Le aree protette come motore di diffusione del sapere ambientale in Italia
Da Luigi Piccioni un libro fondamentale per conoscere e comprendere la storia e la realtà dei parchi
Mancava una storia delle aree protette italiane concepita e scritta da uno storico: oggi, quasi a festeggiare il centenario dell’istituzione dei primi due parchi nazionali (Gran Paradiso e Abruzzo), il vuoto viene colmato da Luigi Piccioni (Parchi naturali. Storia delle aree protette in Italia, ed. il Mulino, Universale Paperbacks, 2023, pp. 202, € 15,00), che si conferma come lo storico italiano dei parchi e delle altre aree naturali protette.
Certo, anche altri hanno scritto sulla storia di queste aree: autorevoli studiosi, cultori di storia locale, giornalisti specializzati; sono però scritti, alcuni di notevole rilievo, che riguardano singoli aspetti.
Con questo libro invece l’autore – che aveva già dato importanti contributi, da Il volto amato della Patria nel 1999, il primo suo lavoro fondamentale, alla Natura come posta in gioco per la Storia d’Italia dell’Einaudi sull’Abruzzo, da Primo di cordata su Renzo Videsott a Cento anni di parchi, oltre a numerose altre pubblicazioni – delinea un quadro completo e sistematico che permette finalmente di leggere e di capire, collocata all’interno della grande storia, una vicenda finora poco conosciuta e certamente complessa.
Si dimostra così antesignano di un filone storico che sta uscendo dalla minorità nella quale era stato relegato da una prassi accademica che di fatto ne aveva impedito la crescita e bruciato le potenzialità.
Può apparire singolare che tale valutazione provenga da un recensore che non è storico, ma solo partecipe dell’esperienza dei parchi sia pure dal “di dentro”: è però da questo angolo visuale che appare chiaramente come quella minorità sia parte di un fenomeno culturale e politico generale.
Del resto è lo stesso autore, come si intuisce dai suoi lavori, che vive dal “di dentro” i fatti narrati, ma ciò non toglie rigore scientifico all’analisi, anzi l’accresce, perché egli riesce a non farsi distrarre da passioni e sentimenti, come dimostrano l’impostazione, la chiarezza logica, lo stile obiettivo che caratterizzano questo libro; nello stesso tempo, proprio in virtù della sua militanza di “ambientalista appassionato e di frontiera”, addirittura “movimentista”, come si è definito in altra occasione, Piccioni coglie nessi e passaggi che altri non riescono a individuare.
Il libro prende le mosse dalle origini delle aree protette moderne, che si collocano, come è noto, negli Stati Uniti della seconda metà dell’800 (Yosemite 1864, Yellowstone 1872) dove hanno rappresentato “la migliore idea americana”. Di qui prende avvio, come scrive l’autore, quel “successo anglosassone” (p. 23s) che all’inizio del nuovo secolo ha investito l’Europa, e l’Italia tra i primi paesi, anche se la diversità delle condizioni fisiche e sociali del vecchio continente, dovute innanzi tutto alla densità della popolazione, hanno richiesto indirizzi e strategie differenti.
Nella ricostruzione dell’autore la vicenda italiana si sviluppa diacronicamente sulla base di due movimenti particolarmente importanti che vengono descritti, l’uno, come “pioniere” (p. 47) in Europa per la sua originalità e, l’altro, come promotore di una nuova cultura dei parchi.
Tra i due movimenti scorrono prima i lunghi anni di quella “quasi glaciazione” (p. 55) che è conseguenza del regime fascista e poi gli anni duri del dopoguerra quando sulle aree protette continua il silenzio, interrotto solo dalla “epopea di Renzo Videsott” (p. 63), uomo coraggiosissimo che da solo ha avuto il merito di aprire un fronte, risultato vincente, per il riscatto del Parco del Gran Paradiso e nello stesso tempo di guardare lontano indicando nuovi percorsi, incompresi però o addirittura osteggiati dai suoi contemporanei.
Il primo movimento è quello raccontato dallo stesso Piccioni ne Il volto amato della Patria – e da lui denominato “primo movimento per la protezione della natura in Italia 1880-1934” – che aveva portato all’istituzione dei primi due parchi nazionali (oltre che alla legge 11 giugno 1922, n. 778, sulle bellezze naturali, sostenuta, tra gli altri, da Benedetto Croce).
Il secondo è stato il Sessantotto che ha costituito la base per la fioritura di un “ambientalismo di massa” (p. 97ss) e ha posto così le condizioni per l’approvazione, dopo un percorso trentennale, della legge quadro sulle aree protette (394 del 1991) alla quale viene dedicato un capitolo di grande interesse.
La legge si è rivelata particolarmente feconda come dimostra la vittoria, grazie all’istituzione di tanti nuovi parchi, della “sfida del 10%”, cioè di quella sfida per raggiungere questa percentuale di territorio nazionale da proteggere che era stato lanciata a Camerino nel 1980 e che allora sembrava mera utopia.
L’obiettivo del libro, indicato dallo stesso autore in altra occasione, è quello di descrivere come l’istituzione e la gestione delle aree protette italiane siano state il risultato di rapporti per lo più conflittuali tra soggetti collettivi e soggetti istituzionali e di sottolineare l’assenza quasi totale di quell’opera di mediazione che avrebbero dovuto svolgere l’apparato governativo e le forze politiche nazionali.
Lo dimostra in particolare la vicenda del Parco Nazionale d’Abruzzo (divenuto poi anche del Lazio e del Molise) per tanti anni ”al centro della scena” (p. 103): prima con lo “scandalo di Pescasseroli” (p. 84ss), frutto di un esteso fenomeno di abusivismo edilizio esploso negli anni Sessanta e portato alla ribalta in particolare da Bruno Zevi e da Antonio Cederna, e poi, a partire dagli anni Settanta, con l’azione fortemente innovativa e nello stesso tempo “dinamica e aggressiva” (p. 107) della nuova Direzione che era riuscita a rendere quel Parco un modello apprezzato in Italia e all’estero, e nello stesso tempo una vera e propria scuola di alta formazione grazie alla quale tante persone, tra le quali lo stesso Piccioni, sono poi divenute protagoniste del dibattito e dell’azione per la tutela delle aree protette.
Con la legge quadro del 1991 si apre una nuova complessa stagione in cui si susseguono due fasi sulle quali l’analisi dell’ultimo capitolo è illuminante pur nella sua problematicità.
La prima fase, che si svolge fino agli albori del nuovo millennio, è carica “di entusiasmo e di realizzazioni” (p. 147): cresce in misura esponenziale il numero delle aree protette, si accendono tante speranze soprattutto tra i giovani che esprimono iniziative innovative e coinvolgenti, entrano in campo nuovi soggetti collettivi (particolarmente significativo continua a essere l’impegno della CGIL abruzzese), i parchi tutti “diventano famosi” (p. 150) anche grazie alla stampa specializzata (ad esempio Airone, sia pure in calo rispetto agli anni precedenti, nel 1994 tirava oltre 150.000 copie).
I grandi risultati di questa fase nascondono però gravi elementi di crisi destinati a esplodere nella fase successiva e a giungere fino a oggi.
La crisi, dovuta a molteplici cause di carattere globale, si connette sia all’indifferenza, quando non si trasforma in ostilità, di un ceto politico italiano che entra in gioco nel momento in cui viene meno quella spinta propulsiva che aveva portato i Verdi in Parlamento e nel Governo sia alla divisione del movimento ambientalista che si manifesta clamorosamente nel corso del dibattuto sulla “controriforma abortita” (p. 163), cioè su quella proposta di modifica della legge quadro che il Gruppo dei 30 ha battezzato icasticamente come “legge sfascia parchi”.
È dunque l’epilogo triste di una storia molto bella quello che il libro suggerisce o è invece la speranza che possiamo scorgere nelle parole dell’autore quando, malgrado tutto, scommette – non più da storico, ma da appassionato combattente – sullo “scombinato mondo delle aree protette”, un mondo che “costituisce oggi a livello nazionale un elemento imprescindibile della protezione della natura, un motore della diffusione del sapere ambientale, un propulsore della crescita della consapevolezza ecologica”(p. 178)? La risposta non può che essere del lettore.
Personalmente non posso però fare a meno di esprimere, in conclusione, alcune convinzioni: che oggi, per conoscere e comprendere la storia e la realtà dei parchi, questo libro è fondamentale; che la storia delle aree protette italiane è parte molto importante, ma non esclusiva, della storia della conservazione della natura in Italia e però altre parti devono essere ancora scritte; che la storia della conservazione della natura è parte della storia della natura sulla quale in Italia abbiamo sì preziosi contributi (da Emilio Sereni a Antonio Cederna, a Fulco Pratesi), ma manca ancora una storia (sociale, economica, giuridica) dei rapporti della società umana e delle sue istituzioni con la natura nel suo complesso; che questo insieme di storie ha una straordinaria importanza dal punto di vista dello sviluppo del sapere perché, anche se non ne abbiamo ancora piena consapevolezza, è nel rapporto con la natura la salvezza o la distruzione del genere umano.
È dunque con un invito agli storici, a partire da Luigi Piccioni, che vorrei, con molta modestia, concludere questa recensione: fornite a noi tutti quelle parti di storia che ancora mancano e che sono indispensabili se vogliamo contribuire a costruire il futuro.
di Carlo Alberto Graziani per greenreport.it