L’impero ittita è crollato dopo anni di siccità

Condizioni di siccità prolungata e migrazioni come quelle che sta affrontando il Corno d’Africa

[14 Febbraio 2023]

Il crollo dell’impero ittita nella tarda età del bronzo è stato attribuito a vari fattori che vanno dalla guerra con altri territori ai conflitti interni. Ma lo studio “Severe Multi-Year Drought Coincident with Hittite Collapse Around 1198-1196 BC, pubblicato recentemente su Nature da un team di ricercatori statunitensi racconta un’altra stori: analizzando i dati degli anelli degli alberi e gli isotopi ha individuato quello che sembra essere il vero colpevole: tre anni consecutivi di grave siccità in un periodo già secco.

L’impero ittita emerse intorno al 1650 a.C. nell’Anatolia centrale semi-arida, una regione che comprende gran parte dell’attuale Turchia, compresa quella clpita dal recente devastante terremoto. Per 5 secoli, gli Ittiti furono una delle maggiori potenze del mondo antico, insieme agli imperi assiro, babilonese ed egiziano, e rimasero straordinariamente resilienti ai diversi sconvolgimenti sociali, politici, economici e ambientali. Ma intorno al 1200 a.C. abbandonarono la loro capitale Hattusa e l’impero ittita crollò rapidamenteù.

Per trovare una spiegazione a questo misterioso collasso d i un impero, l’archeologo Sturt Manning e il biologo evolutivo Jed Sparks,  entrambi della Cornell University, hanno unito le competenze dei loro due laboratori – il  Cornell Tree-Ring Laboratory  e il  Cornell Stable Isotope Laboratory  (COIL) –  per analizzare i campioni del Midas Mound Tumulus a Gordion, una struttura alta 53 metri che si erge a ovest della capitale turca Ankara e che contiene una struttura in legno ritenuta una camera funeraria per un parente del re Mida, forse suo padre. Ma altrettanto importanti per la ricerca sono stati sono gli alberi di ginepro – che crescono lentamente e vivono per secoli, anche un millennio – che sono stati utilizzati per costruire la struttura e custodiscono al loro interno i dati paleoclimaticoi della regione.

Infatti. i ricercatori hanno esaminato i modelli di crescita degli anelli degli alberi e hanno scoperto «Anelli insolitamente stretti che probabilmente indicano condizioni siccitose, insieme ai cambiamenti nel rapporto tra carbonio-12 e carbonio-13 registrati negli anelli, che indicano la risposta dell’albero alla disponibilità di umidità».

Sparks spiega che «Gli isotopi stabili sono uno dei nostri modi più robusti per guardare al passato e porre domande sullo stato fisiologico di quelle piante 1.000, 2.000, 3.000 anni fa. Queste sono quantità di legno molto, molto piccole: alcuni degli anelli degli alberi sono larghi solo frazioni di millimetro. In pratica stiamo cercando di misurare un neutrone e una piccolissima quantità di carbonio nel legno. Quindi diventa tecnologicamente molto difficile da fare. Sturt e io abbiamo lavorato per tre o quattro anni per far sì che questo funzionasse davvero bene».

E l’analisi dei ricercatori rileva «Un passaggio generale a condizioni più asciutte dal tardo XIII al XII secolo a.C. e fissano un drammatico periodo di grave siccità continua a circa il 1198 – 96 a.C., più o meno tre anni, che corrisponde alla sequenza temporale della scomparsa dell’impero ittita». Manning  fa notare che «Abbiamo due serie complementari di prove. Le larghezze degli anelli degli alberi indicano che stava succedendo qualcosa di veramente insolito e, poiché si tratta di anelli molto stretti, questo ignifica che l’albero stava lottando per rimanere in vita. In un ambiente semi-arido, l’unico motivo plausibile per cui questo stia accadendo è perché c’è poca acqua, quindi c’è siccità, e questa è stata particolarmente grave per tre anni consecutivi. Fondamentalmente, le prove degli isotopi stabili estratte dagli anelli degli alberi confermano questa ipotesi, e possiamo stabilire uno schema coerente, nonostante tutto questo risalga a più di 3.150 anni fa».

Un anno di siccità in un ambiente semi-arido sarebbe gestibile, dato che gli agricoltori di sussistenza che in genere hanno abbastanza provviste immagazzinate per farcela durante l’anno. Ma Manning sottolinea che «Entro il secondo anno, si svilupperebbe una crisi e l’intero sistema inizierebbe a crollare» e ha fatto l’esempio del quasi collasso del più grande, organizzato e infrastrutturato ‘Impero ottomano all’inizio del XVII secolo, dopo due anni consecutivi di drammatica siccità e fa notare che «In tre anni consecutivi di siccità, centinaia di migliaia di persone, compreso l’enorme esercito ittita, avrebbero affrontato la carestia, persino la fame. La base imponibile crollerebbe, così come il governo. I sopravvissuti sarebbero costretti a migrare, un primo esempio della disuguaglianza del cambiamento climatico. Probabilmente parte di quel che è andato storto alla fine dell’età del bronzo è esattamente una versione di quel che vediamo andare storto nel mondo moderno, ovvero che gruppi di persone cercano di trasferirsi da qualche altra parte, perché non si trovano in un posto considerato adatto o buono. Possono vedere o sentire che ci sono opportunità migliori altrove».

Ma i gravi eventi climatici potrebbero non essere stati l’unica ragione del crollo dell’Impero ittita e, nello stesso periodo,  non tutto l’antico Medio Oriente ha subito crisi. Ma questo particolare periodo di siccità potrebbe essere stato un punto di non ritorno, almeno per gli Ittiti.

Manning spiega ancora: «Le situazioni in cui si verificano eventi prolungati e davvero estremi come questo per due o tre anni sono quelle che possono distruggere anche società ben organizzate e resilienti».

Questa scoperta ha particolare rilevanza oggi, quando le popolazioni globali stanno facendo i conti con cambiamenti climatici catastrofici e un pianeta che si sta riscaldando e mentre nel Corno d’Africa si stanno sperimentando siccità prolungate simili a quelle che hanno portato al crollo dell’impero ittita.

Manning conclude: «Potremmo avvicinarci al nostro punto di rottura. Abbiamo una serie di cose che possiamo affrontare ma, poiché ci stiamo spingendo oltre, raggiungeremo un punto in cui le nostre capacità di adattamento non saranno più all’altezza di quel che stiamo affrontando».