La protezione integrale di vaste aree marine non fa diminuire le catture della pesca
5 anni dopo la creazione del Parque Nacional Revillagigedo, la più grande area marina integrale del Nord America, non si segnalano impatti negativi sul settore della pesca messicano
[22 Giugno 2023]
Lo studio “The largest fully protected marine area in North America does not harm industrial fishing”, pubblicato recentemente su Science Advances da un team di ricercatori del Centro para la Biodiversidad Marina y la Conservación, della Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California – San Diego, del Gulf of California Marine Program dell’Institute of Americas e della National Geographic Society. fornisce la prova che le grandi aree marine (AMP) di alto mare a protezione integrale «Proteggono la biodiversità senza influire negativamente sulla pesca e sulla sicurezza alimentare».
Nella prima valutazione dell’impatto sull’industria della pesca “prima e dopo” l’istituzione del Parque Nacional Revillagigedo in Messico, un team di ricercatori statunitensi e messicani ha scoperto che «Il settore della pesca industriale del Messico non ha subito perdite economiche 5 anni dopo la creazione del parco, nonostante un divieto totale di attività di pesca all’interno dell’AMP».
Istituite nel 2017, le “Galápagos del Messico” sono la tredicesima AMP più grande del mondo e una delle poche in cui tutte le attività umane dannose, compresa la pesca, sono vietate per aiutare le popolazioni di animali matini a riprendersi. Nella gigantesca AMP a protezione integrale vivono due delle più grandi popolazioni mondiali di squali e mante, oltre a tonni, megattere e 5 specie di tartarughe marine. Il Parque Nacional Revillagigedo ospita anche più di 300 specie di pesci, 36 delle quali endemiche. Quando si trattava di istituire la grande AMP, la lobby della pesca industriale messicana si oppose alla creazione del Parco Nazionale, sostenendo che avrebbe avuto un impatto sul èescato e aumentato i costi per i pescatori e i consumatori.
Sono più o meno le stesse argomentazioni delle associazioni di categoria dei pescatori che si sentono anche in Italia in previsione dell’attuazione della Direttiva Ue che punta a proteggere il 30% del mare e uno degli autori del nuovo studio, Enric Sala, explorer in residence della National Geographic Society e fondatore di Pristine Seas, ricorda che «In tutto il mondo, l’industria della pesca ha bloccato la creazione di aree marine protette di cui abbiamo urgente bisogno per invertire l’impoverimento globale della vita marina causato dall’uomo. Questo studio utilizza il tracciamento satellitare dei pescherecci e l’intelligenza artificiale (AI) per dimostrare che le preoccupazioni dell’industria della pesca sono infondate. Anche la più grande delle AMP, che salvaguarda interi ecosistemi, che ospitano migliaia di specie di creature marine, non ha alcun impatto sulla manciata di specie ittiche ricercate dall’industria della pesca. Maggiore è l’MPA, maggiori sono i vantaggi».
Lo studio, realizzato con il contributo di Oceans 5 e Patrick J. McGovern Foundation, analizza il comportamento e la produttività della specie messicane target dell’industria della pesca, prima e 5 anni dopo l’istituzione della più grande AMP a protezione integrale del Nord America. I ricercatori messicani e statunitensi spiegano che «Utilizzando i dati del tracciamento satellitare, le catture di pesce della Comisión Nacional de Acuacultura y Pesca e i nuovi strumenti di intelligenza artificiale della piattaforma Skylight dell’Allen Institute for AI, gli esperti hanno deciso di determinare se la creazione dell’AMP ha ridotto la pesca all’interno dell’area protetta, se le catture di pesca sono state colpite e se la creazione dell’AMP ha spostato la pesca su un’area più ampia, con un impatto negativo complessivo sulla biodiversità marina».
Il principale autore dello studio, Fabio Favoretto del Centro para la Biodiversidad Marina y la Conservación e della Scripps Institution of Oceanography, sottolinea che «L’uso di dispositivi di localizzazione satellitare e piattaforme di monitoraggio dell’intelligenza artificiale è stato fondamentale per dimostrare la conformità da parte dell’industria della pesca e per i gestori dell’AMP per monitorare l’area protetta». I dati satellitari analizzati da Favoretto provenivano da dispositivi GPS installati su circa 2.000 pescherecci messicani. Esaminando i dati open source, i ricercatori sono stati in grado di identificare gli spostamenti dei pescherecci e di capire se stessero pescando. Il team messicano-statunitense ha quindi utilizzato tecniche di apprendimento automatico per identificare i modelli associati ai pescherecci e ha scoperto che «Il Parque Nacional Revillagigedo non ha avuto alcun effetto negativo sulle catture della flotta industriale messicana, né ha aumentato l’area utilizzata per la pesca che spingerebbe i pescherecci ad avventurarsi ulteriormente in altre aree marine per pescare. Skylight ha rivelato solo alcuni casi isolati di pesca illegale all’interno dell’AMP dopo il 2017, evidenziando l’efficacia della tecnologia nell’aiutare coloro che monitorano e proteggono i 147.000 chilometri quadrati delle acque comprese all’interno del confine del parco».
Alla Scripps Institution of Oceanography fanno notare che «I risultati dello studio confutano l’argomentazione dell’industria della pesca messicana secondo cui il parco causerebbe una potenziale perdita del 20% delle loro catture di tonno e altri pelagici e forniscono la prova che grandi AMP integralmente protette possono contribuire a un uso più sostenibile ed equo dell’oceano, senza grosse ripercussioni economiche sul settore della pesca».
Un altro autore dello studio, Octavio Aburto che insegna biologia marina alla Scripps Institution of Oceanography, evidenzia che «I risultati di questo studio sono coerenti con quel che gli esperti hanno registrato in altre aree marine protette del Pacifico. Qualsiasi argomentazione contraria si è rivelata solo un’ipotesi: questo studio fornisce i dati per dimostrare che non esistono impatti negativi sulla pesca. Ci auguriamo che i risultati possano aprire una discussione per collaborare con l’industria della pesca per proteggere la biodiversità e migliorare gli stock ittici».
I confortanti risultati dello studio arrivano proprio mentre i Paesi di tutto il mondo discutono di come raggiungere l’obiettivo globale di proteggere e conservare almeno il 30% degli oceani entro il 2030, che è sancito da un accordo storico raggiunto nel dicembre 2022 dalla Conferenza delle parti della Convention on biological diversity (COP15 CBD), metre a maggio l’Onu ha adottato un Trattato giuridicamente vincolante per proteggere la biodiversità in alto mare, nelle acque internazionali oltre le giurisdizioni nazionali.
Sala ricorda ancora che «Per arrivare al 2030 il tempo stringe. Se il mondo è seriamente intenzionato a proteggere il mondo naturale, il nostro sistema di supporto vitale, dobbiamo aumentare drasticamente la protezione degli oceani. Al momento, meno dell’8% dell’oceano è in qualche modo protetto e solo il 3% è completamente protetto dalla pesca e da altre attività dannose. Milioni di specie, compresi gli esseri umani, che dipendono dall’oceano per l’ossigeno, il cibo, la mitigazione del riscaldamento globale, i medicinali e altro ancora dipendono dalla nostra volontà di agire».
I ricercatori aggiungono che, «Minacciata da attività umane come la pesca eccessiva, la ricca riserva di biodiversità dell’oceano sta rapidamente diminuendo, mettendo a rischio la sicurezza alimentare, la salute e l’ambiente. Istituendo rapidamente aree marine protette in aree oceaniche strategiche, il mondo può salvaguardare collettivamente oltre l’80% degli habitat delle specie in via di estinzione, rispetto a una copertura attuale inferiore al 2%».
Mentre il dibattito si infiamma e le lobby della pesca industriale si scatenano, lo studio fornisce prove empiriche che «Le AMP su vasta scala nelle zone economiche esclusive dei Paesi possono contribuire agli obiettivi globali di conservazione senza compromettere gli interessi della pesca o la capacità di una nazione di garantire la sicurezza alimentare».
Lo studio confuta una visione di lunga data promossa dalla lobby della pesca industriale secondo la quale la protezione degli oceani danneggia la pesca e apre nuove opportunità per rilanciare il settore proprio mentre soffre di una recessione dovuta alla pesca eccessiva e agli impatti del riscaldamento globale. Sala aggiunge: «Alcuni sostengono che la chiusura di zone alla pesca danneggi gli interessi della pesca. Ma il peggior nemico della pesca è la pesca eccessiva e la cattiva gestione, non le aree protette».
Lo studio arricchirà le discussioni in corso in Messico e altrove e una delle co-autrici, Catalina López-Sagástegui dell’Institute of Americas dice che «L’accesso ai dati e alla tecnologia sta migliorando la nostra comprensione collettiva della salute degli ecosistemi marini, il che consente di progettare e implementare AMP che aiutino a ripristinare la salute e la resilienza degli ecosistemi marini, a vantaggio della pesca a lungo termine».
L’australiano Reniel Cabral, senior lecturer alla James Cook University in Australia, che non è stato coinvolto in questo studio, ha commentato: «E’ semplice: quando la pesca eccessiva e altre attività dannose cessano, la vita marina si riprende. Dopo che le protezioni sono state messe in atto, la diversità e l’abbondanza della vita marina aumentano nel tempo, con un recupero misurabile che si verifica in appena tre anni. Le specie target e i grandi predatori ritornano e interi ecosistemi vengono ripristinati all’interno delle AMP. Con il tempo, l’oceano può guarire se stesso e fornire nuovamente servizi all’umanità».
Sala conclude: «Le AMP sono lo strumento più efficace che abbiamo per proteggere la salute e la diversità dei nostri oceani. Dobbiamo espandere e rafforzare le aree protette per garantire che i nostri oceani possano continuare a fornire cibo, posti di lavoro e altri benefici vitali per le generazioni future. Il nostro studio aiuta a sfatare il mito diffuso dalla lobby della pesca industriale secondo cui le AMP ci danneggiano».