Coltivare più alghe per produrre più cibo, mangimi e carburante
Una soluzione da attuare con cautela per non a trasferire in mare i problemi dell’agricoltura terrestre
[30 Gennaio 2023]
Lo studio “Reducing global land-use pressures with seaweed farming”, pubblicato su Nature Sustainability da un team di ricercatori australiani e austriaci, ha dimostrato che «L’espansione globale dell’allevamento di alghe potrebbe fare molto per affrontare la sicurezza alimentare del pianeta, la perdita di biodiversità e le sfide del cambiamento climatico».
Utilizzando il Global Biosphere Management ModelI. i ricercatori hanno mappato il potenziale della coltivazione di 34 specie di alghe commercialmente importanti e hanno stimato, entro il 2050, i benefici ambientali in base a una serie di scenari basati sui cambiamenti nell’uso del suolo, sulle emissioni di gas serra, sull’uso di acqua e fertilizzanti e sui cambiamenti previsti nella presenza delle specie.
Il principale autore dello studio, Scott Spillias della School of Earth and Environmental Science dell’università del Queensland – St Lucia, sottolinea che «Le alghe marine offrono un’alternativa sostenibile all’espansione agricola basata sulla terraferma per soddisfare il crescente bisogno mondiale di cibo e materiali. Le alghe hanno un grande potenziale commerciale e ambientale come alimento nutriente e elemento costitutivo di prodotti commerciali tra cui mangimi per animali, plastica, fibre, diesel ed etanolo. Il nostro studio ha rilevato che l’espansione dell’allevamento di alghe marine potrebbe contribuire a ridurre la domanda di colture terrestri e ridurre le emissioni globali di gas serra (GHG) nell’agricoltura fino a 2,6 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. In uno scenario in cui abbiamo sostituito il 10% delle diete umane a livello globale con prodotti a base di alghe, potrebbe essere impedito lo sviluppo di 110 milioni di ettari di terra per l’agricoltura. Abbiamo anche identificato milioni di ettari disponibili di oceano all’interno delle zone economiche esclusive globali (ZEE), dove si potrebbe sviluppare l’agricoltura marina. La quota maggiore di oceano adatto si trovava nella ZEE indonesiana, dove si stima che fino a 114 milioni di ettari siano adatti all’allevamento di alghe. Anche la ZEE australiana mostra un grande potenziale e diversità di specie, con almeno 22 specie commercialmente valide e circa 75 milioni di ettari di oceano idonei».
Spillias ha ricordato che «Molte specie autoctone di alghe nelle acque australiane non sono ancora state studiate dal punto di vista della produzione commerciale. Il modo in cui mi piace guardare a questo è pensare alle versioni ancestrali dei raccolti usuali – come il mais e il grano – che erano cose poco interessanti e infestanti. Attraverso migliaia di anni di allevamento abbiamo sviluppato le colture di base che sono alla base delle società moderne e le alghe potrebbero benissimo avere un potenziale simile in futuro».
Un’altra autrice dello studio, la professoressa Eve McDonald-Madden del Centre for Biodiversity and Conservation Science dell’università del Queensland – St Lucia, sottolinea che «La soluzione delle alghe dovrebbe essere realizzata con cura, per evitare di spostare i problemi dalla terra all’oceano. Il nostro studio sottolinea cosa si potrebbe fare per affrontare alcuni dei crescenti problemi della sostenibilità globale che dobbiamo affrontare, ma non può essere implementato senza esercitare estrema cautela».
Petr Havlík, direttore ad interim del Biodiversity and Natural Resources Program dell’International Institute for Applied Systems Analysis, conclude; ««Questo studio evidenzia in modo univoco la necessità di strategie integrate che uniscano la gestione degli ecosistemi terrestri e marini per affrontare alcuni dei crescenti problemi della sostenibilità globale che dobbiamo affrontare, nonché per evitare di spostare i problemi dalla terra all’oceano e viceversa».