Da 13 anni la solita ecomafia: Legambiente, reati stabili a quota 30mila l’anno
Ciafani: «L’Italia può e deve svolgere un ruolo importante perché la transizione ecologica sia pulita anche nella fedina penale»
[11 Luglio 2023]
Anno dopo anno, i reati contro l’ambiente conteggiati puntualmente da Legambiente nel suo rapporto Ecomafia (giunto quest’anno all’edizione 2023, per i tipi di Edizioni ambiente) oscillano sempre attorno a quota 30mila l’anno.
L’inasprimento delle pene – compresa la legge 68/2015 sugli ecoreati – non sta portando ai risultati sperati, richiamando alla necessità di rivedere completamente l’assetto normativo a tutela dell’ambiente per garantire una maggiore efficacia.
«I reati contri l’ambiente – documentano da Legambiente – restano ben saldi sopra la soglia dei 30.000, esattamente sono 30.686, in lieve crescita rispetto al 2021 (+0,3%). Crescono anche gli illeciti amministrativi che toccano quota 67.030 (con un incremento sul 2021 del +13,1%): sommando queste due voci, reati e illeciti amministrativi, le violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente sfiorano quota 100.000 (97.716)», per un giro d’affari – anch’esso stabile – stimato in a 8,8 miliardi di euro.
Si registra però una novità importante: da due anni di fila stanno calando le persone denunciate e i sequestri. È ancora presto per capire se si tratta di un trend significativo o meno, ma i dati andranno sicuramente valutati con attenzione nel corso dei prossimi anni per indagarne i motivi.
Si confermano invece i grandi capitoli attenzionati da Legambiente parlando di ecomafia: ciclo illegale del cemento, reati contro la fauna e ciclo dei rifiuti.
A farla da padrone quelli relativi al cemento illegale, (12.216 reati censiti, +28,7% sul 2021); seguono i reati contro la fauna con 6.481 illeciti penali (+4,3%) mentre scende al terzo posto il ciclo illegale dei rifiuti, con una riduzione sia del numero di illeciti penali, 5.606, (-33,8%), sia delle persone denunciate (6.087, -41%), ma con un aumento delle inchieste in cui viene contestata l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (268 contro le 151 del 2021), degli illeciti amministrativi (10.591, +21,4%) e delle sanzioni (10.358, pari al +16,2%).
Analizzando il rapporto ecomafia sotto il profilo geografico, invece, la Campania si conferma al primo posto per numero di reati contro l’ambiente, seguita dalla Puglia e dalla Sicilia. Fuori dal triste podio, al quarto posto si posiziona il Lazio, che supera la Calabria, mentre la Lombardia, sesta con 2.141 infrazioni penali e prima regione del nord, “scavalca” la Toscana, in settima posizione (ma a livello provinciale Legambiente segnala la new entry di Livorno, nona in graduatoria con 565 infrazioni).
«Mai come in questo momento storico – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – si devono alzare le antenne per scovare inquinatori ed ecomafiosi. E bisogna farlo presto, dentro e fuori i confini nazionali, perché stiamo entrando nella fase operativa del Pnrr. L’Italia può e deve svolgere un ruolo importante perché la transizione ecologica sia pulita anche nella fedina penale».
Per Legambiente quella contro l’ecomafia si presenta dunque come una doppia sfida, che si può vincere da un lato rafforzando le attività di prevenzione e di controllo nel nostro Paese, dall’altro mettendo mano con urgenza a un quadro normativo europeo con cui affrontare una criminalità organizzata ambientale che non conosce confini.
Sotto questo profilo sono dieci le proposte di modifica normativa presentate oggi dall’associazione ambientalista per rendere più efficace la lotta all’ecomafia, ma ancora una volta si persevera nel proporre quasi esclusivamente pene più severe: sull’incendio boschivo, a tutela del patrimonio agroalimentare, sui crimini contro la fauna, sul traffico di rifiuti.
Ma limitarsi ad inasprire le pene, hai mai funzionato? La storia della giurisprudenza insegna di no, e lo conferma anche la stabilità degli ecoreati censiti da Legambiente.
Proprio il comparto della gestione rifiuti, più di ogni altro, suggerisce piuttosto la necessità di un riordino complessivo per semplificare la legislazione in materia, in modo da favorirne una lettura coerente, efficace e con bassi margini di interpretabilità, sia da parte delle imprese – così da scremare più facilmente quelle oneste dal malaffare – sia da parte dei tribunali.
Altrimenti il risultato continuerà ad essere quello di moltiplicare le inchieste – per poi magari vederle naufragare in una bolla di sapone dopo un decennio, come accaduto recentemente in Toscana – insieme alla sfiducia dei cittadini verso tutti gli impianti industriali necessari all’economia circolare.