La storia non ufficiale del cavallo delle pianure americane
Collaborazione tra scienziati e popoli indigeni. Dalla storia nascosta del cavallo americano un nuovo futuro per il mondo?
[3 Aprile 2023]
I primi cavalli fecero la loro comparsa nel continente nordamericano, poi si estinsero nelle Americhe e milioni di anni di evoluzione li hanno trasformati, fino a che non sono diventati i compagni naturali di molti popoli indigeni amerindi e il simbolo del Grande West. Ora, Lo studio “Early dispersal of domestic horses into the Great Plains and Northern Rockies”, pubblicato su Science da un team internazionale di 87 scienziati di a 66 istituzioni di tutto il mondo e guidato da scienziati del Centre d’anthropobiologie et de génomique de Toulouse del CNRS/Université Toulouse III – Paul Sabatier sta iniziando a perfezionare la storia del cavallo americano con un lavoro che integra la ricerca interdisciplinare e interculturale tra scienza occidentale e scienza tradizionale indigena.
Secondo uno degli autori dello studio, Joe American Horse, capo degli Oglala Lakota Oyate, custode della conoscenza tradizionale, sottolinea che «I cavalli fanno parte di noi da molto prima che altre culture arrivassero nelle nostre terre, e noi siamo parte di loro»,
Nel 2018, su istruzioni dei suoi esperti custodi della conoscenza e leader tradizionali, Yvette Running Horse Collin, direttrice del Taku Škaŋ Škaŋ Wasakliyapi – Global Institute for Traditional Science (GIFTS), che aveva appena completato il suo dottorato, incentrato sulla decostruzione della storia dei cavalli nelle Americhe, ha contattato lo scienziato del CNRS Ludovic Orlando. Fino ad allora, questo campo di studi era stato dominato da studiosi occidentali e le voci delle popolazioni indigene erano state ampiamente ignorate. Lo scopo della Running Horse Collin era quello di sviluppare un programma di ricerca nel quale le scienze indigene tradizionali potessero essere enfatizzate e considerate su un piano di parità con la scienza occidentale.
Per i Lakota, lo studio scientifico della storia del cavallo nelle Americhe era il punto di partenza ideale, perché avrebbe evidenziato punti di accordo e disaccordo tra gli approcci occidentali e indigeni. Gli anziani erano stati chiari: «Lavorare sul cavallo avrebbe permesso di imparare a combinare la potenza di tutti i sistemi scientifici, tradizionali e occidentali. Nella speranza di trovare finalmente nuove soluzioni alle numerose sfide che affliggono le persone, le comunità e la biodiversità in tutto il mondo».
Per ora, come i suoi antenati prima di lei, la Running Horse Collin avrebbe seguito il percorso tracciato dalla nazione dei cavalli. lavorare sul cavallo permetterebbe di imparare a coniugare la potenza di tutti i sistemi scientifici, tradizionali e occidentali. Nella speranza di trovare finalmente nuove soluzioni alle numerose sfide che affliggono le persone, le comunità e la biodiversità in tutto il mondo. Per ora, come i suoi antenati prima di lei, Yvette Running Horse Collin avrebbe seguito il percorso tracciato dalla nazione dei cavalli. lavorare sul cavallo permetterebbe di imparare a coniugare la potenza di tutti i sistemi scientifici, tradizionali e occidentali. Nella speranza di trovare finalmente nuove soluzioni alle numerose sfide che affliggono le persone, le comunità e la biodiversità in tutto il mondo. Per ora, come i suoi antenati prima di lei, Yvette Running Horse Collin avrebbe seguito il percorso tracciato dalla Horse Nation, la Nazione dei Cavalli e parte del programma consisteva nel mettere alla prova una narrazione che appare in quasi tutti i libri di testo sulla storia delle Americhe: determinare se i documenti storici europei riflettono accuratamente la storia delle popolazioni indigene e dei cavalli nelle Grandi Pianure e nelle Montagne Rocciose. Questo racconto riflette le cronache più note fatte dagli europei durante il loro primo contatto con i gruppi indigeni e sostengono che gli amerindi del nord America abbiano adottato i cavalli di recente, dopo la rivolta dei Pueblo del 1680.
Al CNRS ricordano che «La scienza archeologica è un potente strumento per comprendere il passato che, se praticato in modo collaborativo, fornisce un solido quadro tecnico per contrastare i pregiudizi insiti nei resoconti storici». Negli ultimi 10 anni, Orlando e il suo team di genetisti hanno estratto antiche molecole di DNA ancora conservate nei resti archeologici per riscrivere la storia del cavallo domestico. Hanno sequenziato i genomi di diverse centinaia di cavalli vissuti sul pianeta fino a 700.000 anni fa. Potevano quindi ragionevolmente aspettarsi che questa tecnologia rivelasse il patrimonio genetico dei cavalli che vivevano nelle Grandi Pianure e nelle Montagne Rocciose dopo il contatto con gli europei.
Per questo, William Taylor dell’università del Colorado e un nutrito team di partner tra cui archeologi dell’università del New Mexico e dell’università dell’Oklahoma, si sono impegnati, con i loro collaboratori Lakota, Comanche, Pawnee e Pueblo, a trovare ossa archeologiche di cavalli in tutto il West americano. Poi, combinando metodologie collaudate e innovative nel campo della scienza archeologica, il team ha identificato i resti di cavalli allevati, nutriti, accuditi e cavalcati dalle popolazioni indigene e «La prima datazione ottenuta per un esemplare di cavallo dei Paa’ko Pueblo, nel New Mexico, dimostra che i nativi addestravano i cavalli all’inizio del XVII secolo, e forse anche prima».
I dati genomici hanno dimostrato che i cavalli americani più antichi analizzati in questo studio «Erano principalmente di discendenza iberica, ma non erano direttamente correlati ai cavalli che abitavano le Americhe nel tardo Pleistocene oltre 12.000 anni fa. Inoltre non erano discendenti dei cavalli vichinghi, anche se questi ultimi stabilirono colonie nel continente americano nel 1021».
Quindi, i dati archeologici dimostrano che «Questi cavalli domestici non erano più sotto il controllo esclusivo degli spagnoli almeno all’inizio del 1600, ma erano già del tutto e veramente integrati nei modi di vita nativi». Questo conferma molti resoconti tradizionali relativi all’origine del cavallo, come quelli dei Comanches e dei Pawnee, entrambi coinvolti nello studio.
Jimmy Arterberry sottolinea che «Queste scoperte confermano la tradizione orale Comanche. Le tracce archeologiche descritte sono testimonianze inestimabili che rivisitano la cronologia della storia nordamericana, e sono altrettanto importanti per la sopravvivenza delle culture indigene. Costituiscono un patrimonio che merita di essere onorato e protetto. Questa eredità è sacra ai Comanches».
Ulteriori lavori che coinvolgono nuovi scavi archeologici in siti risalenti al XVI secolo o prima, così come ulteriori sequenziamenti, in futuro faranno luce su altri capitoli della storia dell’uomo e del cavallo nelle Americhe. Carlton Shield Chief Gover, archeologo Pawnee e coautore dello studio, afferma: «La scienza archeologica presentata nella nostra ricerca illustra i vantaggi dello sviluppo di collaborazioni sincere ed eque con le comunità indigene».
Le analisi del genoma non si sono concentrate solo sullo sviluppo della relazione uomo-cavallo tra le First Nations durante le prime fasi della colonizzazione americana e hanno dimostrato che «L’ascendenza iberica prima dominante è stata diluita nel tempo per arricchirsi con l’ascendenza britannica. E’ quindi l’intera evoluzione del territorio dell’America coloniale che è stata registrata nel genoma del cavallo: prima principalmente da fonti spagnole, poi principalmente da coloni britannici».
Il team che ha realizzato questo studio è impegnato a continuare il suo lavoro sulla storia della Horse Nation nelle Americhe continuando a dare spazio alle metodologie riguardanti i sistemi scientifici indigeni, ad esempio per tracciare la storia delle migrazioni e gli effetti di antichi cambiamenti climatici, e dicono che «Il nuovo studio ha aperto le porte a questo ambizioso programma poiché ha avviato un dialogo e veri e propri scambi tra scienziati del mondo occidentale e le nazioni indigene».
Al CNRS aggiungono che «Le sfide che il nostro mondo moderno deve affrontare sono immense. In questi tempi di crisi della biodiversità e di riscaldamento globale, il futuro del pianeta è minacciato. I popoli indigeni sono sopravvissuti al caos e alla distruzione portati dalla colonizzazione, dalle politiche di assimilazione e dal genocidio, e portano con sé importanti conoscenze e approcci scientifici incentrati sulla sostenibilità. Ora più che mai è il momento di aggiustare la storia e creare condizioni più inclusive per co-progettare strategie per un futuro più sostenibile. E’ importante sottolineare che questo studio ha coinvolto la collaborazione tra scienziati occidentali e molte nazioni indigene negli Stati Uniti, dai Pueblo ai Pawnee, Wichita, Comanche e Lakota. Speriamo che molte altre nazioni si uniscano presto a noi».
Tutti i protocolli per la trasmissione della conoscenza sacra e tradizionale sono stati rispettati e le attività e i risultati della ricerca sono stati approvati da un comitato di revisione interno di 10 custodi della conoscenza Lakota, che attualmente fanno parte del consiglio di amministrazione del GIFTS
Una coautrice dello studio, Antonia Loretta Afraid of Bear-Cook, traditional knowledge keeper degli Oglala Lakota, conclude: «I cavalli fanno parte della nostra famiglia e ci hanno sempre uniti. Continueranno a farlo. Le nostre società sono organizzate e pronte per questo. La nostra collaborazione scientifica è destinata a svilupparsi ancora di più: invitiamo tutti i popoli cavalieri ad unirsi a noi. Li chiamiamo a noi».