Conferenze ad alto livello a Oslo (2017) e Berlino (2018) per coordinare e razionalizzare il loro impegno nella regione. Germania, Norvegia e Onu (OCHA/UNDP) sono i co-organizzatori permanenti di questo ciclo di conferenze ad alto livello che è integrato a livello subnazionale dai meeting dei Governors’ Forum for Regional Cooperation on Stabilisation, Peacebuilding and Sustainable Development. L’high-level Lake Chad è un forum politico internazionale fondamentale in grado di facilitare un consenso regionale e transfrontaliero sugli adeguamenti necessari per affrontare efficacemente le sfide multiformi nella regione. E’ qualcosa che riguarda da vicino anche l’Italia perché questa è una delle aree di transito e di partenza dei profughi e dei migranti che poi ci ritroviamo sulle nostre coste. Profughi e migranti che potranno solo che aumentare se non affrontiamo i nodi del cambiamento climatico, della povertà, del saccheggio delle risorse e delle guerre che provocano, magari mascherate da insurrezioni settarie religiose.
Anche per questo la terza conferenza sul Lago Ciad questa volta è stata convocata nel Sahel, a Niamey, dove l’assistente segretario generale per gli affari umanitari e vice coordinatore dei soccorsi di emergenza dell’Onu, Joyce Msuya, ha ricordato che «Milioni di persone in tutta la regione stanno affrontando condizioni spaventose ogni singolo giorno con conflitti, cambiamenti climatici e povertà che causano miseria senza fine. Ma non è stato sempre così. In diversi momenti storici, i popoli e le comunità che compongono questa regione erano ben integrati. Le merci circolavano liberamente tra i confini nazionali. E il commercio tra loro fioriva. Una volta la norma era la collaborazione, non il conflitto. Ma oggi la regione si trova di fronte a un nodo gordiano di problemi. Povertà estrema, scarso accesso ai servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione, mancanza di fiducia, crescente disuguaglianza, corruzione, sfiducia settaria e rapido esaurimento delle risorse naturali e cambiamento climatico. Queste sono le radici della crisi della regione. Di conseguenza, le conoscenze tradizionali, l’adattamento spontaneo e i sofisticati sistemi sociali che un tempo consentivano alle comunità del bacino di cooperare e adattarsi stanno crollando».
Per Msuya, «Chiaramente, è necessaria un’azione umanitaria immediata per salvare vite umane e alleviare le sofferenze causate da questo collasso. Ma l’azione umanitaria non sarà sufficiente per porre fine alla miseria. Se non affrontiamo le cause profonde della crisi, le ferite della regione non guariranno. Ed è proprio qui che risiede la forza di questa conferenza. Collettivamente, abbiamo le risorse, la saggezza e l’abilità per districare il nodo che strangola il cuore dell’Africa. Ma se vogliamo portare la pace nella regione in modo da consentire alle persone di prosperare, allora gli sforzi umanitari, di sviluppo, di pace e di stabilizzazione dovranno essere integrati meglio. E per fare questo dovremo lavorare in modo molto diverso. Dovremo lavorare direttamente con le comunità. Dovremo mobilitare le istituzioni finanziarie internazionali e il settore privato, e mettere davvero le priorità delle persone colpite dalla crisi al centro di tutto ciò che facciamo».
Ma il rappresentante Onu ha ammonito: «Affinché questa strategia abbia successo, le voci dei più vulnerabili – le donne e i giovani che hanno sostenuto un costo così terribile – dovranno essere ascoltate e i loro leader responsabilizzati. I milioni di sfollati a causa della crisi avranno bisogno di qualcosa di più della semplice sicurezza e protezione alimentare; avranno bisogno di istruzione, formazione, accesso alla salute e lavoro. Avranno bisogno di godere degli stessi diritti, delle stesse opportunità delle altre persone. E la regione dovrà trovare un approccio comune per reintegrare e riconciliare gli ex membri dei gruppi armati in modo che il ciclo di violenza possa finire e il trauma intergenerazionale che ha causato possa iniziare a guarire. Ma la strategia delineata nella Strategia regionale per la stabilizzazione fallirà a meno che non sia adeguatamente finanziata. Ecco perché chiediamo urgentemente alla comunità internazionale di sostenere gli sforzi della regione per porre fine alla crisi. E’ improbabile che questi sforzi abbiano successo senza finanziamenti flessibili, pluriennali e progettati per garantire il massimo coordinamento tra gli attori umanitari, dello sviluppo, della pace e della stabilizzazione».
Msuya ha concluso: «Le correzioni a breve termine non sono più possibili. Molti dei cambiamenti climatici che vediamo oggi sono ormai irreversibili. Quello di cui abbiamo bisogno ora è un impegno profondo e a lungo termine per costruire una resilienza duratura agli shock che sappiamo stanno arrivando e ai drammatici cambiamenti che stanno già causando così tanta miseria. Questo significa investire in una regione il cui destino riguarda l’intero Sahel, il cui futuro ha profonde implicazioni per la pace e la sicurezza in Africa e oltre. Il nostro impegno deve essere misurato in decenni, e non in anni. Sbrogliare il groviglio di problemi complessi della regione richiederà di tagliare alla radice la crisi. Se riusciamo ad affrontare l’emarginazione sociale, economica e politica al suo cuore, allora possiamo sciogliere il ciclo di sofferenza senza fine e tornare a un passato di collaborazione e prosperità. È così che costruiamo la resilienza in una regione che chiede a gran voce il cambiamento: è così che facciamo battere ancora una volta il cuore dell’Africa».