Disponibilità idrica al minimo storico
La desertificazione avanza in Italia, Ispra: nel 2022 il 60% del territorio in siccità
Greenpeace: «In 30 anni l’Italia ha perso il 13% della sua risorsa idrica, pari a poco meno dell’intero Lago di Garda»
[16 Giugno 2023]
Mentre l’Emilia-Romagna conta i danni della doppia alluvione che l’ha colpita un mese fa – si parla di 8,86 mld di euro, secondo una prima stima della Regione – sia l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sia Greenpeace ricordano l’altra faccia della crisi climatica: la desertificazione che avanza rapida, anche in Italia.
I cambiamenti climatici in corso, legati in primis all’uso dei combustibili fossili, portano infatti ad un’alternarsi di eventi meteo estremi sempre più frequenti ed intensi (dalle alluvioni alle ondate di calore), ma nel nostro Paese la tendenza generale all’aumento della temperatura atmosferica (che in Italia segna già +2,4°C rispetto all’era preindustriale, contro una media globale di +1,1°C) si traduce in una progressiva diminuzione della disponibilità d’acqua, una risorsa indispensabile alla vita.
Alla vigilia della Giornata mondiale della desertificazione, l’Ispra documenta che nel 2022 italiano sono venuti a mancare 67 chilometri cubi d’acqua, con una disponibilità idrica che ha toccato il minimo storico con un -51% rispetto alla media del periodo 1951-2022.
L’ultimo anno, inoltre, circa il 20% del territorio nazionale è stato segnato da condizioni di siccità estrema, e circa il 40% da siccità severa e moderata: oltre la metà dell’Italia è stata dunque stretta nella morsa della mancanza d’acqua. Non a caso anche il 2022, con un record di 719 mm, ha segnato anche il minimo nazionale anche in termini di precipitazione.
«In 30 anni l’Italia ha perso il 13% della sua risorsa idrica, pari a 19 miliardi di metri cubi di acqua – aggiungono da Greenpeace – Poco meno del volume dell’intero Lago di Garda e circa due terzi di tutta l’acqua che ogni anno viene prelevata dall’ambiente per sostenere le attività umane nel nostro Paese», pari in media a oltre 30 mld di mc all’anno: più della metà di tali prelievi è concentrata nel distretto padano, dove circa il 70% dell’acqua serve all’agricoltura.
«Certamente lo stress idrico rappresenta un fattore di rischio in più nel favorire la desertificazione in Italia. Il territorio del bacino del Po è sempre stato un grande utilizzatore d’acqua e adesso che la risorsa idrica si riduce e la mancanza di piogge si fa sentire particolarmente in quelle zone, è chiaramente il territorio che più ne subisce gli impatti – dichiara a Greenpeace Stefano Tersigni, primo ricercatore Istat – In particolare, il modello agricolo che si è sviluppato negli ultimi 50 anni non è più adeguato alle risorse oggi disponibili, perché ne utilizza troppe ed è poco resiliente ai cambiamenti climatici: bisogna modificare i sistemi d’irrigazione e adottarne di più efficienti, ma anche orientare le scelte verso coltivazioni e modelli agricoli meno idroesigenti».
Secondo le stime più aggiornate, circa un terzo dell’acqua usata per irrigare le nostre coltivazioni serve a produrre mangimi per la filiera zootecnica, che tuttavia coprono appena un quarto del fabbisogno del settore. Tra le coltivazioni che richiedono più acqua, troviamo il riso, il mais e le foraggere; a eccezione del riso, si tratta proprio di colture destinate principalmente agli allevamenti intensivi italiani, che sono anche tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico che grava sul Paese, e sulla pianura padana in particolare.
«Questi dati – conclude dichiara Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace – mostrano chiaramente che è necessario intervenire sui prelievi destinati all’agricoltura e alla zootecnia intensive: senza una trasformazione del nostro sistema agricolo in chiave agroecologica, nessuna soluzione che ambisca ad aumentare la disponibilità idrica potrà essere sufficiente. La posta in gioco è la nostra sicurezza alimentare: poiché si stima che circa il 20% del territorio italiano rischia di diventare incoltivabile, produrre e consumare meno carne è un prezzo equo da pagare per costruire un sistema agroalimentare in equilibrio con le nostre risorse idriche».