Dopo 2 mesi di guerra, in Sudan è calamità umanitaria. Il Darfur intrappolato in un incubo vivente

Colera, malaria e 50.000 bambini gravemente malnutriti e rimasti senza cure

[19 Giugno 2023]

Il 16 giugno, il sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza, Martin Griffithsaveva lanciato l’ennesimo drammatico allarme: «Mentre il conflitto in Sudan entra nel suo terzo mese, la situazione umanitaria in tutto il paese continua a deteriorarsi. Circa 1,7 milioni di persone sono ora sfollate interne, mentre quasi mezzo milione di persone hanno cercato rifugio fuori dal Sudan. Centinaia di civili sono stati uccisi e migliaia sono rimasti feriti. Il saccheggio di risorse mediche e umanitarie continua su vasta scala. Gli agricoltori non sono in grado di raggiungere la loro terra, il che aumenta ulteriormente il rischio di insicurezza alimentare. E c’è stato un picco nelle denunce di violenza di genere».

Un allarme che è stato rilanciato oggi dall’ONG umanitaria Azione contro la Fame  «A circa due mesi dall’escalation di violenza in Sudan, gli scontri tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) continuano a Khartoum, nel Darfur e in diverse aree del Paese. Il conflitto e gli sfollamenti forzati stanno facendo salire alle stelle i tassi di malnutrizione. Più di 1,8 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case».
Per Griffiths, «Sono particolarmente preoccupato per le condizioni in Darfur, dove le persone sono intrappolate in un incubo vivente: bambini che muoiono negli ospedali dove erano in cura; bambini e madri che soffrono di grave malnutrizione; campi per sfollati rasi al suolo; ragazze stuprate; scuole chiuse; e famiglie che mangiano foglie per sopravvivere. Gli ospedali e le strutture idriche sono stati attaccati. I magazzini e gli uffici umanitari sono stati saccheggiati. Gli operatori umanitari sono stati uccisi. Si sta diffondendo anche la violenza intercomunitaria, che minaccia di riaccendere le tensioni etniche che 20 anni fa hanno alimentato un conflitto mortale. I resoconti di uccisioni etniche, che hanno provocato la morte di centinaia di persone nella sola città assediata di El Geneina, sebbene non confermati, dovrebbero spronare il mondo all’azione».

Secondo il coordinatore dell’area salute e nutrizione di Azione contro la Fame in Sudan, Samson Wolderufael, «Anche chi ha disponibilità di denaro non ha accesso al cibo. I mercati sono chiusi. Molte attività agricole sono state interrotte proprio quando in Sudan inizia la stagione della semina. Le banche sono crollate, i prezzi sono raddoppiati, gli spostamenti e le strade sono insicuri. Tutto ciò influisce sulla capacità delle famiglie di accedere al cibo. I dati in nostro possesso ci dicono che più di 50.000 bambini seguiti in programmi per il trattamento della malnutrizione acuta grave hanno subito l’interruzione delle cure a causa del conflitto. Noi di Azione contro la Fame abbiamo ripreso le attività di distribuzione di alimenti terapeutici per la popolazione del Nilo Bianco, una delle aree con la più alta presenza di sfollati interni, e del Nilo Blu».

Si tratta di una crisi gravissima, che colpisce 48 milioni di persone: i bambini, le donne, gli anziani, le persone con disabilità fisiche e mentali, gli sfollati e i malati cronici sono i più vulnerabili. Tutti loro hanno urgente bisogno di accedere a forniture alimentari generiche e ad alimenti supplementari, come quelli terapeutici, utilizzati per trattare i bambini affetti da malnutrizione.

Inoltre, la popolazione civile sudanese non vede garantito l’accesso all’assistenza sanitaria. I centri sanitari non funzionano regolarmente e la maggior parte è stata danneggiata o saccheggiata. Secondo i dati dell’Onu, il 67% degli ospedali situati in prossimità di aree con combattimenti attivi non funziona. Wolderufael racconta che «I bambini muoiono per malnutrizione e hanno problemi di salute come polmonite, diarrea acquosa acuta, colera, malaria e altre infezioni».

Jody Paulson Cormack, responsabile della sicurezza globale di Azione contro la Fame, conferma: «Almeno 162 veicoli di organizzazioni umanitarie sono stati rubati e 61 uffici e 57 magazzini sono stati saccheggiati. Questa pratica è comune nelle zone di conflitto. La stiamo sperimentando di nuovo in Sudan, dove il lavoro degli gli operatori umanitari non è protetto dalle violenze. Dopo diversi cessate il fuoco falliti, non sembra esserci alcun segnale che permetta agli aiuti umanitari di passare. Tutte le organizzazioni chiedono che venga loro permesso di lavorare e di raggiungere tutte le vittime del conflitto. Ci sono stati brevi momenti in cui siamo riusciti a trasportare cibo e medicine in alcune aree, ma non è abbastanza rispetto ai crescenti bisogni che stiamo rilevando».

Cormack spiega: «Hanno preso medicine, trattamenti nutrizionali, computer. Tutto ciò che ci permette di rispondere alla crisi e di raggiungere le popolazioni colpite e i nostri team in Sudan sono pronti e determinati a portare sostegno alle popolazioni colpite, abbiamo solo bisogno di un minimo via libera, che ci consenta di procedere con le nostre attività».

Mentre le potenze globali e regionali  che hanno spalleggiato l’esercito regolare e le RSF – dopo i primi inefficaci tentativi di mediazione – sembrano stare a guardare una carneficina della quale sono in gran parte responsabili, Griffiths ricorda che solo «I partner umanitari, comprese le organizzazioni locali, hanno fatto del loro meglio per fornire aiuti, ricostituire le scorte di forniture salvavita, come cibo e medicine, e fornire acqua e servizi nutrizionali. Tuttavia, la violenza sta ostacolando i loro sforzi. In base alle regole di guerra e alla Dichiarazione di impegni che entrambe hanno firmato, le parti in conflitto devono astenersi dall’attaccare i civili e le infrastrutture civili e devono prestare costante attenzione a risparmiarli durante le loro operazioni militari. Esortiamo le parti a consentire a coloro che cercano di fuggire di farlo in sicurezza e volontariamente. Esortiamo inoltre loro e coloro che hanno influenza a garantire lo spostamento di forniture umanitarie e personale da altre parti del Sudan – e dai Paesi vicini – verso il Darfur, dove quasi 9 milioni di persone hanno bisogno di assistenza. Il Darfur si sta rapidamente trasformando in una calamità umanitaria. Il mondo non può permettere che ciò accada. Non di nuovo».