Geologi: «Catastrofi naturali ci costano lo 0,2% Pil annuo, 3,5 miliardi di euro»
Sardegna, agire subito se abbiamo imparato qualcosa dalla tragedia
Inu: «Ritirare il Ppr (Piano paesaggistico regionale) di Cappellacci»
[25 Novembre 2013]
Sono ormai passati 8 giorni dall’alluvione in Sardegna, ma fin dalle prime ore successive alla tragedia sono stati in molti a sottolineare la necessità un cambio di rotta nelle scelte di governo del territorio e di una maggiore consapevolezza e attenzione nella difesa del suolo perché anche in questa tragedia le responsabilità dell’uomo non sono affatto fuori dal contesto.
Per l’Istituto nazionale di urbanistica (Inu) è necessario partire da una corretta pianificazione territoriale, che tradotto, per quanto riguarda la Sardegna, significa invertire la marcia è fare in modo che il Ppr (Piano paesaggistico regionale) Cappellacci venga ritirato. «Sarebbe solo la prima di una lunga serie di scelte necessarie, a cominciare dal divieto di realizzare piani interrati nelle piane alluvionali fino alla messa a disposizione di maggiore risorse per la messa in sicurezza del territorio, ma l’Inu la ritiene indispensabile. Come si può altrimenti essere coerenti con quanto predicato in questi giorni, dalle istituzioni nazionali fino a quelle locali?» ha sottolineato l’Inu. Questo sarebbe un segnale per dimostrare come la catastrofe avvenuta in terra di Sardegna, abbia insegnato qualcosa. Sul Ppr Cappellacci si è molto discusso e lo stesso presidente della Giunta è entrato direttamente nella polemica reclamando la presunta mancanza di connessione tra le alluvioni e le sue scelte in materia di governo del territorio.
«E’ chiaro che il Ppr non ha influito direttamente sulla tragedia, non essendo ancora approvato in via definitiva e non avendo quindi dispiegato i suoi effetti- ha aggiunto l’Inu- Però va detto che scelte e disposizioni di governo del territorio come quelle contenute nel provvedimento aumenterebbero la possibilità di ripetizione di eventi di questo tipo. Basti pensare che il nuovo Ppr consente di edificare nelle zone agricole in lotti dalla superficie minima di un ettaro. La soglia attualmente in vigore è pari a tre ettari. Un’irresponsabile moltiplicazione di cubature nelle zone agricole non farebbe altro che togliere ulteriore permeabilità ai suoli e spazio ai corsi d’acqua, con le possibili e drammatiche conseguenze che abbiamo imparato a conoscere. Il Ppr, inoltre, non dispone la tutela dei corsi di tutte le acque dichiarate pubbliche, in cui è vietato edificare entro una distanza pari a 150 metri dalla sponda, ma solo di quelle identificate nel piano. Inoltre, non si vedono raccordi con la pianificazione di bacino. Anche in questo caso la conseguenza sarebbe un aumento del rischio idrogeologico per il territorio sardo».
A conferma della “fragilità” del territorio sardo per il rischio alluvioni qualche numero fornito dall’Ordine dei geologi della Sardegna: sono 280 i Kmq di territorio che presentano superfici a pericolosità di inondazione; a tali valori vanno aggiunte le superfici indicate dal Piano Stralcio delle Fasce Fluviali. Ben 1523 i fenomeni franosi censiti ricadenti in aree perimetrate a pericolosità di franamento che coprono una superficie complessiva di circa 1471 Kmq, pari a circa il 10% del territorio sardo (dato approssimato per difetto).
«In Sardegna, sono 337 i ponti stradali che in caso di eventi meteorologici intensi potrebbero essere causa di inondazioni,15 i ponti ferroviari, mentre 128 sono le aree urbanizzate che interessano le aree di pertinenza fluviale, 44 strutture fognarie sono insufficienti, 31 opere di difesa del suolo non sono più efficienti e 198 sono i punti di alvei o fiumi che necessitano di manutenzione –ha dichiarato Davide Boneddu, presidente Ordine geologi della Sardegna – Questi sono dati che già abbiamo perché contenuti nel Piano di assetto idrogeologico (Pai). Per la messa in sicurezza del territorio e la sua ricostruzione occorre tenerli ben chiari e implementarli con quelli contenuti, nel Piano Stralcio delle Fasce Fluviali, nell’Inventario dei Fenomeni Franosi” e dai dati derivanti da attività di approfondimento, ricerca e presidio del territorio che ci auspichiamo vengano messe in campo in tutti i settori maggiormente vulnerabili della nostra isola».
I geologi ricordando che le catastrofi naturali ci costano lo 0,2% del Pil annuo, con una media di circa 3,5 miliardi di euro, valutano positivamente come piccolo ma importante segnale di cambiamento, la proposta di legge nazionale per l’istituzione della figura tecnica del geologo di zona nei Comuni italiani, che verrà illustrata alla stampa in conferenza Mercoledì 27 alle ore 14 e 30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati. «Non possiamo continuare a piangere morti, ben 762 per inondazioni e 5.368 per frane negli ultimi 52 anni – ha sottolineato Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei geologi- né possiamo continuare a far aumentare il debito pubblico, senza mai cercare una soluzione. Il geologo nella pubblica amministrazione costituirebbe una figura strategica nelle attività di pianificazione e di programmazione degli interventi e nei processi condivisi di progettazione. Una figura strategica per una reale prevenzione, in un Paese dove si muore anche per un temporale. Investire in questa direzione contribuisce a mitigare il rischio ed aiuta ad uscire dalla crisi».