Istat: in Italia 14.304.000 persone a rischio di povertà e di esclusione sociale

Più di 1,5 milioni di famiglie hanno percepito il reddito di cittadinanza

[15 Giugno 2023]

Secondo il nuovo rapporto “Condizioni di vita e reddito delle famiglia – Anni 2021-2022” pubblicato dall’Istat, «Nel 2022 poco meno di un quarto della popolazione (24,4%, cioè 14.304.000 persone),  è a rischio di povertà o esclusione sociale, quasi come nel 2021 (25,2%). Tuttavia, con la ripresa dell’economia, si riduce significativamente la popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,5% rispetto al 5,9% del 2021) e rimane stabile la popolazione a rischio di povertà (20,1%). Nel 2021 il reddito medio delle famiglie (33.798 euro) è tornato a crescere sia in termini nominali (+3%) sia in termini reali (+1%)».

Ma la fine della crisi portata dall’epidemia di Covid-19 non ha ridotto la disparità di reddito: «Nel 2021 il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,6 volte quello delle famiglie più povere (rapporto sostanzialmente stabile rispetto al 2020).Tale valore sarebbe stato più alto (6,4) in assenza di interventi di sostegno alle famiglie».

Nel 2022, il 20,1% delle persone residenti in Italia (circa (circa 11,8 milioni) risultava a rischio di povertà avendo avuto un reddito netto inferiore al 60% di quello medio (11.155 euro). La percentuale di popolazione italiana a rischio di povertà e è rimasta uguale al 2021.

Nel 2021 il reddito netto delle famiglie italiane è stato in media di 33.798 euro 2.817 euro al mese, e «Con la progressiva e graduale ripresa delle attività economiche e sociali, è tornato a crescere rispetto all’anno dell’iniziale shock pandemico sia in termini nominali (+3%) sia in termini reali (+1%)». Il reddito equivalente, che tiene conto delle economie di scala e rende confrontabili i livelli di reddito di famiglie di diversa numerosità e composizione, è cresciuto del 3% in termini reali, anche per la significativa riduzione della dimensione media delle famiglie. L’Istat fa però notare che «In questo caso il reddito include alcune poste non considerate nella definizione armonizzata a livello europeo, quali buoni pasto, fringe benefits non monetari (a eccezione dell’auto aziendale, inclusa anche nella definizione europea) e autoconsumi (beni prodotti e consumati dalla famiglia)». In termini reali nel 2021 i redditi familiari medi sono diminuiti solo nel Mezzogiorno (-1,7%) mentre sono cresciuti (+3,3%) nel Nord-est e al Nord-ovest (+2,5%), rimanendo sostanzialmente invariati al Centro. E il report fa notare che «La contrazione complessiva dei redditi familiari rispetto al 2007, anno che precede la prima crisi economica del nuovo millennio, resta ancora notevole, con una perdita in termini reali pari in media al 5,3%: la contrazione è di -10% nel Centro, -9,4% nel Mezzogiorno, -1,7% nel Nord-est e -0,9% nel Nord-ovest. In particolare, la flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (-10,5%) e il lavoro dipendente (-7,5%), mentre le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici hanno sperimentato un incremento pari all’8,4% nel periodo».

Ma la distribuzione dei redditi è asimmetrica e quindi la maggioranza delle famiglie ha percepito un reddito inferiore all’importo medio: «Calcolando il valore mediano, ovvero il livello di reddito che divide il numero di famiglie in due parti uguali, si osserva che il 50% delle famiglie residenti in Italia ha un reddito non superiore a 26.979 euro (2.248 euro al mese), con una crescita dell’1,4% in termini nominali rispetto al 2020 (26.597 euro, 2.216 euro mensili). Le famiglie del Nord-est dispongono del reddito mediano più elevato (31.220 euro), seguite da quelle del Nord-ovest, del Centro e del Mezzogiorno, con livelli di reddito inferiori rispettivamente del 7%, dell’8% e del 23% rispetto a quello del Nord-est. Il reddito mediano varia in misura significativa anche in base alla tipologia familiare. Le coppie con figli raggiungono i valori più alti con 41.218 euro (circa 3.435 euro al mese), trattandosi nella maggior parte dei casi di famiglie con due o più percettori. Le coppie con tre o più figli percepiscono un reddito mediano (42.290 euro) più basso di quello osservato per le coppie con due figli (43.461 euro) e poco superiore a quelle con un solo figlio (39.585 euro). Le famiglie monogenitoriali presentano un reddito mediano di 28.435 euro, gli anziani che vivono soli nel 50% dei casi non superano la soglia di 15.948 euro (1.329 euro mensili). Anche le coppie senza figli percepiscono un reddito mediano più basso se la persona di riferimento è anziana (27.569 contro 35.007 euro delle coppie senza figli più giovani). Il livello di reddito mediano delle famiglie con stranieri è inferiore di quasi 6.000 euro rispetto a quello delle famiglie composte solo da italiani. Le differenze relative si accentuano passando dal Nord al Mezzogiorno, dove il reddito mediano delle famiglie con almeno uno straniero è pari al 52% di quello delle famiglie di soli italiani».

Nel 2021 il reddito di cittadinanza (RdC) ha consolidato il suo ruolo come misura strutturale di contrasto della povertà. L’Istat evidenzia che «Se nel 2019 le famiglie beneficiarie del RdC erano state 970mila, pari al 3,8% del totale delle famiglie italiane, e nel 2020 tale quota era salita al 5,3%, nel 2021 si stima siano state circa 1,5 milioni le famiglie percettrici di RdC, il 5,9% del totale, con un beneficio annuo pari in media a 5.522 euro. Tale quota sale al 14,4% per le famiglie del quinto più povero e all’8,7% per quelle del secondo quinto (Figura 7). L’impatto del trasferimento è stato in media di circa il 30% del reddito familiare complessivo (e fino al 42,4% per il quinto delle famiglie più povere). L’11,2% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno ha ricevuto almeno una mensilità del RdC, quota di gran lunga superiore a quella registrata nel Nord-est (1,5%), nel Nord-ovest (3,9%) e nel Centro (4,3%). Le famiglie con 5 o più componenti hanno usufruito del RdC in misura maggiore rispetto alle famiglie meno numerose: circa il 10% delle prime, rispetto a una quota compresa tra il 5% e il 7% per le famiglie di dimensione inferiore. Circa l’11% delle famiglie con almeno un componente straniero ha percepito il RdC, più del doppio della quota relativa alle famiglie formate da soli cittadini italiani». Ma su questo è arrivata la mannaia del governo di destra di Giorgia Meloni.

Eppure, il rapporto Istat conclude sottolineando le necessità di misure di sostegno alla fascia più povera della popolazione: «Le misure straordinarie insieme con il RdC sono state pari al 2% del reddito disponibile familiare del 2021, sostenendo così in modo importante il recupero dei redditi familiari dopo la contrazione del 2020. Senza queste misure i redditi familiari avrebbero subito un’ulteriore riduzione, che sarebbe stata particolarmente intensa per alcuni gruppi: -5,7% per le famiglie residenti nel Mezzogiorno, -2,3% per le famiglie con un solo percettore di reddito e in generale -6% per le famiglie del primo quinto di reddito. Per valutare l’impatto dei trasferimenti sui principali indicatori della disuguaglianza è possibile usare la distribuzione dei redditi equivalenti al netto dei trasferimenti emergenziali, del RdC o di entrambe le misure. In questo modo si può osservare quanto il contributo delle misure di sostegno al contenimento della disuguaglianza nel 2021 sia stato rilevante: senza l’insieme dei trasferimenti emergenziali il rapporto s80/s20 risulterebbe pari a 5,8, senza il RdC al 6,1, escludendo entrambi al 6,4, un livello nettamente più elevato rispetto al valore osservato di 5,6. L’indice di Gini, che risulta di 0,327 nel 2021, sarebbe cresciuto fino a 0,332 senza i trasferimenti emergenziali e a 0,336 senza il RdC, mentre al netto di entrambi la concentrazione dei redditi sarebbe salita fino al valore di 0,341».